Alchimie politiche liberaldemocratiche in Italia (piddì forever?)
di Eugenio Orso - 28/09/2015
Fonte: Pauperclass
La narrazione liberaldemocratica, a copertura del potere oligarchico-finanziario che impazza, ci suggerisce che il popolo è comunque sovrano e le elezioni politiche, a suffragio universale, sono il momento clou della democrazia, in cui si mettono a confronto programmi politici contrapposti e si decide chi governerà il paese. Infatti, spulciando la Treccani online a tutti accessibile, alla voce “liberaldemocrazia” scopriamo che si tratta di un Regime politico basato sulla combinazione del principio liberale dei diritti individuali con il principio democratico della sovranità popolare. Spesso viene usata, come sinonimo, l’espressione “democrazia liberale”. In entrambi i casi si intende sottolineare che il riconoscimento della sovranità del popolo va di pari passo con l’intangibilità di una serie di libertà individuali (pensiero, religione, stampa, impresa economica). L’ibridazione fra liberalismo e democrazia, un tempo divisi e contrapposti, è subordinata al liberismo economico, che fa il paio con il liberalismo. Proprio qui sta il problema di fondo, perché decide chi detiene veramente il potere economico-finanziario, nonostante quelle periodiche e rituali “espressioni della volontà popolare” che sono le elezioni. Se John Locke fu il teorico dello stato liberale e Spinoza di quello democratico, il vero motore della liberaldemocrazia occidentale, oggi, non è il pensiero filosofico ma gli sfuggenti Mercati & Investitori, che ne raccolgono i frutti decidendo i governi, espropriando le risorse degli stati e consolidando un potere sovranazionale.
La narrazione in parola – vittoriosa negli anni novanta su quella comunista – come dovrebbe esser chiaro anche ai meno dotati è completamente falsa. Serve soltanto a truffare le masse, non trovando corrispondenza alcuna nella gestione del potere politico che da anni osserviamo.
L’Italia è stata un buon banco di prova dell’inganno liberaldemocratico, da Monti a Renzi, e continuerà a esserlo, come vedremo quando (e se) ci saranno le prossime elezioni politiche nazionali. Anche la Grecia si è rivelata un ottimo test e il tradimento del votatissimo Tsipras, scendiletto della troika omicida con le sue politiche di austerità (86 miliardi sulla groppa dei greci debitori!), lo rivela in pieno. Il grottesco è che in Italia, a differenza della Grecia finita nelle grinfie sinistroidi di Tsipras, Monti, Letta e Renzi nessuno li ha votati, in qualità di presidenti del consiglio.
Nei paesi più sottomessi al nuovo ordine neocapitalista e alla finanza internazionalizzata, come Italia e Grecia, tutti dovrebbero aver compreso che la liberaldemocrazia, quale sistema di governo “più avanzato”, è solo lo schermo dietro al quale ai nasconde un potere oligarchico assolutista. Un potere effettivo che nega l’alternativa politica – caratteristica teorico-narrativa della liberaldemocrazia – e impone le sue linee strategiche ai governi, pur democraticamente eletti da un punto di vista formale, come nel caso di Tsipras.
Eppure ciò non accade, la popolazione in maggioranza non vede e non capisce e perciò il piddì è ancora il primo partito in Italia, gonfiato ad arte nei cosiddetti sondaggi d’opinione, così come syriza rivince in Grecia. Una massa obnubilata e sinistroide – alimentata a forza con i “diritti umani” evanescenti e la “tutela delle minoranze” gay – continua a preferire l’ipotesi liberal-liberista del “sogno europeo”, cioè il dominio del sovranazionale in cui si muovono a proprio agio le élite finanziarie, alla sovranità nazionale, ostracizzata perché “di destra”, e all’ipotesi di una nuova Europa in cui abbia un ruolo anche la Russia, sospettando “populismo”, addirittura razzismo e fascismo, scarsa “accoglienza” e poco Melting Pot. Le espressioni virgolettate rivelano che è l’imbecillità massiva a sostenere la liberaldemocrazia, in altri termini l’assolutismo elitista mascherato, garantendo in Italia il successo del piddì e dei gruppuscoli suoi accoliti.
Se questo è lo scenario in cui siamo costretti a muoverci, è chiaro che le entità politiche come il piddì (non parlerei neppure di partiti, in senso tradizionale) ci stanno come topi nel formaggio, essendo emanazioni delle élite finanziarie e non forze nazionali che rappresentano la popolazione e i suoi interessi. Nello sceneggiato liberaldemocratico la regia, a livello più alto, non è nazionale. Ne consegue che le alchimie politiche e le scomposizioni/ricomposizioni di forze e cartelli elettorali si fanno in funzione delle attese, degli interessi e dei programmi della classe dominante finanziaria, se necessario calpestando la volontà popolare (che però in Italia è molto debole, se non nulla, per eccesso di imbecillità sociopolitica).
Finora ho scritto cose note, o che almeno tali dovrebbero essere per tutti i senzienti che vivono nella realtà (quindi non per gli imbecilli, i sinistroidi, la base piddiota e simili), ma ora voglio prevedere con moderazione il futuro liberaldemocratico che ci attende. Per farlo, è bene riassumere in due parole le puntate precedenti, partendo dal dopo Monti e dalle politiche del 2013. La marionetta Bersani, allora uomo(?) di paglia delle élite finanziarie europoidi alla guida del piddì, pur avendo tutti gli appoggi mediatici, economici e internazionali possibili e immaginabili, non riuscì a portare a compimento la missione affidatagli (dai suoi danarosi padroni) vincendo le elezioni in modo netto. A causa della sorpresa a cinque stelle e della sua evidente incapacità. Poco male, perché c’era un piano B. Bersani perse la seggiola e fu archiviato, subentrò un’altra marionetta, Enrico Letta, che fece un governo di transizione fra Monti e il dopo a guida piddina, appoggiato dall’allora popolo delle libertà (con Berlusconi sotto ricatto) e dall’oscena sciolta civica di Monti (scomparso in breve dalla scena). Durante questo governo la “decomposizione” indotta del popolo delle libertà berlusconiano si è manifestata in tutta la sua virulenza, ed è nata l’entità collaborazionista del piddì, nota come nuovo centro destra di Alfano, che ha prontamente rimpiazzato il pdl/forza Italia nell’esecutivo. Eventi decisivi dal 28 aprile 2013, data dell’insediamento del governo Letta, a oggi sono la frantumazione completa del cosiddetto centro-destra, parte a sostegno del partito della troika e parte ad alimentare la debole opposizione liberaldemocratica, e la stessa “ristrutturazione” del piddì, tutt’ora in atto, dopo l’imposizione di Renzi alla segreteria nazionale e alla presidenza del consiglio (l’esito delle primarie era come sempre scontato).
Assistiamo a un processo di cambiamento “spontaneo” del quadro politico nazionale, o piuttosto alla realizzazione dei desiderata della classe dominante finanziaria, che tiene in pugno l’Italia? Facile indovinare la risposta, perché dal 16 novembre del 2011 a oggi l’imperativo categorico è procedere sulla strada aperta da Monti. Di conseguenza, la nascita e la morte delle entità liberaldemocratiche, e tutte le alchimie politiche che osserviamo, si devono porre in stretta relazione con il programma troikista di tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni, compressione dei redditi e dei diritti dei lavoratori. Nasce il nuovo centro destra, ascaro del “partito della troika e della grande finanza”, e muore Italia dei valori contraria a Monti, possibile ostacolo per il piddì. Si colpisce la lega con un grosso scandalo giudiziario-mediatico e l’infame Marino è ancora là, a Roma, fra le mafie e i disservizi, a pavoneggiarsi in qualità di sindaco (“sotto tutela” del piddì pigliatutto). Il vero funzionamento della liberaldemocrazia, sistema di governo marcio fino al midollo, non potrebbe essere più chiaro.
Cosa ci si dovrà aspettare se e quando gli italiani saranno chiamati alle urne, per le politiche? Che vinca il cinque stelle e l’Italia diventi come l’Islanda, prendendo a calci nel culo i banchieri e riattivando il sociale? Che vinca un centro-destra guidato da Salvini e che l’Italia esca dall’euro, blocchi l’immigrazione clandestina e si riavvicini alla Russia? Niente di tutto questo, perché non siamo in una fiaba – li vedete Grillo e Di Maio o Salvini e Calderoli che salvano il paese? – e soprattutto perché le élite dominanti non molleranno la presa. Non permetteranno che la loro entità politica parassitoide, ossia il piddì, collassi miseramente, surclassata dai “populisti” o addirittura dai “razzisti” con simpatie filo-russe.
Il fatto che il piddì possa perdere qualche consenso “a sinistra”, per le dure politiche anti-sociali applicate, non è solo scontato ma addirittura voluto. Le troika-riforme si devono fare e Renzi punta su un “partito leggero” più facilmente controllabile, con meno tessere e fastidiosa militanza e più Leopolde, fungendo da Autan per i pochi che vorrebbero ancora “politiche di sinistra”, riduzioni dell’età pensionabile, garanzie per i lavoratori e ammennicoli anti-liberisti vari. Attrae così altro consenso da sponde superstiti piccolo-medio borghesi e liberali, in un processo di sostituzione sia pure non perfetta. Aumenta consapevolmente con le sue dichiarazioni arroganti, i falsi scontri con la “sinistra” interna, senatori ribelli e sindacati, la disaffezione nei confronti del voto, che combinata con il nuovo consenso consentirà al piddì di mantenere una maggioranza relativa sufficiente per sopravanzare il cinque stelle e un ipotetico, futuro listone di “centro-destra”.
Fagocitare nel piddì una parte del sel, sciolta civica, dissidenti del cinque stelle e camarille come quella verdiniana fa parte del gioco, garantendo il parziale rimpiazzo dei consensi sinistroidi che si trasformeranno in nuova astensione (delusi di sinistra!). Non crediate che il cinque stelle riuscirà a far votare buona parte della massa di astenuti e di schede bianche e nulle, destinata a crescere ancora. Tsipras ha rivinto con più del 40% di non votanti e così farà il piddì, ormai renziano fino al midollo, sia pure al secondo turno. Bersani, Cuperlo e simile immondizia non conteranno una sega e così i nanetti che potrebbero spuntare alla sinistra del piddì. Anzi, le teste di cazzo della “sinistra radicale” potrebbero risolversi a votare in massa per l’entità politica troikista nel ballottaggio, nel caso si profilasse la possibilità di una vittoria “populista” (cinque stelle) o addirittura “fascista” e “razzista” (lega in listone con altri).
In sintesi, ecco cosa garantirà la vittoria piddina nel caso si vada a elezioni politiche:
1) La “ristrutturazione” renziana del piddì, gradita alle élite finanziarie e da loro voluta, che attrae nuovo consenso dal vecchio centro-destra disgregato e da formazioni ascare (o ex ascare, non importa) del piddì.
2) Ancora la “ristrutturazione” renziana del piddì, che spinge a buttare la tessera piddina e all’astensione settori dell’elettorato che hanno ancora qualche caratteristica della sinistra dei tempi andati, coloro che potrebbero rappresentare un problema interno fastidioso (richieste di politiche sociali, di difesa dei diritti dei lavoratori, eccetera), ma che per la maggior parte non voterebbero mai lega, scambiata per il fascismo, o per i grillini, accusati di populismo.
3) L’apporto, in ballottaggio, proprio dei voti delle teste di cazzo “di sinistra” e sindacali (cgil e fiom), in parte astenutesi dal voto nel primo turno, per impedire la vittoria dei populisti o dei razzisti.
4) Un’elevata astensione, prevedibile fin d’ora, che danneggerà in misura maggiore il cinque stelle e la lega.
Si è lavorato molto sulle alchimie politiche, sulle disgregazioni di partiti e cartelli elettorali in questi ultimi anni, per sostenere e favorire l’entità politica troikista chiamata partito democratico. Si è proceduto alla “ristrutturazione” di questa entità grazie alla segreteria renziana, messa lì dalla volontà dei ricconi-assassini (mi sono stancato di scrivere élite …) che hanno sottomesso definitivamente l’Italia. Ma si è lavorato anche per incrementare l’astensione, perché meno rompicoglioni incazzati o delusi votano, più alte sono le possibilità che il piddì vinca alle urne.
Sic et simpliciter