Renzi politico cattolico?
di Francesco Mario Agnoli - 09/06/2014
Fonte: Arianna editrice
I cattolici più rigorosi non hanno condiviso la definizione di “cattolico in politica” elargita, dalle autorevolissime colonne del Corriere della Sera, da Ernesto Galli della Loggia a Matteo Renzi. Gli hanno replicato che il termine “cattolico in politica” identifica “uno che vuole realizzare per quanto possibile i principi della dottrina sociale della Chiesa in una determinata circostanza storica”. Qualcuno di loro ha aggiunto che Renzi non può nemmeno essere equiparato ai democristiani d'antan, che, pur colpevoli di non avere saputo contrastare il processo di scristianizzazione dell'Italia, mostravano pubblicamente, anzi vantavano (magari solo per prendere voti), la loro appartenenza ad una cultura politica che aveva radici cristiane.
Niente di tutto questo in Renzi, che, lontanissimo dal desiderio di "animare cristianamente l'ordine temporale" come insegna il Concilio Vaticano II, vota a favore del divorzio breve, non si batte contro il ddl Scalfarotto per il riconoscimento del matrimonio-gay, non dice nulla sulla propaganda e penetrazione dell'ideologia di genere nelle scuole con la complicità o almeno il silenzio complice del suo governo.
Con tutto questo resta vero che nella vita privata Renzi, come dimostrano sia la sua famiglia di origine sia quella che si è formato col matrimonio, appartiene al mondo del cattolicesimo non solo praticante, ma militante. E tuttavia è altrettanto vero che di questa militanza cattolica non si vede traccia nella sua attività politica, né nelle sue funzioni di presidente del consiglio, né, ancor meno, in quelle di segretario di un partito, il PD, che, orbato dei suo riferimenti marxisti, ha sposato in tutto per tutto le tesi del “pensiero unico” e del radicalismo di massa.
Sostenitori ed avversari concordano nel riconoscere a Renzi una buona dose di furbizia. Una dose tanto massiccia da prevalere senza incertezze e patemi, quanto meno in politica, suIl' appartenenza cattolica. In effetti, avendo perfettamente capito dall'esempio francese (nelle recenti elezioni europee Marine Le Pen ha sconfitto il centro-destra dell'UMP, non i socialisti di Hollande, che già prima si erano distrutti da soli nel consenso elettorale con la politica governativa pansessualista e antifamiliare) la pericolosità dell'aperto sostegno all'ideologia del gender e dell'omosex, Renzi ha scelto la strada del doppio binario.Tendenzialmente il suo governo non si occupa di queste cose e, in genere, di temi etici, lasciati alle iniziative parlamentari senza che lui, almeno ufficialmente, ci metta becco (se vi sono organismi pubblici, come l'Unar, che continuano ad operare in questa direzione la responsabilità è dei predecessori, che li hanno formati e finanziati).
Insomma, Matteo Renzi si guarda bene dal seguire l'esempio del suo ex-collega di partito Mario Adinolfi, che, cattolico o no, contesta pubblicamente da sinistra, con articoli, libri, interventi televisivi, quelli che definisce i "falsi miti di progresso"(aborto, eutanasia, matrimonio omosex, utero in affitto),
Al momento gli va bene. II doppio binario gli consente di mantenersi in buoni rapporti col partito, che va avanti, tranquillo e determinato, per la sua strada, e con l'opinione pubblica, che gli chiede soltanto (non è poco) di fare uscire il paese dalla crisi e, soprattutto, di risolvere il problema del lavoro che manca. Tuttavia è possibile che, una volta risolti questi problemi (o, peggio ancora, una volta preso atto che non li ha risolti e non li risolverà), qualcuno potrebbe ricordarsi che fra le virtù di un buon politico non vi è tanto la furbizia quanto la coerenza fra la vita pubblica e quella privata.