L’insostenibile immutabilità della fisica
di Fabrizio Maggi - 22/09/2014
Fonte: L'intellettuale dissidente
Il secondo principio della termodinamica è fortemente sottovalutato. È uno di quegli aspetti delle leggi naturali che regolano il cosmo sul quale non ci si sofferma abbastanza. Se ne cogliessimo la reale importanza, inonderemmo di messaggi a tema l’intero etere perché il concetto rimanga bene in testa. Esistono diverse formulazioni del principio, un paio in particolare fanno al caso nostro. La formulazione di Kelvin-Planck ci ammonisce: «È impossibile realizzare una trasformazione ciclica il cui unico risultato sia la trasformazione in lavoro di tutto il calore assorbito da una sorgente omogenea». Le implicazioni sono sorprendenti. Se è impossibile effettuare una trasformazione senza avere dispersione di calore, consumando energia per le nostre attività avremo sempre almeno un prodotto di scarto, il calore appunto, che a sua volta può essere considerato una forma di energia. Stiamo aumentando la quantità di energia libera presente sul pianeta disseppellendo e bruciando riserve fossili che Madre Natura ha pensato bene di intrappolare sottoterra in un’ottica di equilibrio. Più energia nell’atmosfera significa eventi naturali più violenti e catastrofici: piogge brevi ma intense, in cui si rovescia in una unica ondata la quantità di acqua che prima si distribuiva nel corso di settimane; aumento dei fenomeni estremi, come trombe d’aria e uragani; siccità più aggressive, perché l’aria calda trattiene più umidità sottraendola al suolo, di fatto inaridendolo, e intercorre più tempo tra una pioggia e l’altra. Per essere chiari, la prossima volta che vi si allaga la cantina o un’ondata di calore stende qualche vostro anziano parente, non prendetevela con il cielo. Non fatelo nemmeno se l’estate è stranamente fredda e piovosa. A giocare con il clima si rimane spesso scottati.
Un’altra formulazione, incorporata da Georgescu-Roegen nella formulazione della sua bioeconomia, ci avverte che l’entropia, o disordine, di un sistema isolato non può diminuire: la circolarità economica è una invenzione umana, qualsiasi processo economico che produca merci materiali oggi diminuisce la possibilità futura di produrre altre merci, poiché nel processo economico la materia si degrada. Le materie possono essere reimpiegate nel ciclo economico solo in misura molto minore e a prezzo di un alto dispendio di energia. Per fare un esempio banale, se un falegname, che avesse a disposizione tutti i boschi del mondo, si mettesse in testa di aumentare la produzione di sedie incrementandola costantemente ogni anno e con valori tendenti a infinito, si scontrerebbe con il sovrasfruttamento della risorsa, un punto di non ritorno in cui la mancata riproducibilità della risorsa comprometterebbe in modo irrimediabile la sua produzione. Più che un esempio è quello che sta già accadendo. E si è fatto riferimento solo alle risorse riproducibili; le risorse non rinnovabili, come i combustibili fossili, oltre a essere disponibili in quantità limitate, una volta esaurite sono perse per sempre (decine di migliaia di anni per la nostra specie equivalgono sostanzialmente a “per sempre”).
Le cose stanno così. Non è né un bene né un male, è semplicemente il modo in cui è costruito l’universo, qualcosa su cui, una volta tanto, non possiamo sindacare. Possiamo rimettere l’uomo, e di riflesso la natura, al centro dell’economia o continuare ad inseguire le macchine e i ritmi che ci impongono in questa specie di delirio tecnocratico. Il punto è che le macchine hanno la possibilità di funzionare senza aria pulita, senza acqua e senza cibo. Noi invece no.