Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La guerra senza quartiere di Netanyahu allo “Stato profondo” israeliano

La guerra senza quartiere di Netanyahu allo “Stato profondo” israeliano

di Giacomo Gabellini - 30/03/2025

La guerra senza quartiere di Netanyahu allo “Stato profondo” israeliano

Fonte: Strategic Culture

All’inizio di marzo, in occasione della cerimonia di insediamento del generale Eyal Zamir come Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele «rimane determinato a conseguire la vittoria nella guerra su più fronti» scatenata all’indomani dei fatti del 7 ottobre 2023. Poche settimane dopo, Israele riprendeva le operazioni militari nella Striscia di Gaza e nel Libano meridionale, senza averle mai interrotte in Cisgiordania e in Siria. Il tutto mentre gli Stati Uniti lanciavano, sotto l’egida dell’amministrazione Trump, una campagna di pesanti bombardamenti sullo Yemen con l’obiettivo di porre fine alla campagna di pirateria portata avanti dagli Houthi nelle acque del Mar Rosso. Lo stesso presidente ha aggiunto che qualsiasi attacco che il gruppo yemenita dovesse sferrare d’ora in poi contro interessi statunitensi verrebbe ricondotto immediatamente – e parimenti arbitrariamente – all’Iran, a cui la Casa Bianca ha già intimato minacciosamente ma senza successo di assumere un atteggiamento costruttivo riguardo alla questione nucleare.

Il clima bellico restaurato ad hoc ha calato sul Paese una cortina fumogena funzionale a occultare le manovre che il governo sta predisponendo per consolidare la posizione di Netanyahu. Ai tre distinti casi giudiziari risalenti ormai al 2019 che vedono quest’ultimo imputato di frode, violazione della fiducia e accettazione di tangenti, stanno andando a sovrapporsi le conseguenze politiche dello stallo sul versante militare e, soprattutto, dell’indagine che lo Shin Bet sta portando avanti per ricostruire le dinamiche che hanno portato all’Operazione al-Aqsa Flood.

Seguendo la pista del denaro, il servizio di sicurezza interno diretto da Ronen Bar è risalito a una serie di pagamenti inviati dal Qatar verso alcuni membri dell’ufficio del primo ministro, tra cui Eli Feldstein, Jonatan Urich e Yisrael Einhorn. Alcuni dei principali collaboratori di Netanyahu avrebbero in altri termini ricevuto per tramite di diverse società internazionali cospicui fondi con il mandato di fornire alla stampa israeliana notizie utili a delineare un’immagine positiva dell’emirato, parallelamente impegnato da anni in una campagna di finanziamento di Hamas intermediata dal sistema bancario israeliano. Il tutto con il placet di Netanyahu stesso, che già nel 2019 richiamava l’attenzione dei suoi colleghi di partito sulla necessità di sfruttare Hamas sia in un’ottica di divisione del fronte nemico, sia come pretesto per sabotare qualsiasi prospettiva di creazione di uno Stato palestinese.

Il denaro qatariota, documenta un rapporto dello Shin Bet risalente al 4 marzo, si è rivelato tuttavia utilissimo anche a irrobustire militarmente Hamas, apportando un contributo alla riuscita dell’Operazione al-Aqsa Flood paragonabile a quello derivante dall’inadeguata – al punto da risultare sospetta – gestione della sicurezza da parte degli apparati israeliani. Nello specifico, il Qatar avrebbe riversato nella Striscia di Gaza circa 1,5 miliardi di dollari tra il 2012 e il 2021, erogati sotto forma di assistenza per garantire la sussistenza della popolazione, il pagamento dei salari dei dipendenti pubblici e la manutenzione delle infrastrutture. Tra il 2018 e il 2023, i trasferimenti di denaro sarebbero stati espletati attraverso valigie diplomatiche piene di contanti, per un ammontare di circa 30 milioni di dollari al mese.

Il lavoro svolto dallo Shin Bet inchioda quindi il governo alle sue enormi responsabilità rispetto ai fatti del 7 ottobre, nell’ambito di un’indagine di cui Ronen Bar in persona ha rivendicato la paternità e sottolineato la rilevanza. In una lettera recapitata ai ministri del governo lo scorso 20 marzo, Bar ha sottolineato che gli sforzi investigativi profusi sotto la sua supervisione sottendono a «una responsabilità pubblica di altissimo livello», e richiamato l’attenzione generale sulle ricadute fortemente negative che il sabotaggio dell’inchiesta produrrebbe sulla sicurezza nazionale, con il Paese in guerra e alle prese con la delicatissima questione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.

Nei mesi precedenti, lo stesso Bar aveva posto ripetutamente l’accento sulle pericolose implicazioni per la deterrenza israeliana del processo di polarizzazione domestica incentivato dalle iniziative del governo, quali la riforma giudiziaria e il trattamento di favore riservato agli Haredim.

Non stupisce pertanto che Bar sia finito nel mirino di Netanyahu, che ne ha disposto la rimozione dai vertici dello Shin Bet sulla base di una supposta «perdita di fiducia nei suoi confronti». Una motivazione debole, in grado di convincere ben pochi israeliani sia a livello di popolazione che di classe dirigente. Lo si evince dalle imponenti e partecipatissime manifestazioni di piazza organizzate per stigmatizzare il licenziamento, che secondo l’ex generale ed esponente di spicco dell’opposizione Benny Gantz rappresenta «un colpo diretto alla sicurezza dello Stato e all’unità della società israeliana, sferrato per motivi politici e personali». Valutazioni dello stesso tenore sono state formulate dal massimo rappresentante di Yisrael Beytenu Avigdor Lieberman: «se Netanyahu – ha tuonato Lieberman – avesse combattuto Hamas con la stessa determinazione con cui sta affrontando il direttore dello Shin Bet, la procura generale e il sistema giudiziario, le stragi del 7 ottobre sarebbero state evitate».

Anche la l’Alta Corte israeliana si è pronunciata sul punto, imponendo il divieto di «intraprendere qualsiasi azione che mina lo status del leader dello Shin Bet, Ronen Bar» fintantoché «la base fattuale e legale della decisione non sarà completamente esaminata […]. Il ruolo del capo dello Shin Bet non è una questione di fiducia personale del primo ministro». La delibera reca la firma della procuratrice generale Gali Baharav-Miara, nei confronti della quale il governo ha disposto all’unanimità l’avvio della procedura di impeachment che potrebbe verosimilmente aprire il varco al rilancio del programma di riforma giudiziaria proposto nel 2023 e sospeso per effetto delle pesanti contestazioni popolari.

La rimozione di Ronen Bar e il discredito di Gali Baharav-Miara segnano due colpi vincenti per Netanyahu, che ha simultaneamente consolidato la posizione del governo attraverso il reintegro di Itamar Ben-Gvir, esponente di punta del partito Otzma Yehudit che aveva abbandonato l’esecutivo in segno di protesta nei confronti dell’accordo di cessate il fuoco entrato in vigore il 19 gennaio. In qualità di ministro per la Sicurezza Nazionale, Ben-Gvir ha promosso per tutto il suo mandato un processo di politicizzazione delle forze di polizia denunciato da organizzazioni della società civile quali l’Association for Civil Rights in Israel e rivendicato con orgoglio da Ben-Gvir stesso.

Sebbene sembri volgere decisamente a suo favore, il confronto senza esclusione di colpi ingaggiato da Netanyahu contro componenti chiave dello “Stato profondo” israeliano potrebbe tuttavia riservare qualche pesante contraccolpo per il premier stesso. Lo si evince da quanto dichiarato dall’ex direttore dello Shin Bet Ami Ayalon, che nel corso di un’intervista rilasciata a «Yedioth Ahronoth» ha assicurato che «Ronen Bar conosce più cose in merito alla famiglia di Netanyahu di quante ne sappia lo stesso primo ministro». Ancor più significative sono apparse le dichiarazioni rese da un altro ex direttore del servizio di sicurezza interno, Nadav Argaman. Durante una trasmissione televisiva trasmessa da «Channel 12», Argaman ha dichiarato che «è abbastanza chiaro che ho accumulato una grande quantità di informazioni che posso mettere a frutto […]. Al momento, tuttavia, mi riservo di tenere tutto ciò che è in mia conoscenza tra me e il primo ministro», e al fuori dalla sfera pubblica. Lo stesso ex direttore dello Shin Bet ha però messo in chiaro che, qualora le azioni del premier dovessero configurare serie violazioni di legge o comportare seri rischi per lo Stato d’Israele, «allora non avrò scelta e rivelerò tutto ciò che so e che mi sono astenuto dal rendere di pubblico dominio fino ad ora». Dichiarazioni clamorose, puntualmente impugnate da Netanyahu per denunciare Argaman di ricatto e violazione dei regolamenti dello Shin Bet che proibiscono la divulgazione di informazioni acquisite nell’ambito del carriera professionale. Significativamente, la gestione del caso è stata affidata alle forze di polizia, che agiscono sotto la direzione di Itamar Ben-Gvir.

Segno che il regolamento di conti interno agli apparati di governo israeliani è destinato a protrarsi ancora per molto, così come i conflitti alle frontiere la cui prosecuzione a tempo indeterminato rappresenta la principale ancora di salvezza per il premier Netanyahu.