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Cavie da laboratorio

di Andrea Marcon - 22/10/2014

Fonte: Il giornale del Ribelle

 
 


 

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 Il c.d. “decreto stadi” è stato definitivamente approvato dal Parlamento, con la rapidità e la solerzia dovuta ad un problema di ordine pubblico così rilevante. In un Paese che conta circa 500 morti all’anno per violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, è evidente che debba avere la priorità assoluta il fenomeno della violenza negli stadi, che di vittime ne ha causate meno di dieci (compresi gli omicidi commessi da poliziotti) negli ultimi 30 anni. Del resto la dittatura mediatica significa proprio che ciò che conta è solo quello che finisce nell’occhio della telecamera. La morte del povero Ciro Esposito indigna (giustamente), mille altre passano inosservate. Chi “regge” la telecamera, in definitiva, detta la priorità dell’agenda politica. Niente di sorprendente, la storia recente è piena di episodi ancora più significativi di questo meccanismo, vedasi da ultimo le vittime dell’ISIS a confronto con quelle di oltre dieci anni di stragi americane in Afghanistan.

 

Purtroppo non sorprende neppure il silenzio, o peggio ancora il plauso, che sta accompagnando l’introduzione di una legge che difficilmente avrebbe potuto essere approvata nel Cile di Pinochet. 

Autentiche “perle” come la sperimentazione della pistola elettronica, la parificazione degli ultras a mafiosi e terroristi sotto il profilo dell’applicazione di misure restrittive della libertà personale, l’introduzione del DASPO di gruppo (un abominio giuridico senza precedenti), l’arresto in flagranza differita per chi intona cori di “discriminazione etnica e territoriale” non sono però semplicemente provvedimenti di stampo autoritario e liberticida. Sono sperimentazioni molto più sofisticate, perfettamente in linea con lo spirito dei tempi, nei quali alla democrazia (se mai è esistita) si sostituisce il sondaggio di gradimento, allo Stato di diritto quello di emergenza, alla censura l’apartheid mediatico, all’olio di ricino il DASPO.

Il Potere non deve far paura, deve creare i presupposti perché sia il cittadino bue ad invocarne l’intervento senza badare troppo al sottile.

Funziona più o meno così: prima di tutto si crea l’emergenza. In questo è fondamentale, come abbiamo appena detto, il ruolo dei media. Ma sbaglierebbe chi pensa che siano per forza tutti pilotati. Qui, ed è questo in fondo il vero dramma, non c’è neppure bisogno della Spectre. Qualche giornalista cerca anche la verità, ma in un mondo nel quale la verità è solo quella che appare (in televisione), al giornalista stesso non resta che amplificare un fenomeno di per sé già mediatico. Ed il calcio, specie in Italia, si presta perfettamente allo scopo. Un insulto razzista pronunciato in una lite tra automobilisti non fa notizia, ma se è proferito durante la rissa di una partita di serie A scatena processi mediatici infuocati, con spietata caccia alla lettura del labiale incriminato. È facile dunque far apparire una scazzottata da stadio come un grave ed intollerabile problema di ordine pubblico e Genny la carogna un cancro da estirpare al pari di Osama Bin Laden (l’accostamento non è casuale…). Basta leggere, ad esempio nel blog dei quotidiani on line, i commenti dei lettori a notizie come quella relativa all’approvazione della legge in questione: il più moderato si scandalizza perché invece del DASPO andrebbe data la galera.

Gli stadi, nella ricostruzione mediatica della realtà, vengono dipinti come luoghi dove le attività criminali dilagano senza controllo, autentiche terre di nessuno dove sarebbe in vigore un diritto molto più lassista e mite nei confronti dei delinquenti. Strano, pensavamo che questo fosse vero per certi quartieri dove la Polizia neppure osa entrare o per interi paesi dove regna la pax mafiosa, non per un luogo al quale non si può accedere neppure con un accendino in tasca, dove è vietato usare un megafono, si entra previa identificazione con un apposito strumento (la tessera del tifoso), si è costantemente spiati dalle telecamere e sono schierate imponenti forze di Polizia.

Una volta creato (o infinitamente ingigantito, che è la stessa cosa) il problema, scatta la necessità delle inevitabili contromisure. Non bastano le leggi ordinarie, urgono provvedimenti speciali. Ad invocarli è il popolino, quello che si esprime sui social network o nei talk show, questa massa indiscriminata al contempo generatrice e vittima delle idee che fanno tendenza. Al massimo è indifferente davanti all’ennesima violazione di quelli che vengono ancora spacciati come diritti inviolabili.

E poi, diciamolo chiaramente: ma chi se ne frega degli ultras. Quattro imbecilli violenti che si picchiano per un pallone non meritano altro.

È passato il Patriot Act, cosa volete che sia la legge sugli stadi?

Ed ecco che è bello pronto un pacchetto di misure che domani potrà tornare buono per qualche altra categoria, magari i manifestanti nelle piazze. Certo, solo quelli violenti e cattivi. Tipo, che so, i NO TAV. Una bella pistola elettrica calmerà anche i loro bollenti spiriti.

È ora di farla finita con questa gente che ha ancora voglia di indignarsi, di lottare, di resistere. Che non si mette in fila in strada solo per comprare l’ultima generazione di I-phone.

Un po’ di repressione, ma soprattutto il consenso – o il silenzio – di chi è rimasto in casa. Statevene lì, sotto una calda coperta. Accendete la televisione e gustatevi lo spettacolo.