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La Guerra del gas in Europa. E a rimetterci sarà anche l’Italia

di Gianni Petrosillo - 17/06/2014

Fonte: Conflitti e strategie



Con l’assalto di ieri all’Ambasciata russa a Kiev, organizzato da gruppi settari dell’estrema destra nazista e dagli euromajdan filo-europeisti, alla cui testa vi era il Ministro degli esteri ucraino, Andriy Deshchytsia, nativo di Livov, si è toccato il fondo di una situazione che appariva già irrecuperabile da tempo.

L’Immagine del politico che incita la folla alla violenza e al pogrom antirusso è l’epitome di questa crisi che ha superato qualsiasi livello di decenza e di guardia. Ancor più penosa la posizione dei paesi occidentali in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, i quali hanno respinto l’istanza russa di condanna dell’episodio e la presa di provvedimenti verso le autorità ucraine. Vergognosa complicità con atti di banditismo che tradisce tutta la pazialità della Comunità Internazionale, pregiudizialmente schierata contro Mosca. Se un tal avvenimento avesse toccato Washington adesso sentiremmo le lamentele a cascata di mezzo mondo.

Non sono bastati a far cambiare idea alle cancellerie atlantiche, i civili bombardati nel sud-est, da Thurcinov prima e da Poroshenko poi, le stragi di Odessa e di Mariupol rimaste impunite, l’uso di armi proibite a Slaviansk e dintorni. Centinaia di morti sulla coscienza della democrazia che si presenta ripetutamente, in ogni punto caldo del pianeta, con le mani macchiate di sangue. Se c’è da soffiare sul fuoco delle ivisioni etniche o religiose, a fini geopolitici, la democrazia, a guida Usa, non si fa scrupoli, anche a costo di genocidi che ci riportano ai secoli bui della barbarie.

Kiev è ormai fuori controllo ma Washington e Bruxelles non ritirano il proprio appoggio ai criminali che occupano il potere in Ucraina, anzi, sembra che li incoraggino ad andare avanti nei loro delitti contro la popolazione russofona per costringere Mosca all’intervento diretto, al passo falso utile ad isolarla definitivamente. Per ora il Cremlino resiste alla tentazione ma è impensabile che tutte queste provocazioni restino senza conseguenze sul piano dei rapporti diplomatici, con ripercussioni anche negli anni a venire. Ciò sarà un grosso problema per l’Ue che stupidamente e pedissequamente segue gli Stati Uniti in questa strategia unilaterale ed autoreferenziale.

Il vero obiettivo di Obama resta l’indebolimento di Mosca a qualsiasi prezzo. A partire da quella risorsa che ha permesso a quest’ultima di rialzare la testa sullo scacchiere internazionale, tanto da ritornare protagonista della scena mondiale: il gas. Probabilmente, la destabilizzazione dell’Ucraina ha preso consistenza, nel cervello delle teste d’uovo Usa, quando il progetto di dotto americano Nabucco ha perso punti nei confronti del concorrente South Stream. Il Nabucco doveva mettere il Cremlino con le spalle al muro e privarlo del materiale propulsivo che alimenta la sua politica estera. Il gasdotto in questione aveva lo scopo di togliere ai dirigenti russi l’unica arma a loro disposizione per tenere legati a sé i vicini europei, dipendenti dalle forniture dell’oro blu di Gazprom.

Ma l’intento statunitense si è rilevato una chimera per una serie di problemi tecnici e politici. Innanzitutto, il tragitto incerto, 1330 km di tubi che dovevano attraversare la Turchia riempiendosi di materia prima dal mar Caspio, tanto dalla riva occidentale azerbaigiana che da quella orientale turkmena. In secondo luogo, le quantità trasportabili di molto inferiori al South Stream che rendevano troppo costosa l’impresa rispetto alla resa effettiva. In terzo luogo, gli interessi contrastanti dei paesi coinvolti. Nonostante queste perplessità l’Ue buttò sul piatto 200 000 000 di euro della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e dalla Banca europea per gli investimenti, al solo scopo di accontentare Washington. Ma il progetto si è arenato, quasi irreversibilmente, con la finalizzazione del Tap (Trans Adriatic Pipeline). Il Tap, messo in opera dalla BP britannica, dalla Total francese, dalla Statoil norvegese e dalla Socar azerbaigiana ha reso inutile il Nabucco. Con un tracciato di soli 500 km, attraverso la Turchia e la Grecia, alimentandosi di gas azerbaigiano, lo stesso sul quale puntava il Nabucco, questa pipeline ha chiuso ogni discussione. La Casa Bianca non l’ha presa bene ed ha deciso che anche il South Stream doveva incorrere in uguale sventura. Niente di meglio che trascinare la Russia in una guerra con l’Ucraina e convincere l’UE ad interrompere il dialogo con Putin.

Con Kiev portata nella sfera d’influenza occidentale il tragitto attraverso l’Ucraina diventa quello più conveniente per limitare gli eventuali ricatti russi. Almeno stando ai calcoli statunitensi, il South Stream può essere, dunque, accantonato (l’Italia possiede il 20% di azioni del South Stream e la Saipem ha vinto l’appalto per la posa dei tubi, una vera fregatura per noi se tutto venisse fermato). In realtà, questa riconfigurazione dei rapporti di forza, attraverso uno stato fantoccio nelle mani degli yankees, avvantaggia solo Washington e mette Bruxelles in uno stato di duplice dipendenza, non solo russa ma anche americana. Inoltre, ogni qual volta la Russia avrà problemi col suo vicino infido, ricorrerà alla chiusura dei rubinetti per tutelare le proprie posizioni.

Chi rischia in simili circostanze? Stati Europei e non che corrono il pericolo di vedere aggravata la crisi economica in cui sono invischiati, nonchè pesantemente indebolita la sovranità delle loro scelte. Dalla Bulgaria, che non possiede impianti di stoccaggio , né ha la possibilità di ricevere gas da altri fornitori, alla Slovacchia, alla Repubblica Ceca, all’Austria, all’Ungheria, all’Italia, alla Grecia, alla Turchia, alla Serbia, alla Macedonia, alla Bosnia-Erzegovina, alla Moldavia. Tutti ostaggi del governo Ucraino-americano.

E’ uno scenario devastante in una contigenza storica difficile come quella in corso. Continuiamo a farci del male per il falso amico americano.