Certo è che è impossibile non sottolineare l’assenza di una reale partecipazione dell’uomo alle cose che contano. Certo è che fa rabbrividire l’indifferenza con la quale volgiamo lo sguardo alla collettività, attorniata da un fantomatico bene comune che uccide l’individuo, come se davvero lo spread valesse realmente la vita di un cassaintegrato che si suicida. Una tempo si moriva per la propria famiglia, poi si moriva per la Patria, poi per Dio. Adesso, invero, si muore anche per lo spread.
Eppure esportare economia non significa esportare civiltà. L’Occidente ha sì vinto la guerra fredda, tuttavia ha perso sé stesso per vincerla. Ci siamo fatti schedare dai social network dove volontariamente, come servi, diciamo pubblicamente tutto di noi. Nessuna Gestapo, nessuna polizia segreta del KGB, avrebbe saputo fare di meglio. Abbiamo regalato la ricchezza dell’Occidente – ovvero l’individualità e la sua difesa – alla collettività attraverso una macchina sociale guidata dal Potere, guidata da lobby finanziarie, dal mercato assoggettato al dio Denaro, che si ripiega in sé stessa alla ricerca di una crescita infinita, senza ricerca di spazi nuovi. Ridotti i luoghi e le terre al mondo, le culture alla cultura, le differenze all’uniformità, i popoli all’umanità. Per la prima volta nella storia del mondo non navighiamo perciò mari sconosciuti verso terre senza nome, ancora da scoprire, ma navighiamo seduti davanti ad uno schermo per scoprire qualcosa che noi stessi abbiamo creato, senza renderci conto che questo mondo interconnesso e senza confini disabitua l’individuo all’avventura; le distanze, invece, quelle vere, quelle che ci separano dall’ignoto mai sondato, appaiono sempre più spiacevoli al punto da affogarci nell’ovvietà di ciò che siamo e non nella visione di ciò che potremmo essere, tanto che quando non si ricerca più un nuovo spazio, vitale, accade che l’individuo muoia in favore della sopravvivenza della società alla quale appartiene. Di più, accade che gli appetiti umani vengano confinati nella consacrazione luciferina di un individuo reso automa che vive in un contesto massificato, dove l’elemento qualitativo cede il passo a quello quantitativo. I lager e i gulag sono stati chiusi ma ne abbiamo aperto uno dove veniamo marcati dall’illusione di un benessere che costa la nostra intera individualità in favore di una totale spersonalizzazione dell’essere, di una vera e propria reductio ad unum, che foraggia l’uomo egocentrico e senza inconscio.
Un solo pensiero. Una sola voce. Una sola lingua. Un solo modello culturale. Un solo spazio. Una sola Nazione. Un mondo senza il sacro.
Perciò l’uomo avverte un cronico vuoto di individualità. Siamo soli, sic et simpliciter, forti della nostra forza e forti della nostra anima; ogni caso simile, tuttavia, è di per sé meritevole, soprattutto perché esiste un’espressione – il più delle volte proferita in modo sprezzante con l’intenzione di intaccare il credito di coloro che si battono ancora per qualcosa – che dice: «Costui rappresenta solo se stesso». Ebbene, è proprio tale circostanza a costituire la grandezza e l’autenticità dell’agire. Quanti uomini, infatti, in questo tempo, in questa società più decaduta che decadente, oramai affogata tra le acque torbide di una crisi interna di ideali e di valori umani, possono pretendere di essere veramente i “rappresentati” di loro stessi, visto che non fanno altro che rappresentare le regole della collettività, visto che non fanno altro che far propri i dogmi ufficiali, assimilando solo e soltanto le opinioni precostituite? Voi soli, se lo siete davvero, ascoltate: riflettere sul fatto che l’insieme autentico può nascere solo dalle solitudini e nella solitudine. Un pensiero, questo, che non si apprende da alcun manuale, bensì dalla notte, dalla sofferenza dell’anima, dal rifiuto di una omologazione imposta e impartita. Deve esistere certamente, da qualche parte, il granello di sabbia capace di inceppare il meccanismo storico che ha prodotto l’attuale civilizzazione, ovvero quel soggetto che riuscirà a contrastare l’omologazione. I nuovi ribelli vanno individuati fuori dal quell’Occidente schiavo dell’Americanismo e sono tutto fuorché una indifferenziata, un’informe «massa piccolo-borghese di uomini-nomadi isolati, disperati». Ma quale Prometeo si assumerà il compito titanico di sfidare i progetti del Dio Denaro, traghettando l’uomo fuori dalla storia, per «far rivivere di nuova vita miti sepolti o per evocare vuote ombre?»[1]