Apologia dell’immigrato
di Giovanni Arena - 22/10/2014
Fonte: L'intellettuale dissidente
Il fenomeno dell’immigrazione rappresenta forse la sfida più ardua per la società contemporanea. Secoli di colonizzazioni e successive decolonizzazioni, che in realtà si sono concretizzate in diverse ma non meno aggressive forme di dominio territoriale, hanno reso il continente africano un campo di battaglia senza tregua. L’alternarsi di regimi dittatoriali e di pseudo democrazie imposte dai vertici delle organizzazioni internazionali e dall’Occidente, non hanno fatto che peggiorare una situazione già abbastanza complicata a causa di lotte fratricide, di persecuzioni religiose e dello strapotere dei così detti Signori della Guerra, armati guarda caso proprio dalle democrazie occidentali. Se si considera poi quella che viene chiamata la Primavera Araba, ovvero il biennio in cui Egitto, Siria e Libia in particolare, sono stati teatro di sommosse contro i regimi vigenti in favore di forme di governo improntate sul modello occidentale, è impossibile interpretare il fenomeno dell’immigrazione come un semplice flusso migratorio di uomini. Dai Paesi distrutti dalla guerra, dalla fame e dalla sofferenza, sono partiti barconi di uomini, donne e bambini, fuggiti dalla loro terra in cerca di un futuro migliore. E, come abbiamo sopra affermato, non si può non attribuire all’Occidente una grossa porzione di responsabilità.
L’Italia rappresenta il principale punto di attracco per i barconi, se non altro per la sua posizione logistica. Un problema immigrazione esiste. Esiste e non si tratta di una pratica semplice da risolvere. I numeri dell’immigrazione sono spropositati. In un momento di crisi economica, inolte, la circolazione incontrollata di migliaia di concorrenti per pochi posti di lavoro genera competizione sociale, che spesso si trasforma in odio sociale. Ma da chi è alimentato questo odio sociale? Chi c’è dietro la mentalità che mira a dipingere l’immigrato come un nemico, un conquistatore? E, creato l’odio sociale, chi fa leva su di esso per accaparrarsi qualche manciata di voti in più? E ancora, chi fa finta di non ricordare, anzi, proprio non ricorda, le cause primordiali del fenomeno dell’immigrazione, le sue radici storiche?
Il 18 ottobre, Milano e Reggio Calabria hanno ospitato due manifestazioni contro la gestione scriteriata dei flussi migratori, rispettivamente organizzate da Lega Nord e Fratelli d’Italia. Ma se lo stato d’animo alla base delle manifestazioni può essere considerato legittimo e l’opposizione alle folli politiche sull’immigrazione condivisibile, è altrettanto vero che gli slogan esposti a Milano e a Reggio Calabria suggeriscono che il punto di partenza di questa battaglia politica è errato, i suoi presupposti inesistenti, le sue modalità inconcepibili. Il titolo della manifestazione di Milano è stato “Stop Invasione”. Bisognerebbe ricordare a Matteo Salvini il significato che ha avuto nella storia il termine “invasione”. Si parla di invasione quando un popolo, unito da un sentimento comune, da un obiettivo stabilito e da una cultura aggregante, marcia organizzato verso un territorio straniero con lo scopo di occuparlo se non di conquistarlo. E’ evidente che in questo caso i presupposti per parlare di invasione non esistono. Si tratta infatti di uomini, donne e bambini che fuggono dalla fame, dalla guerra e spesso dalla morte. Il leader della Lega Nord fa leva su un naturale sentimento di paura e di rifiuto nei confronti dell’immigrato, trasformando tale sentimento, come abbiamo detto prima, in odio sociale. L’immigrato è il nemico, l’invasore, lo stupratore, il ladro, l’assassino, l’ubriacone.
Dalla parte opposta dello stivale, lo slogan di Fratelli d’Italia recita “Prima gli Italiani”, facendo leva sul sentimento nazionale. Si tratta di posizioni superficialmente nazionaliste. Non stiamo parlando, infatti, di una semplice minoranza cui il governo italiano sta concedendo maggiori diritti mentre bypassa i bisogni del popolo italiano. Si tratta di una moltitudine di uomini spinti a lasciare la propria terra per garantire a loro stessi e alle proprie famiglie la sopravvivenza, un avvenire. Una destra che si definisce sociale non può ragionare dividendo la società in cittadini di serie A e di serie B. Manca ancora una volta una classe politica umana, lungimirante, saggia, di elevato spessore morale, di spiccato senso della comunità, in grado di comprendere, oltre i confini nazionali che pure devono essere difesi, il valore dell’essere umano e il diritto di ogni uomo ad un’esistenza dignitosa. La nostra classe politica ha chiaro invece il solo manuale del politicante, l’abilità di cavalcare le correnti emotive del popolo e la volontà di educarlo all’apparenza e alla superficialità.