Le sei verità sul golpe che nessuno vuole dire
di Gian Micalessin - 19/07/2016
Fonte: Il Giornale
Altro che golpe fasullo. É una spy story disegnata intorno all'odissea di un Recep Tayyp Erdogan sfuggito prima all'assalto delle teste di cuoio mandate a catturarlo o ucciderlo e poi ai missili di due F16 incaricati d'intercettare il suo Gulfstream in volo verso Istanbul.
Ma le cronache di venerdì notte spiegano anche i perché di un golpe scoordinato ed improvvisato. Un golpe innescato non dalla volontà di prendere il potere, ma dalla paura di ritrovarsi vittime di un grande repulisti. Un repulisti già studiato per far piazza pulita degli ultimi esponenti «kemalisti» e «guleniani» dentro forze armate, polizia e magistratura. Un repulisti scattato ugualmente subito dopo il golpe come dimostrano gli oltre 7mila500 arresti di militari, giudici e poliziotti eseguiti sulla base di liste già pronte da tempo. Per scovare il bandolo della matassa bisogna andare al 9 luglio quando i magistrati pro Erdogan riaprono un vecchio caso di spionaggio chiuso a febbraio a Izmir con l'assoluzione di 357 alti ufficiali. L'arresto - sulla base delle stesse imputazione - di ufficiali ed ammiragli, accusati di esser al soldo di Fethullah Gulen, il nemico di Erdogan in esilio negli Usa mette sul chi vive molti ufficiali. Scatta così il tentativo di contropiede guidato dal generale Akin Ozturk, un ex comandante dell'aviazione che ha mal digerito il pensionamento e punta ad auto proclamarsi nuovo capo di stato maggiore. Con lui ci sono il generale Metin Iyidil, responsabile dell'addestramento delle forze di terra di Ankara, il comandante del Terzo corpo d'armata e il generale Adem Huduti responsabile di quel Secondo corpo d'armata da cui dipende l'offensiva contro i curdi del Pkk ordinata da Erdogan nell'estate 2015. Ai golpisti manca però l'appoggio del capo di stato maggiore Hulusi Akar, del suo vice generale Yasar Guler e dei comandanti di esercito aviazione, marina e gendarmeria tutti perfettamente allineati con Erdogan dopo la rimozione - tra i il 2010 e il 2011 - della vecchia guardia kemalista. Per il resto a tenere le fila della rivolta vi sono una decina di generali a due stelle, una settantina dei 220 generali ad una stella ed una massa di colonnelli bloccati nella carriera perché ritenuti poco affidabili. A rendere ancor meno efficace la sollevazione s'aggiunge la mancanza di un comando unificato e l'assenza di consistenti appoggi dentro le forze di terra. Proprio per questo i congiurati decidono di puntare su un Erdogan in vacanza al Grand Yazici Club Turban, un hotel a alla periferia di Marmaris sul mar Egeo. Poco prima delle 21.00 di venerdì - mentre un gruppo di golpisti cattura il capo di stato maggiore Akared e il suo vice Guler rinchiudendoli in una base aerea vicino ad Ankara - 40 uomini delle forze speciali vengono spediti a Marmarisi a bordo di tre elicotteri con l'ordine di catturare o uccidere il presidente. A salvare Erdogan ci pensa il comandante del primo corpo d'armata Umit Dundar che lo chiama e lo invita a volare ad Istanbul per mettersi sotto la sua protezione. Così quando i «berretti marron» delle Forze Speciali fanno irruzione nel Grand Yazici Club scontrandosi con la Guardia Presidenziale Erdogan è già su un jet Gulfstream in volo per Istanbul. Neanche lassù però sono rose e fiori. Mentre all'hotel si combatte e si muore un terrorizzato pilota annuncia al presidente che il Gulfstream è stato «illuminato» dai radar di due F16 pronti ad abbatterlo a colpi di missili. In quel clima di panico parte la disperata richiesta di aiuto alla Germania poi da tutti smentita. Scatta però anche l'imprevisto che mette fine all'avventura golpista. Per qualche misteriosa ragione i missili non partono e l'aereo di Erdogan è libero di atterrare a Istanbul. Forte dell'appoggio del generale Dundar Erdogan può giocare la carta del video messaggio lanciato con il telefonino e lasciare l'aeroporto. A rispondere a quell'appello non è però il popolo - come raccontato nei giorni scorsi - ma la grande massa islamista fedele al presidente. Affluiti dalle campagne richiamati dalle moschee i barbuti - pronti a morire per Erdogan e per il Corano - circondano i carri armati affidati a coscritti impauriti ed esitanti. In poche ore quella milizia musulmana arruolata con un video messaggio si trasforma nell'unico, vero popolo della Turchia. Un popolo rigorosamente islamico al servizio di un Erdogan con un unico obbiettivo, fare piazza pulita dei propri nemici, cancellare l'idea di Turchia laica disegnata da Ataturk, e governare con il pugno di ferro una rinascita islamica basata sull'antico ideale assolutista del Califfato ottomano.