Il nuovo corso dell’ecologismo
di Dylan Emanuele de Michiel - 26/11/2014
Fonte: L'intellettuale dissidente
L’opinione pubblica è in stallo dopo che il segretario del Partito Animalista Europeo ha esultato per la morte del Presidente del Consiglio Regionale del Trentino, che aveva promosso la cattura dell’orsa Daniza: i paladini degli animali (orsi reintrodotti con fondi europei, dietro ai quali ci sono più interessi economici che spirito ambientalista) si sono macchiati di una aggressività che non si spiega tenendo conto della loro sensibilità di fronte alla morte di altri viventi. La vicenda in sé è ancora più controversa se si pensa alla leggerezza con cui si è deciso di catturare l’orsa qualche mese fa per una colpa totalmente umana, sembra assurdo pensare che un frequentatore di boschi non sappia che è sconsigliabile avvicinarsi ad una madre con i suoi piccoli, di qualsiasi specie sia. Di fronte a questa storia che si carica sempre più di gesti assurdi occorre riflettere sull’animalismo e l’ambientalismo, due fronti che sono intimamente legati. Le uscite incoerenti sono anche causate da un’ignoranza del proprio orizzonte culturale e le polemiche sollevate da queste correnti non vanno abbracciate a priori ma vanno meditate, per non essere preda di facili e vuoti entusiasmi.
Non ci può essere strumento di critica all’esistente più cogente dell’ambientalismo. Il consumismo ha per suo limite fisico, contro il quale ben poco si può obiettare, la finitezza delle risorse naturali. Non è certo un’osservazione nuova: il movimento della Decrescita Felice trae spunto proprio da questo fatto. Un progetto di critica costruttiva che ignori questo assunto è destinato a rimanere utopia. Ma se le basi teoriche sono corrette, non per questo lo devono essere anche i risultati. La teoria della Decrescita sembra più uno strumento funzionale a sedare una parte del dissenso che una vera critica. I suoi sviluppi guidati dal mito di un pauperismo felice mal si sposano con la condizione di molti occidentali di una decrescita infelice che stanno vivendo sulla loro pelle. Non si può parlare di decrescita in un contesto di aumento della povertà, dove troppi non sanno cosa sia il consumo perché a malapena riescono a sopravvivere. L’ecologismo deve puntare ad un incontro con quelle forze di cambiamento che propongono una reale modifica della struttura produttiva internazionale se vuole guadagnare consensi, non isolarsi in miti quasi preistorici (attraenti per molti in questo contesto snaturante, ma non proponibili come progetto politico) o in azioni puramente simboliche. Perché ecologismo e anticapitalismo marciano nella stessa direzione? In primo luogo perché l’economia capitalistica ha come suo fondamento teorico l’illimitatezza del guadagno, contrapposta ai limiti della natura; l’ecologismo mira, poi, a conferire valore a tutte le forme di vita (uomini compresi), mentre la burocratizzazione dell’economico considera ogni bene come una merce il cui valore è direttamente proporzionale al guadagno che può generare. Va ribadita, nel caso in cui si parli di ambientalismo, l’inclusione dell’uomo negli esseri da difendere. Troppo spesso si osserva una violenza, che maschera un odio represso di fondo, nei confronti dell’uomo “cattivo” rispetto alla natura “buona”.
Come la lotta vera per il lavoro non può più giocarsi coerentemente in questo sistema, così non lo può fare la lotta per l’ambiente. L’opposizione viene da più fronti in modo non organico, nell’incomprensione della comunanza di intenti e basi teoriche. Il vero ecologismo deve cambiare i suoi modi, troppo spesso ammantati di una misantropia repellente ai più, i suoi fini, non una critica soft e politicamente corretta, e le sue alleanze, per rientrare in un cosmo coeso e autenticamente rivoluzionario.