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Una scienza senz'anima (novità editoriale)

di Giuseppe Sermonti - 24/05/2008

Fonte: lindau

Giuseppe Sermonti, Una scienza senz'anima, Lindau, Torino, 2008, 240
pp., 14,50 euro  - www.lindau.it

"Ho cercato di tessere con i fili dell'inganno una trama di verita' "


«Per riguadagnare l'anima smarrita, la scienza dovrebbe occuparsi non
tanto dell'uso pratico dei suoi strumenti e delle sue leggi, quanto di
un discorso in cui collocare le sue conoscenze, in altre parole del loro
"significato". Non deve sperperare miliardi di dollari per trovare una
molecola di carbonio in un pianeta senza storia, in un paesaggio non
visitato da Cristo. Davanti alla scoperta, piuttosto che chiedersi: "Che
uso posso farne (e a che prezzo posso venderla)?", si chieda lo
scienziato: "Dove posso inserirla nel racconto che sto facendo del
mondo?". Conoscere è narrare, è rappresentare, è trovare un ruolo nel
cosmo a smarriti personaggi in cerca di autore.»

DAL 30 MAGGIO, IN LIBRERIA

L'autore di queste pagine ribalta molte delle affermazioni correnti
sulla fede, la scienza e la tecnica. La fede, innanzitutto, non è
un'invenzione umana: è vero il contrario, l'uomo è una creatura della
fede. La scienza, invece, è un prodotto dell'uomo. «L'aspirazione verso
la verità e la comprensione - ha scritto Albert Einstein - sorge dalla
sfera della religione.» La tecnica, poi, è stata rappresentata come il
frutto dell'albero della scienza. Anche in questo caso è vero il
contrario: la scienza è una teoria sulle ragioni che fanno funzionare la
tecnica. La locomotiva è nata prima della termodinamica, i vaccini prima
dell'immunologia, l'allevamento equino prima della teoria
dell'evoluzione. Come ha ammesso Francis Bacon: «A dire il vero, col
sorgere della scienza esatta, la scoperta delle cose utili cessò». In
uno slancio di concretezza, la scienza moderna ha smarrito l'anima e
scoperto il cervello. Si accinge ora a decifrare il destino, nostro e
della specie, negli oscuri meandri del DNA.
Ci si augura che, al di là delle elaborazioni dei bio-tecnologi, essa
non rifiuti l'eterno profumo di mistero e di incanto che emana dalla
natura, e seguiti a provare un'accorata nostalgia dell'anima.

l'autore
Giuseppe Sermonti (Roma, 1925), genetista dal 1950 presso l'Istituto
Superiore di Sanità in Roma, ha fondato la genetica dei microrganismi
produttori di antibiotici e ha presieduto la International Commission
for Genetics of Industrial Microorganisms. Nel 1964 vince una cattedra
di Genetica e nel 1970-71 presiede l'Associazione Genetica Italiana. Nel
1980 è eletto alla vicepresidenza del XIV Congresso Internazionale di
Genetica a Mosca. Lo stesso anno è chiamato alla direzione della
«Rivista di Biologia» (fondata nel 1919). In quel periodo inizia la sua
critica allo Scientismo e all'Evoluzionismo darwiniano, che lo isola
dall'establishment accademico. Nel 1982 l'Accademia Pontificia lo invita
a partecipare a un gruppo di lavoro sull'Evoluzione dei Primati. Nel
1986 è tra i fondatori, a Osaka, del gruppo degli Strutturalisti
dinamici, di cui la «Rivista di Biologia» diviene l'organo. Alla ricerca
dei significati non utilitaristi della scienza, indaga e scopre leggi
naturali e tecniche chimiche nelle fiabe del focolare. Scrive e
rappresenta drammi sui protagonisti della scienza. Nel 2004 riceve il
Premio per la Cultura della Vicepresidenza del Consiglio, per le sue
ricerche e critiche scientifiche. Pubblica indagini sulla nascita degli
alfabeti dalle costellazioni dello Zodiaco.
Tra le sue opere scritte o riedite negli ultimi anni, Il mito della
Grande Madre (2002), Il crepuscolo dello scientismo (1971, 2002),
Dimenticare Darwin (1999, 2003), Fiabe di tre reami (1986-92, 2004), Why
Is a Fly Not a Horse? (2004), Tra le quinte della scienza (commedie, 2007).

indice dell'opera
5 Premessa
9 Introduzione

17 1. Per una definizione della scienza
27 2. Il momento prometeico
39 3. La paura delle streghe
49 4. Un'ambigua benefattrice
61 5. La spiegazione evolutiva
69 6. In cerca di realtà
83 7. Scienza e fede
91 8. Il gusto della scienza
99 9. Una ragione per vivere
107 10. La figura dell'uomo
119 11. Unità di scienza e religione
129 12. Quel po' di noi che non è uno zombi
137 13. Nostalgia dell'eternità

149 Bibliografia
151 Indice dei nomi

 

dal libro

«Ogni libro contiene la sua pagina peggiore e la sua migliore, e quindi
anche il mio. Tutte e due sono per me imbarazzanti. Con la migliore temo
di avere persuaso qualcuno del mio pensiero, e me ne pesa la
responsabilità, con la peggiore temo di avere dissuaso qualcuno da
un'idea che forse era giusta.
Ho scritto questo libro (ma tutti) con la convinzione (anzi la speranza)
di non aver espresso alcun pensiero che non fosse stato prima enunciato
da qualcuno, e forse risaputo da sempre. Avrei allora dovuto colmare le
pagine di citazioni, ma me ne è mancata la dottrina, e poi sono convinto
che l'antica saggezza è perduta in cattive traduzioni e inesprimibile
nella corrotta lingua dei tempi nostri.
Ho cercato di cogliere l'eco di ispirazioni vaganti nell'aria, e dare
loro un certo filo logico, benché, ahimè, io non creda neppure nella
logica, anzi la giudichi ingannevole come le sirene. Ho cercato di
tessere con i fili dell'inganno una trama di verità. Ma che altro può
fare un uomo moderno?
So di essere un uomo discusso, e questa è la condizione che preferisco.
Le imputazioni che mi vengono rivolte mi lasciano, però, perplesso. Un
famoso scienziato mi accusa di credere in Dio, e in me non c'è che la
disperata aspirazione di poter percepire nelle cose appena un vago alito
di divino. Credere in Dio, caro A. B.-T., non è né una scappatoia
intellettuale né tanto meno qualcosa che si realizzi con l'iscrizione a
un partito o a un'associazione pia. Alla fine, è cosa mia. Mi si fa
anche carico di fare ricorso alla Tradizione con la t maiuscola (questa
delle maiuscole è una questione centrale nella moderna grafologia, che
non riguarda più la distinzione tra nomi propri e nomi comuni, ma
problemi di apologetica). Quanto vorrei, davvero, essere un portatore di
tradizioni, sia pure semplici, popolari, contadine! Anch'io ne sono
stato espropriato, come tutti voi, eppure sono convinto che
nell'inconscio e in appena qualche strato della mia coscienza, io non
valgo (come voi, peraltro) se non per quello che qualche tradizione mi
ha affidato. E con questa fragile eredità cerco di resistere
all'acculturazione che la pubblicità commerciale, la propaganda
politica, i titoli dei libri e la fraseologia dei rivoluzionari
martellano nella mia testa.
In questo libro ho cercato di affrontare il tema Scienza e Realtà,
argomento assolutamente inarrivabile, perché le due parole sono ormai
intrichi inestricabili. Mi sono provato a ricostruire che cosa si
intendesse per scienza, ma ho rinunciato del tutto a definire la realtà.
Ho incontrato per lo meno tre scienze: una scienza di fatto, una scienza
mitica e quella che mi pare risponda al senso migliore, originale della
scienza, una sapienza contemplativa di cui la scienza positiva e quella
mitica sono piuttosto il tradimento che la continuazione. Alla fine
propongo un recupero, e d'altro canto che cosa altro avrei potuto
proporre dopo la mia premessa? È un recupero quanto mai difficile,
perché la mia educazione, la mia esperienza, il mio linguaggio li ho
ricevuti dal mondo moderno, e solo di essi so, posso e voglio servirmi,
poiché altrimenti non sarei in alcun modo qualificato a scrivere questo
libro.
La scienza è un territorio così vasto che va dai missili a testata
nucleare al numero dei petali di un fiore. Io amo i petali, sono dalla
loro parte, e sono convinto che contengano più forza e ricchezza che non
le testate nucleari, misero strumento della tristezza e dell'impotenza.»

Giuseppe Sermonti