Ricchezza nelle mani di pochi, cambiamento nelle possibilità di tutti
di Francesca Agoni - 09/06/2015
Fonte: Movimento decrescita felice
Il movimento americano Occupy negli Stati Uniti ne ha fatto il suo slogan e gli ‘Indignados’ spagnoli lo hanno scritto a caratteri cubitali su ogni striscione durante l’occupazione di Puerta del Sol a Madrid nel 2011: “siamo il 99%!”.
Ecco che subito ci ritorna alla memoria questo motto non appena leggiamo i dati elaborati dall’Ocse e pubblicati da Repubblica che spiega: “In Italia il 20% più ricco detiene il 61,6% della ricchezza e il 20% appena al di sotto il 20,9%. Il restante 60% si deve accontentare del 17,4% della ricchezza nazionale”.
Anche in Italia quindi, la maggior parte della popolazione può disporre di una percentuale della ricchezza nazionale molto ristretta; ma cos’altro possiamo aspettarci da un sistema capitalistico che nel tempo ha provocato una scellerata disuguaglianza sociale, che ci mette gli uni contro gli altri? In termini etici e politici, ciò si traduce in ingiustizia sociale che trova uno sfogo nell’intolleranza verso chi è ai bordi del nostro sistema, come ad esempio gli immigrati, invece di preoccuparsi del perché a disposizione del 60% della popolazione italiana rimane solo un 17,4% della ricchezza da spartire.
Le soluzioni a questo fenomeno possono sicuramente essere trovate in varie forme ma senza prescindere dal punto principale su cui ormai molti economisti concordano: un cambiamento di rotta è necessario.
La proposta della Decrescita si pone uno scopo diverso dalle speculazioni, dalla mercificazione di qualunque cosa, dall’accumulo di beni materiali mediante una crescita illimitata, peraltro chiaramente impossibile considerando il fatto che il nostro pianeta è effettivamente limitato. Alcune aziende infatti producono in modo insensato, ponendo tempi di obsolescenza sempre più brevi pur di continuare a innovare e produrre, sprecando risorse naturali limitate e preziose, pur di non essere escluse dal mercato.
La concorrenza dettata dal vigente sistema che ci spinge a dare sempre di più e nel minor tempo possibile, ci guida verso il tentativo di affermazione dell’individuo in chiave egoistica, a scapito, come dicono i dati sopracitati, di un’altra fascia della popolazione.
Alla luce di questo, forse un passo avanti potrebbe essere fatto compiendo delle scelte più etiche verso gli altri e verso il pianeta applicando il principio di ‘meno e meglio’: quindi di rielaborare il fine e i mezzi nei processi produttivi, dirigendoci verso valori da scoprire e riscoprire come la sobrietà, ‘l’abbondante frugalità’ definita da Serge Latouche, la responsabilità.
La ‘ricchezza’ analizzata nei dati riportati non tiene forse conto di come intendiamo il significato di questa parola: possiamo arrivare a capire l’idea di merce differenziandola dall’idea di bene e l’idea di potere d’acquisto da quella della ricchezza stessa, che si raggiunge con il soddisfacimento di bisogni immateriali oltre che materiali.
Sarà piano piano possibile ripensare l’organizzazione economica e successivamente politica della nostra comunità prima e del nostro Stato poi, perché senza dubbio questo processo, quest’evoluzione, devono venire dal basso, dalle piccole esperienze: nessun timore e nessun tabù intoccabile.