La società della sorveglianza. Totalitarismo del terzo millennio
di Roberto Pecchioli - 17/01/2016
Fonte: Ereticamente
Società della sorveglianza è la definizione del nostro tempo data dal sociologo David Lyons, ed è il titolo di un suo fortunato libro, oltreché una descrizione della post modernità sulla quale concordano molti osservatori. La stessa categoria di libertà deve ormai essere riformulata alla luce della capacità del potere di possedere, attraverso tecnologie sempre nuove, con la sorveglianza, l’intera società e ciascuno di noi.
Totalitarismo è parola grave, impegnativa, tuttavia non eccessiva se valutiamo quanto la sorveglianza invada, entri, pretenda, pervada, stabilisca regole, elimini idee e visioni del mondo, ridicolizzi o riduca al silenzio ogni principio non conformista (pensiamo all’enfasi attribuita all’idea di novità o modernità), e faccia prevalere il presente, l’immediato, il tempo, sul luogo e sul radicamento.
Nell’Enrico V, Shakespeare fa dire ad un suo personaggio: “il re prende nota di tutte le loro intenzioni con mezzi che neppure possono immaginare”. Al suo tempo, il mezzo era soprattutto lo spionaggio, o la delazione. Oggi, tutto è cambiato, e la grande novità è l’estensione dei mezzi tecnologici, la loro efficacia e diffusione, e la varietà degli strumenti di controllo, sorveglianza, coercizione.
E se il mezzo è il messaggio, come avverte Marshall Mc Luhan, la potenza dei mezzi è già un elemento di intimidazione, invasione nel privato, costrizione dell’apparato di controllo nei confronti della maggioranza, dunque di conformismo, passaggio epocale da una società disciplinare attraverso la punizione ad una totalitaria attraverso la sorveglianza. Shakespeare, con l’intuizione dei poeti, capì che essenza del potere è il controllo, esercitato oggi attraverso tecniche, strumenti e tecnologie volte a costruire e riprodurre uniformità di massa, ed un nuovo strano consenso conseguito per stanchezza ed assenza di alternative.
Noi dobbiamo negare il nostro consenso a questa nuova società, tentando anzi di porre le basi per un dissenso radicale, ma innanzitutto informato.
Sussiste, in materia, un debito culturale nei confronti di alcuni eccentrici liberali, uno dell’ottocento, Aléxis de Tocqueville, ed uno del XX secolo, Josè Ortega y Gasset, che hanno colto l’essenziale natura conformistico totalitaria della società di massa, verso un intellettuale per altri aspetti maledetto, Michel Foucault, che in libro fondamentale, Sorvegliare e punire, ha svelato il nascosto carattere autoritario e punitivo della modernità liberale, nonché verso Prezzolini, con il suo invito, sempre attuale, a “non bere”, cioè a non prestare fede a ciò che appare, conservando l’indipendenza del giudizio ed il gusto per la libera conoscenza.
Per quanto riguarda il ruolo della tecnica, cito il massimo pensatore del Novecento, Martin Heidegger,
“La volontà che si organizza con la tecnica in ogni direzione fa violenza alla terra e la trascina all’esaustione, nell’usura e nelle trasformazioni dell’artificiale. L’uomo stesso diventa materiale umano”.
Cessiamo di essere persona, ci trasformiamo in cosa, manufatto, prodotto plastico da manipolare, trasformare ed impiegare secondo piani prestabiliti. Sorveglianza come tecnica, realizzata da un “pensiero che non pensa”, secondo la definizione dello stesso Heidegger.
“Restiamo sempre prigionieri della tecnica ed incatenati ad essa, sia che l’accettiamo con entusiasmo, sia che la neghiamo con veemenza. Ma siamo ancora più gravemente in suo potere quando la consideriamo qualcosa di neutrale; infatti questa rappresentazione che si tende a d’accettare con particolare favore ci rende completamente ciechi di fronte all’essenza della tecnica.”
Ciechi ed impotenti, specie se non riusciamo a cogliere la non neutralità della tecnica e delle tecnologie, tutt’al più la loro impersonalità, ed ovviamente la natura di fini, e non più di mezzi.
Si tratta, manifestamente, di armi che il potere che le controlla punta contro di me in quanto persona, contro di noi in quanto comunità, come strumenti di un tremendo dominio di massa (Carl Schmitt).
Il pericolo è che le tecniche di sorveglianza non siano capite, disvelate, comprese nel loro significato devastante di invasione e desertificazione delle libertà, abolizione progressiva della privatezza, ormai della stessa intimità, e di schiacciamento, rimodulazione delle personalità individuali e delle percezioni collettive.
Omologare, condizionare, persuadere, anziché educare. I canali privilegiati sono l’informatica, la telematica, la pubblicità, il controllo dell’informazione e dell’intrattenimento, le neuroscienze e la programmazione neurolinguistica (PNL), cui negli ultimi anni si è aggiunta la nanotecnologia applicata, figlia delle acquisizioni della fisica quantistica.
Per neuroscienza si intendono quelle discipline della medicina, della psicologia, della neurologia, della biochimica che possono essere utilizzate per conoscere e ricostruire a fini di controllo o condizionamento i meccanismi del pensiero umano. In questi delicatissimi settori, vengono investite cifre enormi dalle cosiddette ONG (Organizzazioni Non Governative), dietro le quali i celano inevitabilmente i grandi centri di potere riservato del pianeta e le grandi famiglie oligarchiche che ne tirano i fili, i Rockefeller, gli Warburg, i Rothschild e poche altre. Altissimo è naturalmente anche l’interesse della CIA, attraverso progetti come il DARPA, aperto al capitale di rischio (dove c’è da guadagnare…) e l’Istituto Tavistock, antica, sinistra emanazione dell’impero britannico.
LA PNL è una tecnica che permette di influire sugli schemi comportamentali di una persona attraverso la manipolazione dei processi neurologici per il tramite del linguaggio, ed influenza campi come l’educazione, la negoziazione, la vendita, i processi decisionali, la formazione e l’accettazione della leadership. Sentiamo ancora Carl Schmitt, il più grande giurista del XX secolo:
“è in azione una macchina psicotecnica della suggestione di massa che lavora con le parole e con i significati e ri/forma un’umanità plastica. C‘è nel suo vocabolario una legge segreta per cui oggi la guerra più terribile può essere condotta solo in nome della libertà e la disumanità più abietta in nome della libertà”.
Il materiale umano viene spostato da uno spazio di luoghi ad uno di flussi – di informazioni controllate, di dati catalogati e collegati) e tutto diventa rete, anzi ragnatela che avviluppa milioni di individui privati di punti di riferimento reali, spettatori paganti e plaudenti, consumatori acquirenti.
Lo scopo è il puro potere: la bugia ripetuta all’infinito diventa la nuova verità e concetti quali democrazia e libertà si convertono in gusci vuoti, menzogne credute per accumulazione e sovraccarico.
L’autorità fa la legge, e legalità diventa il virtuoso imperativo di chi impone il diritto separato dall’ idea di bene. E’ giusto ciò che é legale in un dato momento storico, ed il positivismo giuridico è l’unica teoria ammessa e diffusa nelle università, Kelsen più il triste Norberto Bobbio: procedura come fine di se stessa, tecnica giuridica anziché “ius”. Impercettibilmente, ma drammaticamente, sfugge il luogo, il “topos” del potere. In alto? No, attorno, dentro, come un gas.
Ovviamente, nessuno è contro la scienza e la tecnologia, tantomeno contro la rete Internet, ma occorre una ruvida mesa in guardia nei confronti di mezzi che diventano fini e che si sostituiscono a noi nel giudizio.
Si è formato, rispetto all’informatica, un rapporto diseguale, coatto, che costringe ad una lingua unica per tutti, monocorde, anodina, banale, neutra, depotenziata, ed a procedure che esentano dal ragionamento e dalla sperimentazione.
Per farci accettare la sorveglianza, ci drogano di libertà astratta. Il potere ha ben capito un’intuizione di Schiller – sempre i poeti! – ossia che la gente esige la libertà di parola per compensare la libertà di pensiero, che, invece, rifugge. Così edifica una prigione senza muri di cemento, una sorveglianza spinta sino all’inconscio, ora davvero “con mezzi che non si possono immaginare”.
Immaginiamoli, invece, e facciamone un rapido inventario. C’è una sorveglianza materiale – i sistemi di telecamere onnipresenti, le celle della telefonia mobile; una informatica, attraverso le tracce dei computer, di Internet e della Card di cui abbiamo pieno il portafogli.
Poi c’è la sorveglianza psicologica, con la pubblicità ed il potere condizionante dei media, del cinema e della TV. Purtroppo esiste anche la sorveglianza mentale, spinta sino alla possibilità di introdurre chips sottocutanei nel corpo umano: per il nostro bene, naturalmente, per la nostra salute.
Poi esiste quella giuridica, costituita dalla mole immensa di leggi, regolamenti, burocrazie, regole che stabiliscono ciò che si può, e, soprattutto, ciò che non si deve pensare. Un esempio classico, persino comico se non riguardasse una tragedia, è il divieto legale di discutere, non dico eccepire, i termini “ufficiali” della questione olocausto, e poi la legge Mancino sulla repressione delle cosiddette discriminazioni.
Sorveglianza politica, quindi, intrecciata, interconnessa con la programmazione neurolinguistica, la psicologia delle masse ed il controllo censorio del linguaggio, dei concetti e dei significati operato dal politicamente corretto. Costruzione/costrizione di un vocabolario che veicola idee e concetti formalisticamente neutri, asettici, astratti, attraverso un mix di eufemismo, ipocrisia, autocensure, menzogne. A fin di bene ovvio…
Esempio migliore il termine extracomunitario al posto di straniero, parolaccia di una neolingua burocratica, che designa una condizione giuridica, non naturale o fattuale. Straniero vuol dire estraneo altro da me, non è parola “cattiva”, segnala semplicemente il fatto che io non sono connazionale di un cinese e lui non lo è di me. Extracomunitario è colui che sta fuori da un perimetro provvisorio, mobile, rimovibile con un tratto di penna. E’ una parola che disarma: lo straniero non esiste più, basta decidere di spostare più in là una frontiera, è sufficiente una decisione politica, e, per magia, di extracomunitari resteranno solo gli svizzeri. L’ultima invenzione è “migrante”, una sorta di pendolare dal moto perpetuo, ignaro di far parte delle splendide libertà liberali, che intimano la libera circolazione di merci, denaro ed uomini.
Riconosciamo allora che esiste uno snodo del potere di controllo che parte dalla scienza, che scopre le eleggi naturali, alla tecnica, che ne individua le applicazioni, e finisce nella tecnologia che le concretizza e ne fa prodotti industriali. A noi, resta l’obbligo di conformità: accettare e praticare la forzata acculturazione.
Dunque, è urgente costruire argini erigere trincee culturali, sviluppare anticorpi, organizzare una resistenza di popolo, o meglio, una contro-acculturazione, perché un uomo senza idee proprie è schiavo di tutti, e Seneca questo lo scoprì al tempo di Nerone.
Se il Novecento fu il secolo della tecnica, il 2000 rischia di essere l’era della sorveglianza. Ancora Carl Schmitt:
“Le scoperte tecniche sono strumento di un nuovo, tremendo dominio di massa. La tecnica può essere cieca, ma non neutrale.”
Il rischio è infatti che le nuove tecniche di sorveglianza non siano comprese nel loro significato di riduzione all’identico e rimodulazione delle personalità individuali in una neo-umanità ristretta dentro il Panopticon realizzato.
Il Panopticon, “ciò che vede tutto” fu una proposta ed una costruzione intellettuale del filosofo utilitarista Jeremy Bentham, un carcere razionale, ma anche una razionalissima fabbrica radiocentrica, con un unico guardiano a sorvegliare, non visto, tutti i prigionieri in ogni momento. Il guardiano non è visibile dagli osservati, per cui gli osservati non possono sapere se sono o meno sorvegliati, in una angosciante percezione di invisibile onniscienza.
Ciò li induce a praticare la disciplina come se si fosse sempre scrutati: dopo anni di coazione a ripetere, essa viene introiettata come unico modo di comportarsi e ne modifica indelebilmente il carattere. Il metodo panottico venne apertamente teorizzato come modalità di conseguire potere sulle menti in modo ed estensione mai viste.
In Sorvegliare e Punire, Michel Foucault prenderà il panopticon come modello e figura del potere nella società contemporanea. La sua architettura diventa simbolo di un potere che non cala più dall’alto sulla società, ma la pervade dal di dentro e istituisce una serie di relazioni di potere multiple e multiformi. Opera quindi una potente trasformazione antropologica dell’umanità: viene in mente la distopia del mondo nuovo di Aldous Huxley.
Il “mondo nuovo” è basato sulla serialità; tutto è produzione di serie, a cominciare dalla procreazione, del tutto sganciata dall’amore e dalla sessualità, poiché gli embrioni umani sono sviluppati in apposite fabbriche senza vincoli familiari. Delle caste immaginate, solo gli Alfa sono destinati al comando, e i membri di ciascun gruppo indossano uniformi di colore diverso. La ripetizione ossessiva, ipnotica di slogan è il maggiore strumento educativo, e tutti, tranne gli alfa, mostrano una mentalità fortemente gregaria.
Incubo letterario o realtà incipiente di manipolazione e distruzione pianificata delle ambizioni intellettuali e sentimentali?
Di certo, un rovesciamento del senso, intuito anche da George Orwell, con il suo Grande Fratello che teorizza “guerra è pace, verità è menzogna, libertà è schiavitù”. Sembra che gli unici ad avere compreso la minaccia reale siano gli scrittori di utopie negative. Massimo Fini, nel “Dio Thoth”, immagina un modo di informazione totale, in cui la mole di notizie nasconde, e non svela. Il testo dell’Amleto è sepolto nella mega biblioteca universale, da 70 milioni di files correlati, e nessuno riesce più a leggerlo, nascosto tra miliardi di informazioni.
Se poi, nel passato, la sorveglianza era monopolio del potere statale, oggi è reticolare e sono numerosi i soggetti che intervengono nel processo di controllo, sino al paradosso dei molti che sorvegliano i pochi, ed all’autosorveglianza, una censura su noi stessi per introiezione dei comportamenti prescritti.
In tempi di menzogna universale, dire la verità è atto rivoluzionario, ma se la verità è menzogna e la pace è guerra, quelle sono le bandiere di un mondo invertito, di cui la sorveglianza è il perno. Ma
“dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva”,
parola di Hoelderlin, un altro poeta. E ciò che salva è la conoscenza, la consapevolezza, e, come sempre, la fortezza e tenuta morale.
Sorveglianza è abolizione progressiva delle libertà concrete, quotidiane, il delitto perfetto coperto dal baccano intorno ad una libertà disincarnata, astratta, deprivata di senso. Pensiamo, come a fili di una ragnatela, alla schedatura fiscale, alla tessera del tifoso, alle informazioni che diamo su noi stessi, spontaneamente e persino gioiosamente attraverso Internet ed i social networks, all’accettazione supina delle telecamere, presenti dappertutto, intorno a noi e sopra di noi (banche, incroci, autostrade, stadi, centri commerciali) in nome della sicurezza, ovvero della paura, della diffidenza, del sospetto. Libertà negativa, libertà “da”.
Per gli antichi libertà era partecipare alla vita pubblica, per i moderni è liberarsi dai vincoli e dalle tradizioni ricevute, per i post moderni sarà forse riuscire ad non essere a portata di telecamera o telefono cellulare.
- LE TECNICHE DI SORVEGLIANZA
Proviamo a riflettere sulle tracce delle nostre carte elettroniche, le mitiche card. Usciamo di casa ed apriamo il cancello con una scheda, con un’altra preleviamo al Bancomat, con una terza paghiamo l’autostrada e così via fino a sera, con il cellulare all’orecchio che segnala al metro la nostra posizione. Poi torniamo a casa, un’abitazione che la tecnologia GPS mostra sino alla soglia e, se apriamo la finestra, possiamo fare ciao e salutare l’universo “connesso”.
Tutto questo è legale. Ma è legittimo? Nel mondo invertito, ribaltamento e sostituzione dei significati. C’è, eccome, una sorveglianza attraverso il dominio delle parole.
Alcune sono positive, come progresso, crescita, democrazia, modernità, e pertanto indiscutibili, perché il capitalismo ultimo non vende in regime di monopolio solo merci, ma suoni, immagini, connessioni, significati. Colonizza l’immaginario: noi non compriamo più un prodotto, ma un segno, chiamato marchio. Stava scritto nell’Apocalisse di san Giovanni: “Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio sulla mano destra e sulla fronte; cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. E tale cifra è il 666”. La bestia trionfante!
E diabolica davvero è la possibilità, già piuttosto concreta, di impiantare chips sottocutanei con dentro tutti i nostri dati. Dati, sempre dati: siamo l’esito di un modello matematico… per il nostro bene, per la nostra salute. Ci siamo abituati, e diamo allegramente il consenso ‒ quando ce lo chiedono… ‒ a forme sempre nuove di controllo .
Le nostre visite a siti e reti sociali vengono annotate ed incrociate, ed anche le tessere di sconto e fidelizzazione dei supermercati parlano di noi, dei nostri acquisti, gusti, propensioni.
Poi ci sono stampa e televisione, lo strumento principe della sorveglianza, perché ci tiene in casa, recettori passivi dei mille canali diversamente uguali per taglio generale, scelta delle notizie, violenza diffusa, orientamento delle idee distillate ed istillate. E la pubblicità, che è dappertutto, madre e maestra, con tono immagine e linguaggio ora mellifluo, ora insinuante, spesso basato sugli istinti più triviali.
Quanto alla sorveglianza attraverso le leggi e la burocrazia, in Italia specialmente sappiamo di essere sepolti da decine di migliaia di norme che regolano minutamente ogni aspetto della nostra vita, abrogando i fatti nostri.
La PNL fa il resto, con la sfacciata manipolazione del linguaggio, la stessa alluvione delle parole, significanti senza significato, narrazioni senza trama. Centinaia di pagine mostruose di citazioni e rimandi è il trattato di Lisbona, oggi ribattezzato Trattato sul Funzionamento (oh…) dell’Unione Europea. E quante città, nei trattati, Nizza, Maastricht, Amsterdam, Schengen. Non ci si capisce nulla, e, naturalmente, è tutto voluto!
I regolamenti dei sorveglianti europei sono superiori per importanza alle leggi dei parlamento, le decisioni delle istituzioni finanziarie, anzi delle “autorità” sono del tutto insindacabili, e aboliscono persino la proprietà privata del nostro denaro (vedi le recentissime norme che espropriano depositanti ed obbligazionisti in caso di insolvenza delle banche). E la democrazia, parola eccelsa, tabù inviolabile, mantra quotidiano? Hanno instaurato anche un totalitarismo dei concetti, inflessibile come il monopolio sull’informazione e l’intrattenimento. Un bambino di 12 anni ha già visto in TV 100mila messaggi pubblicitari, assistito ad alcune migliaia di omicidi e, come tutti, è stato già iniziato alla dittatura del politicamente corretto.
Conformi, uniformi: il cieco è non vedente, un negro statunitense è afroamericano, un bianco è caucasico e, come no, un handicappato è diversamente abile. Una donna bruttissima immagino che debba essere definita diversamente attraente… Io mi accontento di essere diversamente democratico, ma, fuor d’ironia, siamo vittime di uno schema falso buonista, falso moralista, falso ugualitario. Falso! Chi non ci sta è un deviante.
Il peggio è che, attraverso il politicamente corretto, viene fatta passare la negazione della verità e della concretezza, in nome di un progetto di ri/costruzione e colonizzazione interiore in chiave di in/differenza ed in/distinzione. Un inferno soave e disinfettato, ben frequentato, una grandiosa vaccinazione di massa contro la realtà, non per uguaglianza, ma per equivalenza o equipollenza, non verità, ma ipocrisia, non responsabilità, ma eufemismo, sotto l’egida dell’unico Dio ammesso, il mercato, e dell’unico culto pubblico superstite, quel dello del denaro. Unica autorità sopravvissuta e venerata, il comando impersonale del mercato, attraverso la tecnica, nel nome del progresso e del cambiamento, riconosciuto inevitabilmente positivo: le magnifiche sorti e progressive…
Pensiamo alla diffusione coatta del modello omosessualista e della cosiddetta teoria del genere (anzi del gender, che in inglese fa più fino), una costruzione in cui la condizione di maschio e femmina è solo un dato iniziale, provvisorio, revocabile, scegliendo la nostra appartenenza ad uno qualsiasi di ben quattordici generi (ex sessi, ma prima erano due, con l’aggiunta del terzo per gli invertiti). Nei documenti, basta con l’indicazione del padre e della madre, riconvertiti in genitore 1 e genitore 2 (ma possono diventare anche di più, tra biotecnologie e sentenze di tribunale), mentre il neutrale coniuge sostituisce il dualismo sessista marito/moglie.
Una trasmutazione, o trasvalutazione dei valori, o, più prosaicamente una inversione del senso comune attuata attraverso il controllo ed il dominio del linguaggio, il logos. Padroni delle parole, padroni di tutto. “In principio era il verbo”, così si apre il vangelo di san Giovanni.
Se prima, l’unica agenzia sorvegliante era lo Stato, tutt’al più la religione costituita, ora i nostri controllori sono molteplici: burocrazie, tecnocrazie transnazionali, banche, gestori di reti di comunicazione, pubblicitari, intellettuali a servizio, oltre agli innumerevoli “esperti”, i nuovi impiegati di concetto del totalitarismo sorvegliante, sacerdoti dell’istruita ignoranza di massa.
Lo scopo è il dominio e, paradossalmente, il denaro è un semplice mezzo. Il modello è unico, come nei totalitarismi classici, violenti fisicamente, riconoscibili, ma si basa, ed è la sua forza ed il suo fascino, sulla moltiplicazione infinita di varianti su un unico tema: denaro, mercato, consumo.
Si afferma, e si fa credere obbligatoriamente, che il modello vigente, postulato superiore a tutti gli altri per autoevidenza, sia in realtà un meccanismo naturale, una scoperta della modernità scientifica, una legge di natura, l’unica e si capovolge anche il fatto costitutivo dell’autorità. E’ il potere a decretare l’autorevole, e non il contrario. Per i devianti, la punizione, rovinosa, è l’esclusione: dal riconoscimento sociale, dal dibattito culturale, dai consumi, dal possesso delle magiche card, e, naturalmente, dal mercato misura di tutte le cose. Esclusi per unicità, irreversibilità ed indiscutibilità del modello. Al di là delle forme, non è forse totalitarismo?
Analizziamo un po’ più da vicino le varie sorveglianze. Di quella materiale, fatta di telecamere nei non luoghi, nelle banche, nelle strade, nei centri commerciali e nei luoghi di lavoro, abbiamo accennato. Resta da segnalare l’ossessione per le varie forme di sicurezza, che sono poi l’induzione alla paura dell’altro da sé. Lo aveva capito Ortega y Gasset, affermando che nell’era delle masse la società si sarebbe frantumata in miriadi di gruppi reciprocamente ostili.
Se tanti occhi elettronici ci osservano, i nostri comportamenti cambiano, prima consapevolmente, poi inavvertitamente. Diventiamo come ci vuole il potere: docili, disciplinati, autosorvegliati, buoni consumatori, conformi alle mode, non più persone, automi dalle condotte programmate.
Sorveglianza fiscale. E’ sin troppo facile ricordare la pesantezza del carico tributario e la gravosità degli adempimenti connessi, massime in Italia. Gravi sono le modalità con cui agisce il sorvegliante fisco. Basta citare Equitalia, il mostro statale che pignora, espropria, terrorizza senza neanche che la qualità di debitori sia a accertata, o addirittura da noi conosciuta. Poi ci sono il redditometro, il redditest e da poco hanno inventato un’altra diavoleria fiscale chiamata SID. Ai non più giovani, il nome evoca la sigla dei servizi segreti negli anni di piombo.
Soprattutto, c’è la delazione promossa, incoraggiata, attraverso il numero telefonico 117, ed è la prova definitiva del carattere perverso del nostro sistema tributario. Il Re esattore sorveglia tutti i contribuenti, e la spiata è stata in ogni tempo il mezzo per eccellenza del potere. Il fisco può controllare il nostro conto corrente; il Grande Fratello bancario comunica volentieri tutti i depositi, i prelievi, i movimenti, gli investimenti, e comunque sa già se abbiamo pagato le nostre cambiali, o se siamo protestati, i lebbrosi contemporanei. Ora possono sapere anche quante volte apriamo la cassetta di sicurezza: l’alleanza tra tecnologia, banca (il più forte tra i poteri forti) e Stato desta brividi sinistri.
Illuminante fu una dichiarazione di Attilio Befera, già potente direttore dell’ Agenzia delle Entrate e di Equitalia: “Il cittadino deve essere rieducato alla legalità fiscale”. Rieducato! Anche nei gulag e nella Cambogia di Pol Pot si rieducava. Ma c’è anche l’altra parolina magica, legalità, che evoca un totalitarismo soffice, narcotico: la legge è sovrana, la legalità indiscutibile. Non è così! una norma è legittima se è giusta, conforme cioè al vero, al senso ed al bene comune. Legale è qualsiasi atto ammesso dal potere vigente. Legale fu il terrore giacobino, le deportazioni naziste, legali le purghe staliniane, legali a posteriori anche le esecuzioni sommarie del feroce dopoguerra civile italiano.
Nel merito, poi, le pur giustificate campagne contro l’evasione fiscale sono condotte con l’arma dell’odio e financo del razzismo: immagini di omini piccoli, scuri, brutti, i biechi evasori. O non sarà evasore soprattutto il sistema bancario e la grande industria multinazionale, la finanza, la società anonima, la grande rendita? Sempre più artigiani, piccoli commercianti, lavoratori autonomi, non pochi professionisti hanno come alternativa arrangiarsi con le tasse o chiudere bottega. Evasore dei propri impegni è lo Stato con le sue istituzioni, che non paga i fornitori, e comunque è totalitario sottrarre a ciascuno almeno il 60 per cento del suo lavoro, tra contributi, previdenza, IMU, TARSU, TASI, IRPEF statale, comunale, regionale, accise sull’energia con IVA inclusa. Ma è tutto tremendamente legale!
In più, l’evasione fiscale è l’alibi perfetto per giustificare fallimenti e soprusi, e per continuare ad ingannarci, come nelle recenti dichiarazioni governative secondo cui nascerebbero, come per incanto, ben trecentomila posti di lavoro dal recupero dell’evasione. Silenzio, invece, sui regali alle banche d’affari, sulle grandi fughe di capitali all’estero, sulle plusvalenze occultate, sugli sconti fiscali ai gestori di giochi e macchine mangiasoldi. Acqua in bocca, sui 60 miliardi pagati dal contribuente italiano per finanziare alle banche il debito sovrano portoghese, greco, spagnolo, e sul generoso contributo italiano al MES, Meccanismo Europeo di Stabilità. Mutismo sulle transazioni segrete nei paradisi fisali, sui profitti da signoraggio delle banche, sul ruolo delle agenzie di clearing e sui mercati “coperti” in cui si concludono le più spericolate operazioni finanziarie, ben oltre la criminalità.
Sorveglianza che funziona assai bene, in uno Stato di polizia fiscale, contiguo all’attivissima psico polizia, che ci consente di pensare liberamente solo ciò che gradiscono i “superiori”.
Il capolavoro della sorveglianza è quello realizzato nell’informatica e delle comunicazioni, attraverso computer, telefoniche, carte elettroniche, con l’interazione e l’incrocio di database che registrano, processano, organizzano, diramano, i dati che ci riguardano. “Più i database delle banche registrano su ciascuno di noi, meno esistiamo”, parola di Marshall Mc Luhan, e il potere finanziario ormai letteralmente ci possiede.
Possiede, e crea dal nulla il denaro, ma contemporaneamente ce lo toglie dalle mani con la moneta elettronica. Ci stanno imponendo anche il pagamento virtuale. Mario Monti “Occorre abbassare ulteriormente la soglia per l’uso del contante, favorire un maggior uso della moneta elettronica”. La scusa, perché è una scusa puerile, è la lotta contro l’evasione fiscale. La verità è un’altra: stampare moneta costa alla banca emittente, che, poverina, vuole risparmiare. Il costo intrinseco della monetazione è l’unico passivo a carico del sistema bancario. Ma soprattutto, attraverso il denaro elettronico, intendono controllare la vita dei consumatori – questa è la nuova qualifica degli ex cittadini – i loro gusti, le scelte, i movimenti sul territorio, le propensioni. Una dominazione capillare, con grande vantaggio per la pubblicità, il marketing, i colossi dell’industria e della distribuzione. Beni e servizi acquistabili solo con carte di credito, ogni movimentazione certificata, individuata, tracciata, compreso il luogo dell’acquisto.
L’assurdo è che la moneta è nata per facilitare, e non per ostacolare gli scambi, e quindi, a fronte del risparmio per lorsignori ed al controllo di massa, non dovrebbe esserci una lesione al benessere ed alla libertà dei dominati…
Di più: se io perdo il lavoro, non potrò ricaricare le mie carte e quindi non potrò neppure più andare dal macellaio, obbligato a non accettare più i miei residui contanti. Alternative? Chiedere un prestito, anzi un’apertura di credito, all’usura, quella illegale e quella legalissima, diventare debitore a vita, ipotecare i miei beni reali – finché ne avrò – per pura sopravvivenza. La moneta elettronica è una nuova vittoria delle oligarchie sulle moltitudini schiavizzate : meno contante, meno contate, avverte un efficace slogan.
Il nuovo paria, stigmatizzato e deviante è colui che non può rifinanziare o possedere una carta di credito, o peggio, colui al quale verrà bloccata o ritirata, insindacabilmente, magari per un ritardo di pagamento, o disoccupazione, malattia, disagio sociale, o chissà, come pena accessoria in una nuova “legalità”.
Sorveglianza, punizione, esclusione, morte civile, forse fisica. Totalitarismo per espulsione, cartellino rosso in nome del finanziariamente corretto. Esagero? Eppure, il controllo attraverso tecnologie informatiche ed elettroniche si unisce con l’accesso alle nostre comunicazioni private, posta elettronica, telefonia, smartphone, e ci lascia nudi dinanzi ad un immenso telescopi puntato a 360 gradi proprio su di noi.
Cattivi, come quasi sempre, non sono i mezzi, ma gli scopi e gli abusi di chi li possiede.
L’interazione tra sorveglianza ed incrocio delle informazioni di innumerevoli banche dati ha fatto introdurre il termine di data-veglianza, ovvero sorveglianza attraverso i dati. Non siamo che una sequenza di codici numerici binari che corre tra server e sistemi interconnessi. Sulla capacità di localizzazione attraverso le carte SIM dei cellulari sappiamo tutto: pochi sanno invece che gli smartphone hanno programmi che fotografano e registrano senza consenso. Le “apps” (applicazioni) offerte ai possessori di smartphone consentono al fornitore di eseguire registrazioni audio e riprendere immagini senza conferma dell’utente.
Tutto è banalmente legale, e sta scritto nella illeggibili condizioni cui tutti accordiamo il nostro sbrigativo “accetto”.
Potremmo citare il sistema Echelon di Strati Uniti e Gran Bretagna, oggi superato da nuove tecnologie, che monitorizza attraverso potentissimi centri di ascolto elettronico tutte le nostre conversazioni telefoniche, con sistemi di decrittazione istantanea e parole chiave che attivano i recettori. Adesso, ma sempre per il nostro bene, c’è anche SIS, fratellino minore, europeo, di Echelon, ufficialmente per difendere le frontiere comunitarie. Il pretesto è così ridicolo da non meritare neppure un battito di ciglia.
In Italia, poi vi è sovrabbondanza di intercettazioni telefoniche ufficiali e legali. In genere, vengono disposte più per perseguire dei malcapitati, specie se politicamente scorretti, che per indagare su notizie di reato. Non si è salvato neppure Napolitano, che era pur sempre il presidente della nostra repubblica bananiera.
I database che custodiscono i dati provenienti dai nostri computer, tablet, carte elettroniche, bancomat e simili – ne abbiamo pieno il portafogli – vengono compravenduti da providers e fornitori/gestori di servizi. Questo non è (ancora) legale, ma avviene correntemente, generalmente per scopi commerciali in assenza di controlli, ma del resto controllati e controllori sono infine gli stessi soggetti. Ma oltre all’illegittima, e, una volta tanto, illegale intrusione nei fatti nostri, possiamo escludere schedature politiche o di altro genere, da chi, gestendo reti e connessioni, è padrone del mondo? E, sia chiaro, sono sempre gli stessi, apparato militare industriale USA, alta finanza, cupola bancaria, poche decine di gigantesche multinazionali, sionisti.
Quanto alla sorveglianza nei luoghi di lavoro, con impianti audiovisivi e telecamere, a nessuno sfugge l’odiosità di tali condotte, e la debole difesa legale contro gli abusi. Si è intanto diffusa, nelle ricerche di personale, l’abitudine di controllare Facebook e Twitter per tracciare il profilo dei candidati e conoscere tutto della loro vita. Che dire? Attenzione a ciò che riveliamo di noi stessi in rete : un consiglio che è purissimo invito all’autocensura!
Due riflessioni su Internet: la rete è la grande speranza di far passare al pubblico verità scomode, diffondere idee e conoscenze sgradite, aprire gli occhi e le menti. Tuttavia, un esperto ha affermato che “Internet è sicura come Los Angeles Est il sabato sera.”. La nostra navigazione è sorvegliata da apparecchi potenti ed occhiuti, attraverso programmi detti “agenti intelligenti”, che riescono ad elaborare un enorme numero di informazioni ad altissima velocità, scartando quelle che non interessano e selezionando le altre. Si tratta di veri e propri spioni elettronici (spyware), invisibili e potenti, metafore della sorveglianza globale. Poi ci sono i cookies dal nome seducente (dolcetti), spesso non dichiarati, che si insinuano nel disco fisso del computer, raccogliendo informazioni utili a tracciare un nostro identikit commerciale ad uso dell’apparato pubblicitario.
L’ultima stazione della nostra “via crucis” riguarda la pubblicità, per ribadirne il carattere totalizzante ed il ruolo decisivo nella costruzione del consenso sociale. I meccanismi sono noti sin dagli anni 50, dal libro di Vance Packard “I persuasori occulti”. Meno conosciuto è lo stretto rapporto tra pubblicità e psicanalisi dell’inconscio, neuroscienze e PNL nelle più recenti tecniche di persuasione.
Il maestro fu Edward Bernays, americano nipote di Freud, come lui israelita, il cui capolavoro concettuale fu una grandiosa pubblicità occulta a favore del fumo realizzata attraverso la propaganda per il voto alle donne. Egli organizzò una campagna in cui le donne, tutte piacenti, moderne, impegnate, in carriera, orgogliose di sé e dei nuovi diritti, venivano sempre ritratte con la sigaretta in bocca o in mano. Diffuse quindi l’immagine del fumo come comportamento moderno, positivo, alla moda, in linea con il successo.
Un altro elemento, sempre più centrale nelle strategie di marketing, è l’ossessiva reiterazione/ripetizione del messaggio come elemento di forza persuasiva. “Una menzogna ripetuta mille volte, diventa verità”.
Il fatto poi che qualcosa sia visto e condiviso da molti “prova” che è buono, positivo. Si chiama intimidazione maggioritaria, ed è la sanzione della forza del mercato e dell’economia, cioè di una legalità puramente commerciale, nonché della costrizione-sottomissione del consumatore, presunto libero ed illuminato. Vittoria postuma delle tesi di Jean Baptiste Say circa la domanda che determina l’offerta, o meglio dell’offerta che impone la domanda.
Meccanismo interessante è l’Auditel, il piccolo contatore applicato ad alcuni televisori prescelti, che misura la quantità del pubblico, e non certo la qualità o il gradimento dei programmi. Alla gente piace quello che le viene fatto piacere!
L’elemento sottilmente totalitario della comunicazione pubblicitaria non risiede solo nella sua quantità, abilità e scientificità, ma nella credenza che la sostiene ed alimenta, cioè che la felicità e la ragion d’essere della presenza umana nel mondo si riduca o si confonda con il consumo. Per di più, non si propagandano più solo prodotti, ma anche comportamenti, idee, stili di vita, direttamente o attraverso il taglio generale dei messaggi.
Non si mira, infine, a valorizzare un particolare prodotto, quanto ad enfatizzare l’atto dell’acquisto, vale a dire il sistema dei prodotti, e tutto è “prodotto”. La pubblicità incarna il linguaggio della merce, che sta diventando il paradigma e la chiave di lettura di tutti i linguaggi sociali ; erige un luccicante carcere interiore a fini di mercificazione e controllo, riducendo l’umanità a bestiame umano, in definitiva merce essa stessa ‒ lo schifoso traffico degli organi, la compravendita del sangue, l’affitto dell’utero, e la biotecnologia prepara altro ancora.
Dimostrata la qualità niente affatto neutra delle tecniche di sorveglianza delle oligarchie a fini di dominio, si impone una conclusione fosca: siamo nel pieno di un totalitarismo del tutto inedito, reticolare, che seduce, estirpa, convince, sradica, soffoca, e, soprattutto, nasconde.
Che fare? C’è una via d’uscita? Davvero non si sa, ma occorre nuotare anche in quest’acqua, cavalcare la tigre, in piedi tra le rovine, come chiedeva Julius Evola.
Ripartiamo allora dai fatti, dalla ri/scoperta della verità, dalla diffusione paziente della conoscenza, dalla consapevolezza di essere bersaglio di menzogne, inganni, distruzione sistematica dei punti di riferimento e delle concrete libertà. Nelle forme descritte, ed in quelle che stanno elaborando tra scienza, economia e politica, la società della sorveglianza mira alla sovranità assoluta sull’uomo con i mezzi della manipolazione delle conoscenze, delle applicazioni tecnologiche e l’orientamento coatto dei pensieri, delle inclinazioni, delle azioni.
E’ una implacabile antropologia negativa dall’esito nichilista in una modernità parricida, che, orfana del pater, ripiega su un tutor (la tecnica) imposto da un dominus (il sorvegliante globale globalista).
In questa nuova babilonia, autentica Matrix planetaria, agli uomini liberi, alle avanguardie resta il compito di increspare le acque, destare le coscienze, andare oltre il pensiero dominante, le rassicuranti menzogne e lo spirito del tempo, per un ritorno alla verità, che è sempre, come ci ha insegnato San Tommaso d’Aquino, coincidenza di realtà ed intelligenza. Oggi piccoli focolai di opposizione e controinformazione, domani, chissà, sarà alternativa culturale, idee nuove che muoveranno il mondo.
Viviamo come un fronte questo nostro tempo malato, sperando che, prima o poi, vincerà chi avrà saputo intuire, in mezzo alle macerie, le pietre di una cattedrale.