Cosmopolis, viaggio nel mondo globalizzato
di Nicolas Fabiano - 15/09/2014
Fonte: L'intellettuale dissidente
Più che gli economisti o i politici forse sono proprio i visionari, gli scrittori quale il celebre Don DeLillo a capire meglio i possibili orizzonti dell’umanità. Cosmopolis, libro portato alla ribalta dalla trasposizione cinematografica di David Cronenberg, racconta un giorno poco quotidiano nella vita di un giovane miliardario. Un’Odissea influenzata dall’Ulisse di Joyce, nella quale si attraversa il quartiere di una città americana a bordo di una lussuosa limousine; e, come sfondo, il caos: il crollo dei mercati finanziari, la disoccupazione, la soglia sempre più alta tra chi ha e chi non ha
Non siamo ancora arrivati a questo. Andiamo con ordine. Era il 1994, l’inizio di un nuovo viaggio per l’umanità. Viene siglato l’accordo di Marrakech e con esso si da vita al WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio. Con essa viene sancita la fine economica della guerra fredda – quella politica era avvenuta 5 anni prima- l’inizio del mondialismo. Con il WTO in pratica si stabilivano regole superiorem non recognoscens rispetto a quelle degli stati, l’inizio di una fase economica della politica: se una multinazionale americana riteneva la norma di un altro paese ostacolo per i propri prodotti, chiedeva al suo governo di porre la questione al tribunale del WTO. E fin li c’era ancora una presenza, un vaglio dello Stato in questione seppur assoggettato ad un interesse privato qual’è quello della multinazionale
Siamo nel 2014. Sono trascorsi vent’anni. Le norme considerate anti-liberali, quindi sfavorevoli al mercato sono state per buona parte rimosse, l’Occidente , piegato alla volontà del mercato, aveva fretta di coinvolgere nel WTO anche la Cina e così a partire dal 2001 abbiamo aperto la porta a ben più di un miliardo di persone. Ora ci stiamo accorgendo dei mali di quel vaso di Pandora che vorremmo tanto richiudere. Ma più di tutto la globalizzazione selvaggia non ha provocato irreversibili danni alle politiche economiche degli stati, non sta soltanto erodendo il potere politico esercitato negli ultimi secoli dallo stato nazionale. No, la globalizzazione proprio per la sua vocazione internazionale ed esportatrice, sta formando dei vuoti di potere proprio nelle zone del mondo che non si vogliono assoggettare ad essa. Come il Medio Oriente. Invece, l’Europa anziché la retromarcia sta accelerando il mercatismo grazie al Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) patto transatlantico sui commerci che si sta contrattando proprio quest’anno tra l’organo più elitario dell’Unione Europea, la Commissione e alcune lobby finanziarie d’America: J. P. Morgan, Microsoft, Goldman Sachs e così via. E’ la libertà, bellezza- direbbe Giorgio Bocca: armonizzazione delle regole del commercio e della finanza tra UE e USA, e ulteriore liberalizzazione degli scambi
Armonizzazione che vorrà dire regole standard per la protezione dell’ambiente e dei consumatori fra i due continenti. Ulteriore liberalizzazione: ovvero la scomparsa del vaglio dello stato su richiesta della multinazionale di turno. Con questo trattato infatti le multinazionali potranno fare da se, aggredendo con cause costosissime i paesi che cercano, o meglio cercavano di fare protezionismo. Ovviamente tutto ciò avvantaggerà i colossi economici, a discapito dei territori dove sono vissute le piccole medie imprese, le stesse che nel secondo dopoguerra hanno generato benessere in un paese come per esempio il nostro, l’Italia. Però ciò che rammarica più di tutto è la totale sconfitta della politica la quale non conterà più niente: infatti con la nascita del TTIP vengono messe a repentaglio non solo famiglie e imprese, ma l’idea stessa di Stato. E questa volta in modo definitivo
Il passo successivo per la verità non lo conosce ancora nessuno. Forse è prematuro dirlo. Ma il neo-liberismo, la recessione degli ultimi anni, l’ossessione politico-economica di mantenere a bada i prezzi fino alla deflazione a discapito dell’occupazione, i pronostici di quest’ultimo trattato tra Europa e America che ci dicono come il PIL avrà una crescita dello 0,01%, fanno presagire il peggio. Di certo non torneremo indietro. Guarderemo crescere la soglia di povertà da una parte, mentre dall’altra alcuni di noi potranno anche arricchirsi, viaggiare in limousine, guardare il caos fuori dai loro vetri e dentro, sulle proprie fronti, tutto l’individualismo e la solitudine della contemporaneità. Avranno capito che il lavoro è limitante come lo Stato che una volta lo garantiva. Il capitale invece – quello poco umano e molto finanziario- da più sicurezze di arricchimento, è più veloce, più flessibile, più adatto alla propria volontà di potenza…ed è per questo motivo che al Mercato piace tanto il fattore produttivo K. Poi crollerà qualcosa come da sempre capita nella storia… magari proprio quel mercato finanziario sul quale si era affidato il ricco di turno. Poco importa; il viaggio proseguirà. Sempre avanti. Dentro una Cosmopolis ancora più grande.