Chi non capisce un tubo?
di Giovanni Petrosillo - 17/01/2016
Fonte: Conflitti e Strategie
Renzi sembra l’unico a non capire un tubo. Cioè a non comprendere l’importanza delle rotte strategiche dei gasdotti, delle possibili alleanze internazionali veicolate dagli approvvigionamenti degli idrocarburi e degli scambi nel settore energetico che producono vantaggi al sistema politico ed economico di un Paese. La sua dichiarazione riportata qualche giorno fa dal Messaggero lascia letteralmente di stucco: “”Siamo in una fase di riflessione, la questione richiede molto tempo per arrivare a eventuale maturazione. Soprattutto non si può perdere la faccia per due tubi…”. Il riferimento è al raddoppio delle pipeline sul versante nordeuropeo che porteranno il gas da Mosca a Berlino, aggirando l’Ucraina. Il progetto in questione è stato oggetto di una prima disputa a livello europeo perché avrebbe infranto la posizione unanime dell’Ue sulle sanzioni alla Russia. Il nostro Governo ha denunciato il doppiogiochismo della Merkel nelle relazioni con Putin. Mentre L’Italia si è dimostrata ligia al dovere (ovvero ai diktat atlantici) facendo saltare il programma gemello South Stream il quale, ugualmente schivando Kiev, avrebbe reso più sicure le forniture dalla Russia alla nostra Penisola e al resto del Continente. Il nostro Premier rimprovera i crucchi di aver pensato solo ai loro interessi dividendo il fronte antirusso (e filo-americano). Eppure, i nostri partner tedeschi e russi hanno provato a farci entrare nella partita, nonostante i pasticci combinati in passato dalla nostra leadership istituzionale, ritornata più volte su decisioni già prese per timore di scontentare Washington. Inoltre, dalla Bulgaria arrivano ulteriori segnali positivi che indicano la volontà di riaprire il discorso anche sul South Stream, tralasciato mesi fa per le pressioni americane su Sofia. All’epoca, era la metà del 2014, era stato direttamente John McCain ad imporre lo stop in un incontro col Primo Ministro bulgaro, scelta che scatenò anche la defezione dei serbi, fino a che i russi persero la pazienza mandando il Consorzio a carte quarantotto. Il South Stream però potrebbe ripartire con variazioni progettuali ed anche senza di noi. Secondo indiscrezioni, il deterioramento delle relazioni tra Russia e Turchia per la guerra in Siria lo avrebbe riportato in auge. Ricordiamo che il costo del progetto sarebbe intorno ai 15,5 miliardi di euro per la consegna all’Europa di 67 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
Dall’Italia non c’è stata reazione alle notizie provenienti da Sofia, nonostante il ripescaggio dell’iniziativa sarebbe la soluzione più lungimirante per la sete energetica del Belpaese e la ripresa economica. Peraltro, le cosiddette trivellazioni interne rischiano similmente di essere bloccate a causa dei sommovimenti di protesta nelle regioni interessate, con le associazioni ecologiste già sul piede di guerra. La cosa più ridicola sarebbe il cedimento del Governo alle ubbie dell’ambientalismo più estremo, quelle uscite anche dalla Conferenza di Parigi che premono per “l’adozione di un piano energetico che abbia come obiettivo, a medio e lungo termine, il cento per cento del rinnovabile”. Sciocchezze sesquipedali che farebbero a pezzi l’economia italiana deprimendo irreparabilmente il tessuto produttivo nazionale. Come scriveva il Foglio qualche settimana fa: “Il World Energy Outlook (WEO) smentisce, clamorosamente, scenari e aspettative del climatismo ufficiale: nel 2040 le fonti fossili ed emissive peseranno, ancora, per il 55 per cento dei consumi energetici (solo 15 per cento di riduzione, quindi, rispetto ai consumi attuali); le fonti rinnovabili rappresenteranno solo un quarto del mix di energia del 2040 (e solo comprendendo il nucleare tra le fonti carbon free). Il nucleare, tra l’altro, con buona pace di Greenpeace, è la fonte che conoscerà il maggiore boost rispetto ai dati attuali (con una crescita del 60 per cento)”.
Evidenziati questi scenari, l’offerta russo-tedesca dovrebbe essere colta al volo dalla nostra classe dirigente, così come la possibilità di riaprire il discorso sul South Stream. Insomma, meglio “perdere la faccia per due tubi” (con chi poi?) che finire intubati per deperimento e per false credenze ambientalistiche che potrebbero portarci ad una completa rovina.