Libero mercato: teoria e realtà
di Tommaso Segantini - 22/10/2014
Fonte: L'intellettuale dissidente
Il neoliberismo è un sistema di princìpi (noto come Washington Consensus) che si basa sulla centralità del mercato. Le regole su cui si basa il neoliberismo sono le seguenti: liberalizzare il commercio e la finanza, eliminare l’inflazione (per mantenere la “stabilità economica”) e privatizzare il più possibile. Lo Stato, secondo questa ideologia, deve occuparsi di questioni secondarie e non deve interferire nelle questioni economiche per non intralciare il buon funzionamento del mercato. Questa è la versione ufficiale diffusa dai governi che sostengono e promuovono il Washington Consensus e dalle principali riviste economiche. Se si seguono alla lettera i principi elencati sopra, afferma il dogma neoliberista, l’economia crescerà, si creeranno posti di lavoro, e tutti gli strati della popolazione ne trarranno, prima o poi, beneficio. Questi risultati predetti dagli artefici del Washington Consensus non sono supportati da nessuna prova empirica.
Come afferma Chomsky, però, occorre distinguere tra teoria e realtà. Quelli che abbiamo appena descritto sopra sono i princìpi teorici del neoliberismo. La realtà, infatti, è abbastanza diversa. Un aspetto interessante dell’analisi della realtà è questa: le nuove potenze mondiali emerse verso la metà dell’Ottocento (ovvero l’Europa Occidentale, gli Stati Uniti e il Giappone) sono diventate tali violando il principio di libero mercato che esse stesse promuovono. Il Giappone, ad esempio, è diventato una potenza economica mondiale perchè ha respinto le dottrine economiche degli Stati Uniti, optando invece per una politica economica in cui lo Stato ha avuto un ruolo importante. Un’altro esempio, più recente, è lo straordinaro sviluppo economico del Sud Est Asiatico: in uno studio condotto dalla Banca Mondiale, è emerso che “i governi della regione si sono assunti la importante responsabilità di promuovere la crescita economica abbandonando il dogma dell’infallibilità dei mercati”. “La crisi finanziaria del 1997 che si è abbattuta sulla regione”, continua lo studio, “è in parte frutto dell’abbandono delle strategie che avevano portato a risultati così incoraggianti, per esempio la creazione di mercati finanziari ben regolati”. L’abbandono di queste strategie è stato in buona parte causato dalle pressione dall’Occidente. Le nazioni che dominano tuttora lo scenario economico internazionale, mentre adottavano politiche interventiste, imponevano agli altri paesi le dottrine del Washington Consensus. Questo ci può gia portare ad una prima conclusione: la dottrina del libero mercato è emersa in due versioni: la prima è quella ufficiale, imposta ai paesi in via di sviluppo in modo da sfruttarne le risorse. La seconda è quella che Chomsky chiama “la dottrina del libero mercato realmente esistente”, ovvero il libero mercato va bene per te ma non per me. Il liberismo forzato imposto ai Paesi del Terzo Mondo è, secondo Chomsky, una delle cause principali della sua ritardata industrializzazione.
A metà dell’Ottocento, dopo 150 anni di protezionismo, e quindi dopo aver beneficiato di un enorme vantaggio su tutti i suoi concorrenti, l’Inghilterra si converte alla dottrina liberista da lei stessa teorizzata (non senza eccezioni, visto che lo Stato continuò a intervenire più volte nelle questioni economiche, e di fatto andando contro la dottrina del libero mercato). Lo stesso fecero gli Stati Uniti: dopo più di un secolo di interventismo statale, si convertirono anche loro al liberismo, avendo ormai la certezza di poter battere tutti i concorrenti, grazie alla ricchezza e alla potenza guadagnati negli anni passati. Anche in questo caso però non fu una conversione completa, cioè senza eccezioni. Secondo la teoria del libero mercato, infatti, i sussidi pubblici alle imprese private non sono ammessi. Ma i settori più dinamici più dinamici dell’economia statunitense (biotecnologia, comunicazioni, elettronica) sono costantemente sovvenzionati dallo Stato. Uno studio sulle multinazionali (risalente al 1997 ma ancora attuale) ha concluso che “la posizione concorrenziale di quasi tutte le principali aziende del mondo hanno risentito in misura decisiva delle politiche o dalle barriere commerciali adottate dai governi”.
Le conseguenze sociali dell’applicazione dei principi neoliberisti sono state devastanti (per avere un’idea del fenomeno si consiglia questo articolo del Guardian:http://www.theguardian.com/global-development/poverty-matters/2013/apr/16/legacy-margaret-thatcher-neoliberalism ). Gli Stati Uniti e gli altri Paesi che dominano lo scenario economico internazionale violano a loro piacimento le dottrine che essi stessi impongono ad altri Paesi. La consapevolezza dei popoli è l’arma più forte che abbiamo: occorre fare resistenza e ribellarci di fronte alle ingiustizie di questo sistema economico a due facce.