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Il regime epidemico a la sindrome di Pollyanna

di Andrea Zhok - 15/08/2024

Il regime epidemico a la sindrome di Pollyanna

Fonte: Andrea Zhok

Ieri l’Organizzazione Mondiale della Sanità per bocca del suo direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato lo stato di emergenza internazionale in seguito all’aumento dei casi di vaiolo delle scimmie (Mpox). Al momento il contagio pare limitato ad alcuni paesi dell’Africa Centrale. Si tratta di aree dove il virus, isolato per la prima volta nel 1958, risulta endemico. Rispetto all’allarme lanciato già due anni fa dall’OMS, le attuali varianti appaiono più virulente e con una letalità maggiore (se dobbiamo dar retta alle informazioni circolanti, la letalità dell’epidemia del 2022 era del 0,2%, quella attuale intorno al 5%).
Scottati dai trascorsi del coronavirus e dalla notoria presenza di conflitti di interesse nell’OMS, la dichiarazione di emergenza sta attraendo comprensibile attenzione e suscitando altrettanto comprensibile inquietudine. Tuttavia, essendo il virus Mpox trasmissibile solo per contatto diretto di fluidi corporei, la sua capacità diffusiva appare incomparabilmente inferiore a quella di virus trasmissibili per via aerea.
Dunque non sembrerebbe prestarsi per operazioni internazionali di massa come quelle avvenute nel 2020-2021 per il Covid.
Detto questo, l’inquietudine e il sospetto rispetto ad ogni presa di posizione dell’OMS sono oggi reazioni sane, direi doverose.
Il problema di fondo, profilatosi con chiarezza negli ultimi anni, è che l’ambito sanitario rappresenta uno dei punti più deboli nelle già traballanti difese delle odierne democrazie. Ciò è dovuto alla convergenza di quattro fattori.
Il primo è che oggi le capacità bioingegneristiche disponibili a grandi gruppi farmaceutici privati sono tali da consentire manipolazioni mirate dei patogeni: la ricerca per cure preventive e la ricerca per la produzione di varianti artificiali dei patogeni possono essere indistinguibili.
Il secondo è che questo tipo di ricerca privata non ricade soltanto nell’ambito dell’ordinaria ricerca di profitto, ma rientra nell’interesse del comparto militare (armi biologiche) e dunque di alcuni settori statali, con agende eminentemente legate alla politica estera.
Il terzo è che il livello di competenza necessario per comprendere anche solo la cornice generale del funzionamento di patologie legate e virus e batteri richiede un livello culturale e una vigilanza mentale che, assai ottimisticamente, stimerei intorno al 5% della popolazione. In altri termini, si tratta di ambiti dove la reazione normale dei più è di “affidarsi agli esperti”, anche se l’esperto di turno è a libro paga della politica (laddove mai e poi mai si fiderebbero della politica per via diretta).
Il quarto è che l’ambito epidemico è uno dei pochi dove, strutturalmente, i poteri dello stato, anche negli ordinamenti democratici, vengono legittimati a sospendere o aggirare diritti individuali, nel nome del “bene comune”. (E stendo qui un velo sulle oscene manipolazioni della verità cui abbiamo assistito in epoca Covid per giustificare coazioni apparentemente nel nome del “bene comune”.)
Questi fattori rendono l’ambito epidemico-patologico un ambito politicamente strategico perché si trova all’incrocio di interessi potenti e spesso inconfessabili, di leve giustificative che autorizzano l’autoritarismo emergenziale, e di una opacità di fondo che rende i poteri coinvolti sostanzialmente irrefutabili (e impuniti).
Qui possiamo trovare un intero spettro di possibili abusi sulla pelle di popolazioni ignare. È legittimo sospettare la diffusione artificiale di patogeni al solo scopo di creare un mercato per le cure (interessi privati). È legittimo sospettare l’utilizzo mirato di patogeni per destabilizzare aree strategiche (interessi di politica internazionale). È legittimo sospettare l’utilizzo di dichiarazioni d’emergenza sanitaria per introdurre controlli e restrizioni di varia natura, o per autorizzare voci di spesa straordinarie (interessi di politica interna). E molto altro ancora.
Ma ecco giungere le voci di quelli cui, a fronte di simili riflessioni, scatta la molla dell’accusa di “complottismo”: “Siete brutte persone, che dimostrano la bassezza del proprio animo indulgendo in teorie del complotto.”
Questi soggetti inclini a non vedere mai complotti e sempre complottisti, sembrano vivere una curiosa compartimentazione mentale, una “sindrome di Pollyanna” dalle ricadute purtroppo tragiche per la vita pubblica.
Se direttamente interrogati tutti questi soggetti non hanno alcuna difficoltà a concedere l’abiezione morale del mondo odierno, il prevalere di interessi politici ed economici inconfessabili, il cinismo prevalente nelle classi dirigenti, ecc. Questi guardano “Wall Street” mangiando i pop corn e “approvano la denuncia sociale”.
Solo che quando si ritrovano a giudicare situazioni nel mondo reale, dove:
a) esiste la capacità tecnica e pratica di fare X (una brutta cosa);
b) esiste un forte interesse (economico e/o politico) a fare X;
qui di colpo, la POSSIBILITÀ che X venga fatto diviene immediatamente un’inammissibile concessione alle teorie del complotto.
E così chi sospetta il male diviene lui stesso, ai loro occhi, il male. Perché li distoglie dalla propria bolla letargica faticosamente cucita.