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Italia s.p.a.

di Dylan Emanuele De Michel - 05/01/2015

Fonte: L'intellettuale dissidente


La macchina statale è ridotta ad essere un'azienda privata schiava delle leggi del mercato e la decisione di colpire gli statali "fannulloni" non è un richiamo lecito e sensato, ma un indizio del degrado.
  

La nostra congiuntura storica può essere interpretata in due modi: l’economico ha fagocitato il politico e lo controlla interamente, erodendo qualsiasi spazio decisionale; il politico ha fatto dell’economico uno strumento di governo semplice ed efficiente contro al quale non fa nulla per convenienza propria. Quale che sia la più aderente ai fatti non è molto importante, la realtà è che economico e politico sono interamente fusi. Con politico si intende tutta la macchina statale, non solo l’esecutivo, quindi l’intero stato è assorbito nei giochi economici. Questo è il problema che già Hegel aveva individuato, ovvero la confusione fra società civile e stato nel liberalismo. Nel mondo liberale la società civile abbassa ai propri interessi egoistici e svuota di significato lo stato, che perde il suo carattere di uguaglianza e superiorità. In questo senso lo stato scompare, o meglio oggi si osserva la tendenza dello stato a diventare come una società privata a tutti gli effetti.

Che il settore pubblico non pecchi per efficienza e trasparenza non è un mistero. La macchina statale italiana è perfezionabile ed è inutile fare l’apologia dello statale medio a priori, non c’è prova per cui ogni impiegato statale sia un lavoratore diligente (né del contrario, del resto). Ma in che senso vanno lette le recenti dichiarazioni del premier e del ministro Madia circa la possibilità di licenziare gli statali “fannulloni”? Un semplice richiamo alla disciplina dei lavoratori di qualsiasi settore non è colpevole di nulla, ma il messaggio che deve passare è un altro: lo stato non è niente più che un’azienda e come tale i suoi dipendenti devono essere efficienti al 100%. Occorre capire, secondo loro, che lo stato non può più considerarsi superiore alla società civile e che non può più estendere tutele, è solo una società che deve amministrare la burocrazia per permettere all’economia di fare il suo corso. Come primo passo, quindi, i lavoratori pubblici vanno messi nelle stesse condizioni di quelli privati, in balia delle fluttuazioni del mercato. C’è questo, infatti, da aggiungere: se il mercato pretende uno stato più “leggero”, i dipendenti vanno licenziati perché inefficienti e non vanno sostituiti. Questo è solo uno dei passi verso la realizzazione dello stato neoliberale: minimo, leggero, flessibile, svuotato di significato, senza potere decisionale.

È proprio la mancanza di autorità e potere che dovrebbe preoccupare nello stato-azienda che ci viene proposto. L’accidia di qualsiasi politico di fronte ai problemi oggi è già insopportabile, se questo diventerà la prassi generale non si potrà che annegare nella palude. Per questo occorre lottare per ridare dignità e autorità allo stato attraverso la smentita pratica della pigrizia dei dipendenti pubblici da un lato, dall’altro la difesa della sua autonomia rispetto a qualsiasi vincolo economico o politico che ne promuova la distruzione e la perdita di significato.