Dietro questa riforma c'è il golpe di Napolitano
di Paolo Becchi - 30/11/2016
Fonte: Libero
"La revisione della Costituzione ha un obiettivo politico ben preciso: è il tentativo di portare a compimento in modo legale quel colpo di Stato architettato nell’estate del 2011 dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con il sostegno della Banca centrale europea (BCE). Non bisogna infatti dimenticare che la mente della riforma in corso non è certo Renzi, che è un mero esecutore, ma Napolitano, che sino alla sua peraltro meramente formale uscita di scena è stato il vero Capo del Governo, rispetto al quale prima Monti, poi Letta e infine Renzi sono stati solo dei docili strumenti. [...] La riforma costituzionale e la legge elettorale, il cosiddetto Italicum, sono strettamente legate, e hanno un unico obiettivo: realizzare ciò che Napolitano si è prefissato già dal 2011, vale a dire l’instaurazione di un regime postdemocratico, in cui il potere sarà affidato a un Primo ministro dotato, all’interno, di poteri pressoché assoluti e, all’esterno, completamente sottoposto ai diktat dell’Unione europea e della finanza globale. [...] Al posto di un governo democratico si vuole dunque un governo oligarchico che sappia applicare con rapidità le direttive di Bruxelles, come JP Morgan, nel documento che di seguito citiamo, invitava a fare: le costituzioni del dopoguerra come la nostra avevano una connotazione troppo pericolosamente socialdemocratica, per questo devono essere cambiate. Ricordate? Era stata proprio la società finanziaria americana, nel 2013, a dare le indicazioni fondamentali all’Italia: le costituzioni mostrano una forte influenza socialista, aveva scritto, «che riflette la forza politica che i partiti di sinistra hanno guadagnato con la sconfitta del fascismo». E ancora:
«I sistemi politici nelle periferie mostrano parecchie delle seguenti caratteristiche: esecutivi deboli; Stato centrale debole nei rapporti con le regioni; protezione costituzionale dei diritti dei lavoratori; sistemi di consensi basati sul clientelismo; e contemplano il diritto alla protesta contro i cambiamenti allo status quo politico. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I Paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle Costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia). [...] Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica. [...]Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei Paesi del Sud, e in particolare le loro Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea».
Noi, periferia, dobbiamo cambiare la Costituzione per favorire le politiche di JP Morgan e dei centri di potere finanziario mondiali. Tutto ciò è riconosciuto esplicitamente dallo stesso Governo italiano. Basta riprendere la relazione illustrativa al disegno di legge di revisione costituzionale presentato dal Governo al Senato l’8 aprile 2014, ove si motiva la necessità della riforma con: «Lo spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo di integrazione europea e, in particolare, l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea e alle relative stringenti regole di bilancio», parole del Presidente del Consiglio. [...]
La legge di revisione costituzionale rende ora ancora più “domestica” l’Unione europea. Adegua il linguaggio dell’art. 117, comma 1, al nuovo ordine giuridico europeo, discorrendo di ordinamento dell’Unione europea. Ma soprattutto tesse nuove, fitte, relazioni tra lo Stato e l’Unione europea. Attribuisce alla legge bicamerale, approvata cioè da entrambe le Camere, la competenza ad approvare la legge che stabilisce le norme generali, le forme ei termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Ue. Attribuisce al Senato, che non sarà più eletto direttamente, il concorso all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea. Diventa chiaro che così saremo totalmente sottomessi all’Unione europea. Uno Stato sempre meno sovrano, con un governo sempre meno rappresentativo. Questo è, in effetti, l’obiettivo che si intende raggiungere."