L'Europa della Troika violenta la Grecia
di Valerio Lo Monaco - 20/07/2015
Fonte: Valerio Lo Monaco
La Grecia sta per essere pignorata. Fisicamente e moralmente. Non c’è un modo più specifico di spiegare la situazione. Visto? Vatti a fidare di Tsipras. E della democrazia...
Il premier del partito che ha vinto le elezioni al grido "fuori la troika dalla Grecia" e che ha "ridato la parola al popolo", mediante il referendum del 5 luglio scorso per lasciare decidere i cittadini se accettare o meno le misure richieste da Ue, Fmi e Bce, ha siglato ora, invece, il più tragico (mortale?) patto col diavolo. La carriera politica nazionale di Tsipras finisce qui. Ed egli lo sa benissimo. Non sapremo mai realmente cosa è accaduto nelle stanze in cui si è discusso il tutto. Quali sono state le pressioni, e forse le minacce, che Alexis Tsipras ha dovuto subire per poterne uscire, ma al suo posto, una volta tornato a casa, avremmo paura proprio per la mera incolumità.
Fatto sta che esce dal summit con un accordo ben peggiore di quello sul quale aveva chiesto di esprimersi al popolo greco a suo tempo.
A questo proposito abbiamo l’impressione che non ci si sia resi conto sul serio, a livello di opinione e percezione diffusa, sulla reale portata e pericolosità di quello che sta accadendo in queste ore. Perché oltre alla classica indignazione non abbiamo trovato riscontri più adeguati in tal senso. Anche ad Atene, almeno sino a oggi, a scendere in piazza sono state solo alcune centinaia di persone (da noi quasi il nulla, salvo qualche risatina amara o rabbia da tastiera sui social media…). E invece questa vicenda segna una cesura storica in tutta l’Europa, e forse in buona parte del mondo.
Non convince del tutto neanche la faccia di Angela Merkel di fronte ai microfoni per dare l’annuncio su questo fantomatico “accordo”. E non regge unicamente la storiella della sua stanchezza dovuta alle lunghe trattative. Forse teme anch’ella, essendo una delle artefici principali di questa operazione, per la sua incolumità?
Occorre dirlo con maggiore chiarezza: la violenza di come si sono svolte le cose nelle ultime ore, e il significato profondo di tutta l’operazione non solo dal punto di vista economico e tecnico, ma anche morale, innesca uno scenario molto più pericoloso di quello che si sarebbe portati a prima vista a immaginare. Perché la Grecia non viene solo nuovamente vessata. La Grecia è stata umiliata sulla pubblica piazza, adottando metodi di propaganda e ostensione tipici di altre culture.
Non c’è molta differenza, poi, tra i tagliatori di teste dell’Isis che ostentano in televisione la fine che fanno fare agli infedeli e l’indicazione che arriva al popolo greco (e a tutti gli altri) sulla fine che fa chi si permette di sindacare pubblicamente sulle decisioni di Fmi, Bce e Ue. Perché da una parte c'è la violenza della lama, dall'altra quella che priva i cittadini di un Paese del denaro per nutrirsi e per curarsi: cambia la tecnica della tortura, ma non il risultato finale (la mortalità infantile, in Grecia, è già aumentata in modo esponenziale).
La lezione che si è voluta impartire alla Grecia e a monito dell’Europa intera e forse anche oltre i confini continentali è molto chiara da leggere: chi osa dare la voce al popolo, chi osa mettere in discussione ciò che gli viene ordinato di fare, va fatalmente incontro a misure ancora più restrittive e umilianti. Cioè, di fatto, a una sorta di vendetta.
Quanto accaduto sancisce inoltre alcuni nuovi principi. Intanto che la democrazia e il voto del popolo non contano più assolutamente nulla. Quindi che nulla conta neanche il Parlamento di un singolo Stato. E infine che il progetto europeo butta già la maschera e si pone, anche nei confronti dei più profondi suoi sostenitori (ingenui), nella sua cruda realtà: un sistema di potere unicamente basato su una moneta a cui i suoi pochi proprietari (privati) vogliono piegare il resto dei cittadini del continente. Ovvero né più né meno del capitalesimo di cui ha scritto Paolo Gila (qui). E infine che, da ora, per la concessione di prestiti, la Troika chiederà prima in pegno alcuni asset al singolo Stato che dovesse farne richiesta.
Per la Grecia non si può più parlare, ormai, di misure draconiane e di norme lacrime e sangue. Perché ancora prima degli aspetti sociali ed economici che queste nuove norme richieste porteranno con sé è l’aspetto morale e culturale a essere stato calpestato nella sua più intima profondità.
L’aumento dell’Iva si abbatterà soprattutto sulle fasce più deboli, come ovunque altrove con norme del genere, e lo stesso per le altre misure simili che sono state imposte dal Parlamento europeo, ma il fatto di dover dare in garanzia i propri asset - cioè, ribadiamo, un pignoramento anticipato visto che si sa benissimo che il debito greco non potrà essere ripagato né ora né mai - è non solo un furto, ma una azione di violenza inaudita che dovrebbe far riflettere ogni persona sulla faccia di questa terra. Ed è un precedente enorme.
È come se in Italia venissero a pignorarci il Colosseo e i Fori imperiali, e poi gli Uffizi di Firenze, e Venezia e magari parte delle Dolomiti, come garanzia sui nostri pagamenti futuri. E vista la deriva del debito pubblico e delle norme allo studio e in applicazione in tutta Europa, è praticamente certo che una soluzione del genere possa essere replicata altrove.
“Intanto ci prendiamo i vostri gioielli (che il “fondo” venga impiantato, istituzionalmente, a Bruxelles o ad Atene poco importa, se i gestori sono gli stessi) e se non pagate ce li teniamo noi”. Per ora si parla di asset per 50 miliardi. Che per un Paese come la Grecia significa grossomodo "sold out".
Non solo: d’ora in avanti (altro punto del memorandum siglato da Tsipras, qui) ogni decisione di politica interna non potrà essere presa senza la preventiva autorizzazione da parte della Troika. Ovvero, tout court: la democrazia in Grecia è del tutto sospesa. Basterà il Parlamento di esecutori diretto da fuori, da Fmi, Ue e Bce. Il popolo non conta più assolutamente nulla.
Sono norme, lo ribadiamo, di una violenza mai vista prima. E a una azione di violenza di questo tipo - visto che né la politica né i cittadini, ormai è certo, possono proprio più nulla - in genere si risponde, se si vuole rispondere, con una reazione di altrettanta violenza. Sempre che vi sia la presa di coscienza, in Grecia e altrove, di voler reagire.
Ecco perché il momento è di importanza enorme. Guerre mondiali sono scoccate per un semplice attentato, come sappiamo. E gli artefici delle violenze di questi giorni sono ben identificabili (le loro facce tirate, a nostro avviso, dimostrano proprio questo).
Al momento non è più pensabile nemmeno un intervento di Putin, in soccorso alla Grecia. Perché una sua mossa sarebbe letta praticamente come un atto di guerra.
Sul fronte interno, in Grecia, le cose appaiono abbastanza chiare da prevedere.
Syriza a questo punto sembra essere destinato a spaccarsi in due, le parti - totalmente divergenti - di Tsipras e Varoufakis, per intenderci. Ma a livello politico la cosa non ha più alcun valore, perché la sconfitta (a meno di ulteriori e clamorosi colpi di scena) è della Grecia nel suo complesso. E ora si conosce anche la realtà delle dimissioni di Varoukakis: «Avevo un piano B, ma (Tsipras, N.d.R) mi ha bloccato». Impossibile fraintendere: il ministro delle Finanze voleva rispettare il popolo greco e andare alla rottura, Tsipras ha preferito ripudiare i suoi concittadini sino ad andare ad accettare ciò che è stato partorito domenica notte in quella interminabile pantomima delle trattative a senso unico. Potrà anche cadere, questo Parlamento, ma alsuo posto arriveranno i tecnici, per eseguire gli ordini.
Torneranno in vista i nazionalisti più radicati, come Alba Dorata (qui alcune nostre note, in merito) e a questo punto vorremmo tanto sapere chi sarà, tra i commentatori liberi del nostro Paese, a trovare in ciò qualcosa di strano.
E allora diciamolo chiaramente: è probabilmente questo l'epilogo per una delle civiltà più antiche e importanti del mondo (e forse di questa Europa nel complesso) perché per evitare che tali asset vengano pignorati del tutto in seguito alla certa impossibilità di ripagare le cambiali sottoscritte da parte di un popolo esanime economicamente e socialmente, e per riprendere la propria sovranità sulle decisioni di politica interna, a questo punto non potrà servire alcuna manifestazione di piazza, alcun referendum, alcun politico fantoccio. A questo punto non potrà bastare nessun tipo di accordo. Ci vorrà una guerra.
Valerio Lo Monaco