Qualche dubbio sull’Oscar ai caschi bianchi
di Giampaolo Rossi - 01/03/2017
Fonte: Gli occhi della guerra
Dovevano dare loro il Nobel per la Pace; poi forse, presi da un senso di dignità, hanno preferito evitare. Ma c’ha pensato Hollywood a regalare un Oscar ai Caschi Bianchi, la più ambigua e controversa organizzazione umanitaria attiva in Siria.
“White Elmets” prodotto da Netflix, è stato premiato nella Notte delle Stelle come miglior documentario anche se in realtà dovrebbe appartenere alla categoria fiction.
Dei Caschi Bianchi (o Elmetti come spesso vengono chiamati) ne abbiamo parlato più volte (per esempioqui e qui), svelando alcuni aspetti taciuti dai media: dei loro legami fondativi con i Servizi segreti britannici, dei finanziamenti impressionanti da Usa, Gran Bretagna, Qatar e da altre nazioni impegnate nel “regime change” in Siria (qui il ministro britannico Boris Johnson promette 32 milioni di sterline all’organizzazione); della stranezza di molti loro video manipolati con cinematografica spettacolarizzazione (spesso utilizzando bambini come attori di finti bombardamenti); delle società di marketing che curano il loro brand per il ricchissimo mercato della commozione occidentale; della doppiezza di molti loro volontari che di giorno indossano i Caschi Bianchi e di sera imbracciano AK47, sventolano le bandiere di Al Qaeda e esultano a fucilazioni e decapitazioni (qui una carrellata inquietante di foto che forse ad Hollywood non hanno visto); del fatto (casuale per carità) che la loro attività di eroico volontariato avviene solo nelle zone occupate dai gruppi jihadisti anti-Assad.
Tutte cose ormai risapute.
Ma dopo che George Clooney li ha definiti eroi e si è detto pronto a fare un film su di loro, la macchina della sensibilizzazione artistica e moralista si è messa in moto.
Il documentario
Il documentario è in realtà un perfetto prodotto hollywoodiano; 40 minuti di immagini terribili di guerra, di morte e di dolore che si alternano a perfetti copioni recitati da giovani volontari dentro una sceneggiatura incisiva (il giovane papà, il volontario umanitarista, le scene di quotidiana paura, il dolore per la notizia in presa diretta di un parente morto sotto un bombardamento russo, il bimbo salvato e adottato).
Difficile capire quale sia il rapporto tra realtà e finzione. La stranezze è che tutti i filmati di guerra presenti nel documentario sono stati girati dagli stessi “Caschi Bianchi” e consegnati ai produttori di Netflix che li hanno assemblati.
Ma se si mette da parte per un attimo l’emozione costruita su una traccia narrativa ed un montaggio praticamente perfetti, rimane l’incredibile operazione di propaganda di questo documentario che ora, dopo la benedizione della Notte degli Oscar, diventerà verità per l’immaginario simbolico occidentale.
White Helmets è costruito per mandare messaggi politici senza che sembrino messaggi politici; una classica tecnica di dissimulazione narrativa: raccontare il dolore e il vero orrore di una guerra spietata per tutti, non solo per qualcuno, e poi infilare il passaggio manipolatorio.
Per esempio nel documentario i giovani “attori” fanno spesso riferimento al loro impegno ad Aleppo e ai drammi generati dall’assedio russo-siriano: “200 raid al giorno ed ogni missile distrugge un intero quartiere”; ma, al di là dell’assurdità della frase, Eva Barlett la giornalista canadese impegnata in importanti reportage in Siria, ha rivelato che ad Aleppo i Caschi Bianchi nessuno li ha mai visti semplicemente perché non ci sono mai stati; e le immagini della popolazione siriana in festa dopo la liberazione della città dai mercenari jihadisti che l’avevano chiusa nell’orrore per anni, smentisce qualsiasi retorica occidentale.
Le scene dei bombardamenti non hanno tempo né luogo: alcune sono vere altre chiaramente costruite; c’è qualche verità in questo documentario ma anche tanta falsità.
Sembra quasi che la guerra in Siria sia un prodotto di Putin e di Assad contro il popolo siriano: “La situazione è molto difficile in questo momento – dice uno dei volontari – a causa dell’intervento della Russia a fianco del regime: dicono che è per combattere l’Isis ma in realtà colpiscono i civili”.
Non una parola su una guerra costruita a tavolino e programmata da decenni dalle centrali dell’intelligence americana. (come hanno svelato i recenti documenti della Cia). Rari i riferimenti all’Isis e nulla sul ruolo dei sauditi nella sua creazione.
Nessuna parola sulle decine di migliaia di bombe che Obama ha lanciato in questi anni sulla Siria (12.000 solo nel 2016): le bombe sono solo quelle russe.
Il grande sistema di Hollywood si è guardato bene dal criticare il presidente tanto caro all’élite globalista e ai pacifisti miliardari (che quasi sempre sono le stesse persone).
“L’Isis a terra e gli aerei russi in cielo” esclama ad un certo punto il solito volontario; strano connubio considerando che i russi combattono l’Isis; che a terra ci sono anche le bande jihadiste finanziate da Obama (di cui loro fanno parte); e in cielo ci sono gli aerei di una coalizione di 12 paesi a guida Usa che bombardano la Siria da molto prima dell’arrivo dei russi.
The Show must go on
E così, il grande circo dello Star System americano ha chiuso in bellezza il suo spettacolo. Dopo il sesso orale di Madonna a favore della Clinton, il comizio di Meryl Streep alla marcia delle donne ed il surreale corteo di attori hollywoodiani per protestare contro il muro anti-immigrati (tra le loro ville di Beverly Hills cinte di mura e protette da polizia privata), serviva un tocco di sano impegno umanitario internazionalista; e la Siria è lo spazio ideale dove modellare l’immagine tra buoni e cattivi.
In fondo il premio di Hollywood ai Caschi Bianchi, ha una sua coerenza: tra attori ci si capisce.