Si è scatenata una campagna terroristica sugli effetti di un’uscita dell’Italia dall’Euro: inflazione alle stelle, mutui insostenibili che costringerebbero a vender casa, termosifoni spenti e tutti all’addiaccio, cure mediche proibitive, aziende fallite e via dicendo. Mi spiace notare che anche “Il Fatto” si sia associato a questa campagna che, vedo, ha convinto anche qualcuno dei più affezionati seguaci di questo blog, che accusa quanti sostengono l’uscita dall’Euro di essere totalmente ignoranti o sul libro paga di qualcuno (vecchio vizio pcista questo di accusare i propri avversari di essere ignoranti o venduti…). Il ragionamento è più o meno questo: l’Euro, giusta o no che fosse la sua nascita, ormai c’è ed uscirne provocherebbe una catastrofe economica senza precedenti, per cui teniamocelo perché è l’unica certezza che abbiamo.
Questo ragionamento sottintende che l’Euro sia destinato a restare in piedi, solo che lo si voglia. E questo è già il primo punto debole del ragionamento: ma chi via ha garantito che l’Euro sia destinato a restare in piedi?
L’Euro non è sorto dal nulla, ma da precise condizioni politiche ed economiche: la Germania doveva far accettare la sua riunificazione e Mitterand pensò che l’unificazione monetaria avrebbe reso più accettabile la cosa, peraltro si era in un periodo espansivo dell’economia europea e si sperava che la moneta unica avrebbe dato ulteriore spinta ai paesi meno forti, favorendo una dinamica virtuosa convergente delle diverse economie nazionali che, a sua volta, avrebbe spinto verso una celere unificazione politica.
Venti anni dopo queste condizioni non ci sono più: l’asse franco-tedesco si è notevolmente logorato, con la Francia che pencola penosamente verso gli Usa e la Germania che ancora guarda ad est, l’unificazione politica è una leggenda persa nelle brume di un futuro vaghissimo, da sette anni infuria una crisi senza precedenti dal 1929 in poi, le economie nazionali europee divergono più che mai e diversi paesi sono sull’orlo del default. In queste condizioni politiche e finanziarie, il rischio di un crollo dell’Euro è più che una semplice possibilità teorica. Non dico affatto che la fine dell’Euro sia un dato scontato, ma semplicemente che è uno degli esiti politici da prendere in considerazione.
In primo luogo, se dovessero verificarsi default di una serie di paesi come Grecia, Portogallo, Irlanda la sopravvivenza della moneta unica diverrebbe assai problematica. Se, poi, il default dovesse riguardare Italia o Spagna, non si vede come la costruzione possa restare in piedi.
Ma anche sviluppi imprevisti della crisi Ucraina potrebbero innescare dinamiche divaricanti nella Ue tali da mettere a rischio la moneta.
Senza calcolare che, ad un certo punto, i costi di mantenimento dell’unione monetaria potrebbero rivelarsi tali da rendere inevitabile l’uscita di alcuni partner, con l’effetto di un “rompete le righe” generalizzato. Che è esattamente la prospettiva più probabile a verificarsi. E non è detto che ad iniziare debbano essere i paesi deboli come Grecia o Portogallo: potrebbe iniziare uno scollamento anche di uno dei paesi forti e persino la Germania non è esente da queste tentazioni.
E se la cosa non sarà stata preparata e dovesse avvenire con un improvviso crack (poco importa se finanziario o politico), allora le condizioni potrebbero essere esattamente quelli descritti di una tempesta devastante. E qui si capisce cosa non funziona nel ragionamento degli “euristi ad oltranza”: non prevedere il rischio di un crollo improvviso della moneta e non capire che dalla moneta unica si può uscire in modo scarsamente traumatico, a condizione che questo avvenga nei modi e nei tempi opportuni.
Paradossalmente, i fautori di “Euro o muerte” ragionano allo stesso modo della Lega e dei populisti che tanto disprezzano. E infatti loro ed i populisti sono solo le due facce della stessa medaglia. I populisti più estremi prospettano una uscita dalla moneta unica, con ritorno alla moneta nazionale, con una decisione semplice ed immediata: hic et nuc! E gli “euromani” ragionano solo su questo scenario. Ma dall’Euro non si può uscire come da una festa fra amici: “scusate dobbiamo andare: abbiamo lasciato i bambini soli a casa”.
Dopo di che, liberatici dall’orrenda moneta, tutto ricomincia a girare per il verso giusto e le economie periferiche d’Europa rifioriscono d’incanto. Qui è bene dire che, se è vero che l’Euro è una camicia di forza e le politiche di austerità che lo accompagnano sono un disastro, però non è la causa di tutti i mali, liquidata la quale, tutto va a posto.
Queste sono leggende: al di là dell’Euro, c’è una crisi mondiale che continuerebbe anche dopo la sua fine e che richiede un ripensamento complessivo dell’ordinamento neoliberista dell’economia mondiale.
In secondo luogo non è detto che la fine dell’Euro debba segnare necessariamente il ritorno alle monete nazionali o che questo debba essere un approdo definitivo. Ci sono molte soluzioni intermedie come, ad esempio, lasciare l’Euro come unità di conto (come era l’Ecu) cui agganciare le monete nazionali, con larghe bande di oscillazione prestabilite, in modo da dare il tempo di far riprendere la bilancia dei pagamenti dei paesi del sud Europa. Oppure adottare, per un certo periodo, un regime di doppia circolazione, con retribuzioni date in parte con una moneta e in parte con l’altra. Dopo di che, superato il momento peggiore, si può tornare a ragionare sulla cosa.
Ovviamente, l’operazione di passaggio sarebbe abbastanza complessa e richiederebbe approfonditi negoziati per regolare tutte le materie relative (ad esempio, la conversione dei mutui nelle nuove monete, senza danni per i mutuatari, tanto per dirne una). D’altra parte, neppure il passaggio all’Euro è avvenuto in due minuti: da Maastricht all’entrata in funzione della moneta unica sono passati ben 10 anni. E dunque anche questo passaggio richiede i suoi tempi ed i suoi modi di attuazione.
Soprattutto, non è detto che la Ue debba restare questo mostro onnivoro che è oggi: di fatto questa fusione delle tre europe (del nord, del sud e dell’est) non ha molto funzionato né politicamente (e si pensi al fianco est), né economicamente (e si pensi al fianco Sud). Forse l’ipotesi di una unificazione politica potrebbe essere più facilmente realizzata fra paesi più omogenei, con tre federazioni a sua volta alleate fra loro. Tre federazioni europee (del nord, del sud, dell’est) sembrano una soluzione più praticabile di un’improbabilissima unione politica di tutto il continente e la questione della moneta potrebbe trovare uno scioglimento in questo ordinamento a tre.
Insomma, la Storia non è finita, come pensava quell’imbecille di Francis Fukuyama, e l’esistente è solo il presente. Non l’eternità.
Aldo Giannuli