Il potere di chi crea moneta
di Benedetta Scotti - 14/04/2015
Fonte: L'intellettuale dissidente
La moneta, questa monopolizzatrice della vita quotidiana, rimane compresa da pochi. Dai più viene semplicemente data per scontata. Come notava Pound in Oro e Lavoro: “Quando uno vi domanda cosa sia la moneta, voi non sapete cosa siano i biglietti da dieci lire e i pezzi di venti centesimi che avete in tasca”. Ignoranza non beata se si considera che i rapporti di forza economici a livello nazionale e internazionale dipendono grandemente dai meccanismi sottostanti alla creazione della moneta. Un’analisi finalmente non banale è quella proposta da un recente report (qui il link: http://www.egaliteetreconciliation.fr/L-Islande-veut-redonner-le-monopole-de-la-creation-de-monnaie-a-sa-banque-centrale-32140.html) commissionato dal governo islandese e avallato dall’ex presidente dell’autorità per la vigilanza finanziaria del Regno Unito, Adair Turner. Tesi di fondo di tale indagine è che l’instabilità dell’odierno sistema finanziario sia ascrivile alla capacità delle banche commerciali di creare moneta e, di conseguenza, potere d’acquisto. Il report parte da un dato assai indicativa: dal 1970 ad oggi ci sono state 147 crisi bancarie in 115 paesi. A tali crisi, in particolare a quella deflagrata nel 2008, si è risposto con una sempre più complessa, ma di dubbia efficacia, regolamentazione bancaria/finanziaria che, tuttavia, ha lasciato la natura del sistema bancario pressoché intatta.
Contrariamente a quanto comunemente pensato, la quantità di moneta in circolazione in un’economia non viene fissata dalla Banca Centrale. Certo, quest’ultima emette moneta, che sia metallica, cartacea o elettronica. Di fatto, però, la gran parte della massa monetaria circola sotto forma di depositi a vista che le banche commerciali sono in grado di creare dal nulla ogni volta che erogano un prestito. Come spiega la Banca d’Inghilterra (2014): “Quando una banca concede un mutuo, non lo fa consegnando al richiedente migliaia di sterline in banconote. Piuttosto, accredita il conto del richiedente con un deposito bancario pari al mutuo richiesto. In tale modo nuova moneta viene creata”. In altre parole, al prestito erogato corrisponde un nuovo deposito che non attinge a depositi esistenti. Questo meccanismo risulta estremamente vantaggioso per le banche che possono finanziare investimenti e prestiti (attivi) creando depositi (passivi) dal nulla. Se è vero che la banca paga un tasso di interesse sui depositi, è anche vero che tale tasso è di gran lunga inferiore rispetto a quello che pagherebbe finanziandosi direttamente sul mercato. Infatti, i clienti sono disposti ad accettare tassi pressoché nulli per due motivi. Primo, per mantenere i depositi “liquidi” ed attingervi per i propri pagamenti. Secondo, perché sanno che il rischio di perdere di perdere i propri depositi è praticamente nullo, presumendo un intervento governativo in caso di panico bancario e corsa agli sportelli. Ad esempio, nel 2008 il governo islandese si vide costretto a garantire interamente i depositi delle banche locali onde evitare un collasso dell’intero sistema. Intuitivamente, l’esistenza di simili “garanzie implicite” incoraggia pericolose prese di rischio da parte delle banche che tendono ad erogare prestiti a fronte di nuovi depositi, generando un’incontrollata espansione della massa monetaria circolante. Senza troppa considerazione per la realtà, ovviamente. Si consideri di nuovo il caso dell’Islanda, il cui sistema bancario è stato uno dei primi a essere travolto dal ciclone del 2008, come ben illustrato dal documentario Inside Job. Tra il 1986 e il 2006, il PIL islandese è cresciuto in media del 3.2% annuo; l’offerta di moneta da parte delle banche commerciali islandesi, invece, del 18.6% annuo. È legittimo sospettare che discrepanze di tale portata tra crescita dell’economia reale e della massa monetaria abbiano giocato un ruolo decisivo nella formazione delle recenti bolle speculative. Ed è altresì legittimo sospettare che puntare sulla mera regolamentazione bancaria sia una strategia affatto risolutiva. Che fare, dunque?
Secondo il report in questione, la soluzione non può che essere radicale: separare la creazione e l’allocazione della moneta. In altre parole, proibire alle banche commerciali di creare moneta per finanziare i loro stessi attivi, ridimensionandole nel loro originale ruolo di intermediari finanziari. Più semplicemente, rinnegare il principio che ha orientato l’attività bancaria dal XVII secolo ad oggi. Una vera e propria rivoluzione centrata sull’introduzione di una Moneta Sovrana, controllata esclusivamente da una Banca Centrale indipendente, messa in circolazione tramite spesa pubblica, alleggerimenti fiscali o distribuzione di un dividendo nazionale (come già aveva proposto Douglas, teorico del Credito Sociale, nel primo Novecento). Certo, se possa esistere una Banca Centrale seriamente indipendente è discutibile, così come problematico sarebbe il ruolo del governo nell’allocazione della moneta. Ma riconoscere che vi sia qualcosa di sistematicamente sbagliato nell’attuale logica della moneta è già un gran passo avanti.