Trafficanti in BMW
di Simone Torresani - 14/09/2015
Fonte: Il giornale del Ribelle
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Sembrerebbe che sia andata a buon fine, senza nessun intoppo, l'operazione di alcune centinaia di volontari austriaci e tedeschi per il passaggio in automobile dei profughi dall' Ungheria all' Austria prima e la Germania poi, evitando una scarpinata a piedi.
Una trovata sviluppatasi-quasi inutile rimarcarlo-in quel vuoto a perdere planetario che sono ormai divenuti i cosiddetti "social network".
Il portavoce della polizia ungherese ha chiaramente detto che questi volontari rischiavano una denuncia per traffico illegale di esseri umani, mentre l'opinione pubblica internazionale ha accolto la carovana e gli autisti come degli eroi, tra evviva ed applausi.
Un conflitto tra la ragione e il sentimento, dunque?
No, molto più semplice: un classico esempio di attuazione di bispensiero orwelliano che, purtroppo per noi, in larghissima parte degli europei si è già radicato dopo una full immersion sottile ma subdola e penetrante degli spin doctor e della manipolazione delle menti.
Francamente non vediamo nessuna differenza tra un trafficante di uomini senegalese, tunisino od egiziano che guida un barcone carico di immigrati ed una confortevole Audi, BMW o Volkswagen che trasporta profughi siriani: cambiano solo le metodologie e i rischi, ma il risultato è lo stesso: traffico di esseri umani, come ha detto perfettamente il portavoce della pubblica sicurezza magiara.
Non si capisce perché l'egiziano Mohammed se pilota un gommone viene sbattuto in galera con accuse gravissime e viene etichettato come "nuovo schiavista del XXI secolo" o altre amenità simili mentre se lo fa il tedesco Klaus a bordo di una vettura con tanti optional allora è un filantropo, da accogliere coi fiori e con canti di gioia.
In entrambi i casi si tratta di favoreggiamento d' immigrazione clandestina e si viola il codice penale, il reato è lo stesso, solo che nel primo caso viene svolto in maniera letteralmente disumana mentre nel secondo è fatto in guanti di velluto.
Come non si capiscono tutte le accuse all' Ungheria: le autorità ungheresi hanno dimostrato un rispetto delle regole, dei trattati e delle leggi comunitarie ed internazionali davvero encomiabile.
Il migrante deve essere fermato ed identificato nel primo paese comunitario ove mette piede, nel nostro caso l'Ungheria, e ciò hanno svolto con grande serietà le autorità di Budapest.
L' identificazione è necessaria soprattutto per distinguere tra chi fugge da un conflitto civile e chi viaggia inseguendo un finto ed illusorio sogno di benessere nella vecchia, stanca e declinante Europa, che ha smesso da molto tempo di far sognare buona parte dei propri cittadini, a parte le solite anime candide ed innocenti di utopisti i quali vivono in un iperuranio disconnesso dal mondo reale.
Molte cose non ci sono piaciute di questa bruttissima faccenda avvenuta tra Berlino, Vienna e Budapest, a partire dal messaggio fuorviante e irresponsabile della Merkel che farà scattare un tam-tam secondo cui basta assaltare treni ed accamparsi nelle stazioni per vedere spalancate le porte della Germania, sapendo bene che tali provvedimenti si possono fare solo "una tantum" e non quotidianamente.
Che succederà ad un futuro quanto prevedibile irrigidimento del governo tedesco?
Non ci è piaciuto l'uso mediatico della foto di un povero bambino cadavere per sensibilizzare, sempre tramite i soliti demenziali social network, gli ormai rincoglioniti europei ad una accoglienza indiscriminata.
Foto da pugno nello stomaco, non lo neghiamo, ma quanti bambini sono morti nel Mediterraneo o nei deserti senza che un giornalista li fotografasse?
Quanti bambini palestinesi, iracheni, afghani, sono stati uccisi da "Tsahal" (l'esercito israeliano) o dai droni senza che tali immagini finissero sulla stampa del globo intero?
Questa informazione punta solo sull' impatto emotivo, sul parlare alla pancia della gente, sull' immagine di per sé senza scavare alla ricerca delle cause che hanno provocato e provocano tali tragedie.
Ormai pare di assistere ad una specie di enorme reality show occidentale sui flussi migratori, con cameraman e reporter che "coprono" in "diretta" le marce, gli sbarchi, le tragedie, raccontandole minuto per minuto, magari con l'annoiato spettatore che sbevazza e mangia davanti alla TV salvo poi dimenticarsi di tutto dopo cinque minuti, o meglio che questo non è un reality ma qualcosa che gli iperconnessi e alienati occidentali hanno dimenticato: la vita vera.
Infatti poi lo spettatore annoiato si ritrova un campo profughi sotto casa, passando dalla falsa compassione al razzismo più becero verso chi, due ore prima, guardava con indifferenza o una falsa lacrimuccia.
Più che compassione degli europei, in larga parte ormai irrecuperabili verso il baratro, abbiamo pena per i migranti.
Vale la pena spendere dollari a migliaia, fare km sino a sfondare le suole delle scarpe e rischiare la pelle per venire in un immondezzaio simile?
Mille volte meglio impiantare, con quei soldi, una attività a Dakar o Abidjan o Bamako oppure prendere le armi e difendere i propri Paesi, minacciati da gruppi terroristici manovrati da quegli stessi Paesi meta finale del viaggio.