Strategia dell’imperialismo USA, analogie storiche con l’impero Britannico?
di Luciano Lago - 03/06/2015
Fonte: controinformazione
Se ci soffermiamo ad analizzare le caratteristiche dell’imperialismo statunitense nella sua proiezione storica dobbiamo considerare che , per quanto questo presenti una propria peculiare fisionomia, l’imperialismo USA è un diretto discendente ed erede di quello che fu l’imperialismo britannico.
Ci sono delle indubitabili somiglianze storiche fra i due fenomeni che possono essere individuate in particolare nella Storia degli ultimi 70 anni, nell’epoca moderna, senza andare alle origini dell’imperialismo USA, che risalgono a quella che viene considerata dagli storici la prima guerra imperiale degli USA, quella Ispano americana del 1898 per estromettere la Spagna dai suoi possedimenti coloniali e costituire un protettorato di Washington su Cuba,su Puertorico ed avere il controllo sulle Filippine.
Il progenitore dell’imperialismo USA, quello britannico, presentava delle caratteristiche analoghe ma con delle differenze dovute alla sua lunga fase terminale di decadenza, che spinse la Gran Bretagna ad una politica maggiormente repressiva ed aggressiva nell’ultimo periodo della sua storia, esattamente come oggi avviene con la politica imperiale degli USA.
Il principio essenziale seguito dai britannici nel mantenimento del proprio impero, il più esteso della Storia che abbracciava tutti i cinque continenti, nelle colonie e nei possedimenti della corona britannica, fu quello del “divide et impera” ed è lo stesso principio che attualmente ispira la politica di egemonia di Washington sui vari scacchieri internazionali. Questo principio, che era stato fondamentale per il consolidamento della dominazione britannica, è stato adottato dai principali consiglieri della Casa Bianca i quali hanno anche pubblicato e teorizzato quale debba essere il sistema a cui deve attenersi la politica di Washington per mantenere la propria egemonia unipolare (vedi: la grande scacchiera di Z. Brzezinski ) ed a questo si sono sicuramente attenuti i presidenti delle varie amministrazioni USA succedutesi nella Casa Bianca. Le vicende della ex Jugoslavia negli anni 90, le vicende attuali della Siria, della Libia e dell’Iraq, gli ultimi stati in ordine di tempo, oggetto di “attenzione” da parte della strategia USA, sono lì a confermarci questa teoria.
Il metodo seguito dagli USA è analogo a quello a cui storicamente si attenne la Gran Bretagna nelle sue colonie: esso consisteva in una fondamentale tendenza alla manipolazione delle identità etniche e razziali, per dividere e dominare le popolazioni assoggettate all’impero coloniale di sua Maestà Britannica, un sistema sperimentato per creare incidenti, tensioni razziali e provocazioni studiate per avere il pretesto di scatenare la repressione. Se si leggono le memorie del britannico Colonnello (brigadier) Frank Kitson, questi teorizzò per primo il metodo seguito dalla Gran Bretagna, della manipolazione, metodo che allora venne denominato come ‘pseudo gang’— la creazione di un gruppo sponsorizzato dallo stato, utilizzato per portare avanti alcune azioni di provocazione, per screditare la vera opposizione e fornire il pretesto per l’intervento militare. La strategia venne utilizzata dalla Gran Bretagna sicuramente in Kenia contro le tribù dei “mau mau”, come anche fu utilizzata con successo nell’ Irlanda del Nord. In quest’ultimo paese vennero utilizzate le così dette “squadre della morte” affiliate ai servizi segreti per compiere azioni di violenza che venivano poi attribuite ai “lealisti”. Vedi: Historyireland
Potremmo definire queste, in termini attuali,le prime prove di “false flag”, operazioni che l’impero USA ha cinicamente attuato in molte occasioni della sua Storia per creare conflitti e giustificare i propri interventi militari (vedasi il naufragio del Lusitania del 1915 che creò il pretesto dell’entrata in guerra degli USA nel primo conflitto mondiale o l’incidente del Golfo del Tonchino del 1964 che precedette la guerra in Vietnam ). Vedi: False flag e guerre americane .
Gli Stati Uniti si sono a loro volta specializzati nei loro interventi nella strategia di generare il caos, destabilizzare un paese (qualora fosse necessario per metterlo sotto il proprio controllo ), rovesciare il governo esistente, sobillare le rivalità etniche e confessionali fra le popolazioni (ad esempio: sunniti contro sciiti in Medio Oriente), utilizzare le bande terroriste e mercenarie per seminare paura e distruzione, intimidazione degli avversari.
Tutto il processo viene accompagnato da quello che allora i britannici non possedevano ancora: il totale controllo del gigantesco apparato dei grandi media internazionali (mega media) mediante il quale viene veicolata una massiccia propaganda per manipolare le informazioni, falsare i fatti, demonizzare gli avversari e convincere l’opinione pubblica della necessità di un proprio intervento per “pacificare” ,”portare la democrazia” e stabilizzare il paese.
Quando la situazione arriva al limite con guerra civile, bande mercenarie incontrollate, distruzioni delle infrastrutture ed elevato numero di vittime civili, allora i tempi diventano maturi per un intervento militare diretto o indiretto che metta in atto il piano predisposto da tempo.
L’intervento statunitense, quasi sempre effettuato con il supporto dei loro alleati regionali, è naturalmente coperto con i finti obiettivi descritti sopra, occultando invece le vere finalità che sono quasi sempre quelle dello sfruttamento delle risorse del paese (petrolifere o minerarie), controllo strategico mediante la creazione di basi militari, instaurazione di un regime fantoccio, manovrato da Washington, in alcuni casi l’intervento degli USA prevede un diverso assetto territoriale con suddivisione del paese in più stati (vedi ex Jugoslavia ieri ed oggi il progetto di divisione per la Libia, quello proposto oggi per l’Iraq, per la Siria e per la Nigeria).
Le responsabilità per la destabilizzazione avvenuta del paese e per i crimini compiuti contro i civili vengono normalmente attribuite alla parte sconfitta ed è frequente imbastire anche un processo presso la Corte Penale internazionale, come avvenne per il leader serbo Milosevic ed come era avvenuto in precedenza per il presidente panamense Manuel Noriega, deposto dagli americani nel 1989. La Storia è costellata di questi episodi come quello della deposizione ad opera della CIA del governo iraniano di Mossadegh, nel 1953, un governo democraticamente eletto, che fu rovesciato e sostituito dall’intervento USA con la salita al potere del premier, Fazullah Zahedi ed il ritorno sul trono dello Scia Reza Pahlawi, un fantoccio degli Stati Uniti. Questo per non parlare dei numerosi interventi degli Stati Uniti nel continente Latino Americano (considerato “el patio trasero”) con esempi quali l’episodio del rovesciamento del governo di Jacobo Arbenz Guzmán in Guatemala nel 1954 o con molti altri episodi simili di aperta ingerenza ed interventi militari diretti o indiretti (Cile, Bolivia, San Salvador, Costa Rica).
L’azione degli ultimi anni svolta dagli USA in Medio Oriente, considerata area strategica per eccellenza, viste le sue risorse petrolifere e dichiarata fondamentale per gli equilibri geopolitici, si è sviluppata secondo questi schemi con un elemento in più, quello dell’alleanza consolidata di Washington con le monarchie petrolifere dei paesi del Golfo, Arabia Saudita, Qatar, Bahrain, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, che sono gli Stati indipendenti (creati a suo tempo dal colonialismo britannico), quelli che politicamente rappresentano i poteri più assolutisti, autoritari, retrogradi ed intolleranti di qualsiasi forma di tutela dei diritti umani, tutti di stretta osservanza islamica wahabita e sunnita. Si tratta dei migliori clienti di Washington (e dei paesi occidentali) nell’acquisto di ogni genere di armamenti, attrezzature militari e sistemi di controllo, un enorme business per l’apparato militare industriale degli USA.
Le monarchie del Golfo (dette “petromonarchie”) rappresentano anche le pedine attraverso cui Washington si muove nell’area (oltre ad Israele) pianificando interventi, foraggiando eserciti mercenari, appoggiando operazioni di aggressione di altri paesi, effettuando un’opera di sobillazione delle rivalità etniche e religiose nelle altre nazioni della regione. Sono questi anche i paesi che fanno da cassaforte ai petroldollari e tramite questi possono finanziare le guerre per procura pianificate dagli USA per mantenere il controllo su tutta l’area e contrastare eventuali potenze emergenti, come l’Iran, considerate ostili ai propri interessi ed alla egemonia statunitense.
L’imperialismo statunitense si è appoggiato a queste monarchie per attuare una strategia che ha come suo obiettivo in prospettiva una balcanizzazione della regione medio orientale, mirata ad indebolire e frammentare i paesi arabi più forti e nazionalisti che avrebbero potuto rappresentare un ostacolo alla propria egemonia ed un pericolo per la supremazia militare di Israele.
L’attenzione degli Stati Uniti si è rivolta prima verso l’Iraq e successivamente verso la Libia e la Siria. Tutti sanno ormai come è stata scatenata una guerra di aggressione contro l’Iraq per abbattere il regime di Saddam Hussein e per annientare la sua potenzialità militare e le infrastrutture di quel paese. Il famoso pretesto delle “armi di distruzione di massa” lanciato con grande clamore mediatico e con false prove dell’amministrazione Bush per attuare il piano di intervento, già da molto tempo pianificato, ha dimostrato quali fossero i reali obiettivi degli USA e come fossero già da tempo pianificati. Si è visto come questo intervento abbia portato il caos e la distruzione di una nazione che era considerata leader nel mondo arabo.
L’intervento degli USA e dei loro alleati non ha apportato alcuna pacificazione ma anzi ha introdotto il terrorismo jihadista (prima inesistente) nel paese ed ha scatenato altre guerre interne fra i gruppi sunniti, sciiti e curdi che costituiscono la popolazione dell’Iraq, grazie ad una attenta opera di sobillazione esterna, facilitata dall’intervento delle bande dell’ISIS , il denominato Stato Islamico, ispirate dall’ideologia wahabita e salafita dell’Arabia Saudita. Il caos ed il conflitto tra queste bande e l’esercito lealista iracheno è arrivato a tali livelli da far affermare ad esponenti dell’attuale amministrazione USA che è giunto il momento di prevedere un nuovo assetto dell’Iraq con la costituzione di un nuovo stato sunnita, nettamente distinto dall’Iraq sciita e dalla parte curda nel nord del paese. Guarda caso questo era esattamente l’obiettivo della strategia statunitense.
Esistono precise prove e documentazione dell’appoggio fornito dagli USA, dall’Arabia Saudita, dal Qatar e dalla Turchia, nella formazione e nell’armamento dei queste bande che non sono calate dalla luna ma sono arrivate attraverso le frontiere della Siria, ove già operavano con il sostegno occidentale per rovesciare il regime di Bashar al-Assad e infiltrate in precedenza dalla Turchia dove hanno goduto dell’appoggio del governo Erdogan, di un paese, la Turchia, alleato degli USA e parte della NATO. Queste bande, se fossero state considerate ostili agli interessi USA nelle regione, avrebbero potuto essere facilmente annientate dall’intervento dell’aviazione americana, presente con le basi nella zona e che dispone di satelliti e radar per monitorare qualsiasi movimento in un ambiente desertico dove non si può nascondere neanche il passaggio di un gatto all’occhio dei satelliti.
Esistono le proteste delle stesse autorità del governo iracheno che hanno stigmatizzato il comportamento ambiguo delle forze della coalizione antiterrorista costituita a guida statunitense che, ufficialmente con l’intento di combattere l’ISIS, in realtà innumerevoli volte a ha rifornito le bande terroriste di armi, munizioni ed equipaggiamenti ed ha bombardato le forze sciite che conducevano la loro battaglia sul terreno. Alcuni di questi episodi sono stati mascherati come “errori” dei piloti statunitensi nell’effettuare gli interventi. Un pretesto a cui non ha creduto nessuno ma che è stato naturalmente nascosto dai media occidentali che continuano a parlare, a sprezzo del ridicolo, dei “grandi sforzi” della coalizione per combattere i terroristi dello Stato Islamico. Vedi: Si rivela il doppio gioco degli USA in Siria ed in Iraq, mentre l’ISIS avanza nella regione
Vedi anche: Iraq: abbiamo le prove che gli USA stanno fornendo armi e aiuti militari a ISIS – Gli USA sostengono militarmente l’ISIS. La denuncia di un deputato iracheno
La propaganda dell’apparato dei media si sforza di occultare la vera natura dell’imperialismo statunitense , stretto erede di quello britannico, che oggi più che in passato è emersa con tutto il suo cinismo ed ha mostrato il suo vero volto con l’appoggio occulto fornito alle orde barbare degli integralisti islamici jihadisti che hanno sgozzato ed assassinato migliaia di civili, in Siria ed in Iraq mentre la disperata resistenza delle popolazioni, la fuga di milioni di profughi, le migliaia di vittime, sono state considerate come un fatto marginale o un “danno collaterale” dagli strateghi di Washington che hanno la responsabilità di aver aperto il vaso di Pandora dei conflitti e delle guerre confessionali nella regione.
Tuttavia in alcune regioni sottoposte alla brutalità degli interventi degli USA, si sono manifestate delle forme di reazione e di resistenza inaspettate, prima fra tutte quella della Siria che da quattro anni combatte per non essere sopraffatta dalle orde mercenarie assoldate dai sauditi-statunitensi o nella stessa America Latina dove i paesi come Venezuela, Ecuador, Bolivia, Uruguay hanno tenuto testa alle pressioni, ai ricatti, ai tentativi di colpi di stato ed alla sobillazione pilotata da Washington. Questo rappresenta senza dubbio una speranza di riscatto e dimostra che i popoli hanno compreso quale sia il vero nemico, anche quando questi si presenta con la ingannevole faccia “civilizzata” degli Stati Uniti e dell’Occidente e di coloro che pretendono di “esportare la democrazia”.