"Enduring Freedom" è un fallimento totale
di Luciano Fuschini - 15/09/2014
Fonte: Il Ribelle
Sono passati tredici anni dal famoso 11 settembre e dalla proclamazione di Enduring Freedom, la guerra di lunga durata e senza quartiere che avrebbe dovuto stroncare il terrorismo islamico.
Dopo tredici anni i guerrieri di Allah controllano vaste aree dell’Afghanistan, proclamano il Califfato fra Siria e Iraq, incendiano la Libia, dilagano in vaste aree dell’Africa nera.
Allora, delle due l’una: o Enduring Freedom è stata un colossale fallimento, o il vero obiettivo delle guerre americane era un altro, non il fondamentalismo islamico: per esempio seminare il caos disgregando nazioni a tutto vantaggio di Israele, oppure circondare Cina e Russia di basi in un’area strategicamente decisiva anche per le risorse energetiche.
L’ipotesi che il vero obiettivo fosse un altro, appare molto più fondata. Ancora di più oggi.
L’Internazionale Islamica, che assume volta per volta nomi e sigle diverse, appare negli anni ’80 in Afghanistan. Combatte i sovietici, usufruendo della logistica offerta dal Pakistan, alleato degli USA, del finanziamento e del reclutamento garantiti dall’Arabia Saudita, pilastro del sistema di dominio americano, e delle armi fornite dalla CIA. Fa un ottimo lavoro contro l’Armata Rossa, scalfendone il prestigio e contribuendo all’implosione dell’URSS.
Riappare negli anni ’90 prima in Bosnia e poi nel Kosovo, in coordinazione con la NATO: gli aerei dell’alleanza occidentale colpiscono dal cielo e l’Internazionale Islamica fa il lavoro sporco a terra.
Negli stessi anni un’Internazionale Islamica opera in Cecenia, spina nel fianco di una Russia che vorrebbe risorgere dalle ceneri dell’URSS.
Nel primo decennio del XXI secolo l’Internazionale Islamica agisce in Iraq, questa volta apparentemente contro gli invasori occidentali, ma le barbute bombe umane si fanno esplodere soprattutto nei mercati e nelle moschee dei quartieri sciiti, provocando una scissione nella guerriglia patriottica che tanti grattacapi stava dando alle forze occupanti.
Nel 2011 torna la cooperazione con la NATO, in Libia. I bombardieri colpiscono dal cielo, l’Internazionale Islamica fa il lavoro sporco a terra. Intanto altri guerrieri di Allah mettono a ferro e fuoco la Siria di Assad, invisa all’Impero perché è alleata dell’Iran e ospita basi russe.
Al culmine di questa serie storica, appare ISIS.
Con una rapidità sorprendente conquista un vasto territorio. I satelliti spia, gli aerei che fotografano l’intera superficie terrestre, sembrano non accorgersi di colonne di armati e di mezzi di trasporto che attraversano zone pianeggianti o desertiche. La reazione degli americani è tardiva e debole, e viene decisa solo dopo che due dei loro sono barbaramente sgozzati davanti alle telecamere.
Il fatto è che ISIS è servita a creare le condizioni per due mosse che gli USA volevano fare su quello scacchiere. Intanto eliminare il governo di Al-Maliki in Iraq, troppo amico dell’Iran. Successivamente, offrire il pretesto per entrare in Siria. Il tentativo era già stato fatto l’anno precedente con la vicenda delle armi chimiche di Assad, ma la reazione della Russia lo aveva frustrato. Sicuramente quell’episodio è stato tanto umiliante per gli inquilini della Casa Bianca che hanno deciso di prendersi la rivincita.
Chi volesse scommettere su bombardamenti in Siria che per qualche motivo colpiscono non solo ISIS ma anche le truppe di Assad, oppure su un incidente come spari della contraerea siriana, veri o presunti, che provocherebbero la reazione massiccia dei bombardieri e dei droni, avrebbe buone probabilità di vincere la scommessa.
Tuttavia i guerrieri di Allah non sono semplici burattini nelle mani di chi tiene i fili. Odiano l’Occidente e possono sfuggire al controllo. Nemmeno la strategia che consiste nel seminare il caos è lungimirante. Dal caos scaturiscono linee di forza che possono prendere direzioni imprevedibili. Anche la strada per Tel Aviv e Gerusalemme.