L'Occidente diviso e i due modelli antropologici
di Aldo Rocco Vitale - 07/02/2025
Fonte: Centro studi Livatino
L’Occidente, quale civiltà del tramonto, è sempre più diviso e dilacerato: una parte contro l’altra; una visione contro un’altra visione; una serie di problemi e soluzioni da un lato, una serie di problemi e soluzioni radicalmente opposte dall’altro lato.
L’Occidente, che ancora molti ci si sforza di identificarte e immaginare come un corpus unicum, è stato coriandolizzato e frantumato nella sua antica unitarietà, spezzandosi in due grandi macro-aree meta-geografiche.
L’Occidente, che perfino per i suoi avversari, come le teocrazie islamiche o il regime cinese, continua a possedere una sua unità, è, invece, a ben guardare, irrimediabilmente scisso in due, al di qua come al di là dell’Atlantico, tanto nel vecchio continente quanto nel nuovo mondo.
La bipartizione che caratterizza l’Occidente odierno è la più profonda e radicale forma di scomposizione dell’unità, tanto non solo da paralizzare l’azione confrontandosi con ciò che Occidente non è, ma anche e soprattutto impedendo il pensiero all’interno dell’Occidente medesimo.
Nella storia dell’Occidente molteplici e forse innumerevoli sono state le occasioni di contrapposizione, anche violenta e perfino sanguinosa, ma mai in modo così estremo da mettere in discussione l’Occidente in quanto tale considerato.
La linea di disgiunzione che ha sostanzialmente divaricato l’originaria uniterietà dell’Occidente passa attraverso la linea di faglia, cioè la linea di profondità, della dimensione antropologica di riferimento.
Il modo di concepire l’essere umano costituisce il cuore del problema e la causa prima e diretta della attuale disgregazione dell’Occidente.
Nel corso del tempo, soprattutto dell’ultimo mezzo secolo, si sono andati imponendo due modelli antropologici che hanno sempre più perimetrato la propria posizione creando una separazione sempre più netta e delineata tra gli aderenti al primo o al secondo.
A dire il vero i due modelli antropologici, nella dinamica evolutiva della loro progressiva affermazione, non sono nati parallelamente, ma uno dopo l’altro e uno in rottura con l’altro, specificamente il secondo in palese discontinuità con il primo.
Il primo modello antropologico, che si potrebbe definire come ‘veritativo’, reputa che vi sia una dimensione costitutiva della realtà precipuamente umana che non può essere modificata o cancellata, neanche dal sopraggiungere delle liquide vicessitudini storiche, sociali, economiche o tecnologiche.
Le conseguenze di un tale approccio sono evidenti: ritenendo che vi sia una verità normativa che disciplina l’esistenza e la natura dell’uomo, non tutto è concesso o possibile. Secondo tale prospettiva, per esempio, la dicotomia sessuata dell’essere umano non può che essere espressione della sua natura biologica, della sua verità corporea, della sua normatività strutturale.
In tale contesto la natura – non soltanto in riferimento alla sessualità – non può essere contraddetta o negata poiché essa rappresenta il principio comune e universale inevitabile che rende plausibile la stessa pensabilità dell’uomo secondo un ordine razionale, cioè secondo l’ordine dell’essere.
Tutte le altre dimensioni (economica, sociale, politica, scientifica, tecnologica, etica, giuridica) non possono prescindere dal riconoscimento di un tale fondamento e non possono allora venirsi a trovare in contrasto con questa determinazione originaria da cui ricevono legittimità concreta la dignità e la libertà dell’essere umano.
Alla luce del primo modello, insomma, la dignità e la libertà dell’essere umano sono inscindibilmente legate alla natura dell’umanità stessa che in quanto tale è indisponibile – e quindi universale – rispetto alle istanze contingenti che si possono venire a determinare nel corso del tempo.
Il secondo modello antropologico, che si potrebbe definire come ‘tecno-egomorfico’, al contrario del primo, ritiene che non vi sia alcuna dimensione costitutiva che caratterizza l’umano e che l’essere umano possa essere il Prometeo di se stesso creandosi e ricreandosi secondo i propri desideri individuali, secondo le esigenze storico-sociali, secondo le possibilità tecno-scientifiche, secondo le molteplici modalità culturalmente esperibili.
Le conseguenze, anche in questo caso, si rendono palesi: se non esiste una verità costitutiva che trova nella normatività dell’essere la sua fondazione, ogni aspetto della realtà umana è modificabile e reificabile, malleabile e disponibile secondo la necessità del momento o la volontà dell’individuo.
In tale prospettiva tutto l’essere umano è modificabile, non soltanto attraverso la ridefinizione del sesso, ma anche attraverso tutte le istanze tecnomorfiche che rappresentano la colonna portante di ciò che oggi è più comunemente definito come pensiero transumanista.
Non esistendo alcuna verità che struttura la realtà umana tutta la realtà viene ridotta ad essere il prodotto delle capacità tecniche e degli impulsi volitivi del singolo soggetto.
Le differenze sono, dunque, inevitabili: se per il primo modello la realtà è disciplinata dall’essere, cioè dalla natura dell’uomo, per il secondo modello è esattamente il contrario, cioè l’essere umano è plasmato dalla realtà fatta a immagine e somiglianza dell’oggettività tecnica e della soggettività desiderante.
Se per il primo modello la libertà acquista un senso soltanto nell’incontro dei limiti posti dalla normatività dell’essere, per il secondo modello la libertà è l’assenza dei limiti, anzi essa si rende tangibile soltanto nel superamento dei limiti eventualmente ed ingiustamente imposti dalla natura.
Se nell’ottica del primo modello l’essere umano integra la propria dignità soltanto nel riconoscimento del suo essere, nell’ottica del secondo modello l’essere umano non ha una dignità in sé e per sé considerata, poiché la dignità viene a coincidere con l’utile, maggiore o minore, che l’essere umano può conseguire dalla sua attività di modificazione della natura e del proprio stesso essere.
Così, diversamente da ciò che comunemente ed erroneamente si pensa, non esistono oggi in Occidente argomenti divisivi, poiché semmai esistono delle divisioni che argomentano la loro stessa sussistenza e visione dell’uomo.
In questo scenario per il primo modello la famiglia, per esempio, è una istituzione naturale immodificabile come unione monogamica tra uomo e donna; per il secondo modello, invece, essa è un mero prodotto storico e sociale e ci saranno tanti tipi di famiglie quante esigenze di utilità soggettiva sarà necessario raggiungere e soddisfare.
Per il primo modello, la vita dell’essere umano non può che procedere inevitabilmente dal suo concepimento fino alla sua fine naturale, mentre per il secondo modello l’uomo proprio attraverso la tecnologia può decidere ogni aspetto della vita: se e quando farla nascere, come farla venire alla luce, e, ovviamente, se e quando porvi termine, il tutto secondo l’assoluto arbitrio individuale.
Anche in riferimento ai rapporti tra Stato e cittadino si ripercuotono le differenze dei due modelli considerati.
Nella prospettiva del primo modello lo Stato deve essere preordinato al perseguimento del bene comune e le leggi, i decreti, le sentenze che nel suo ordinamento vengono emesse ed approvate non possono opporsi alla normatività dell’essere e della natura umana senza rischiare di trovarsi in contraddizione con la propria stessa ragion d’essere; nella prospettiva del secondo modello, invece, lo Stato è soltanto lo strumento ulteriore e superiore del potere individuale, nella misura in cui lo Stato deve essere posto al servizio del soddisfacimento dei desideri e delle volontà individuali, anche di quelle che eventualmente dovessero venire a trovarsi in frontale contrasto con le determinazioni della natura.
Con sufficiente certezza, dunque, seppur alla fine di questa sintetica ricognizione, appare chiaro come la cultura occidentale sia oramai irrimediabilmente biforcata secondo i due predetti modeli antropologici che risultano tra loro totalmente e irrimediabilmente incompatibili.
In tale frangente ogni tentativo di volerne ricercare la compatibilità o i punti d’unione non è soltanto irreale, ma anche vano e contrario alla logica che presiede, pur ciascuno nella sua particolarità, i due predetti modelli.
Sebbene, tuttavia, il secondo modello appaia essere più forte, in quanto decisamente più diffuso e maggiormente condiviso da parti sempre più consistenti della popolazione e della classe intellettuale, mentre il primo modello sembra rannicchiarsi silenzioso in piccole sacche culturali indipendenti, estranee e contrapposte al pensiero dominante, il secondo è proprio il modello che avrà vita più breve e almeno per tre motivazioni principali.
In primo luogo: senza l’ancoraggio dell’essere, o perfino contro l’essere, l’agire umano si ribalta presto o tardi in un agire contro l’umano, come la storia ha ampiamente dimostrato nel corso del XX secolo, rivelando il principio universale per cui l’umanità, per rimanere se stessa, deve pensarsi inscritta all’interno dei limiti che la natura le ha posto.
In secondo luogo: dal punto di vista sociale e politico il secondo modello, sebbene più seducente, anche perché spesso sostenuto da affascinanti argomentazioni relative alla promessa di una maggiore prosperità – non soltanto materiale – individuale e collettiva, non potrà mantenere le proprie promesse senza contraddirsi, senza svelare, cioè, il suo lato oscuro, ovvero il suo essere vocato a diventare qualcosa di profondamente e radicalmente anti-umano, minando proprio quella stabilità e quel benessere che aveva assicurato di poter garantire come avviene, ed è avvenuto, in ogni contesto in cui l’umanità dell’uomo è stata messa in discussione o direttamente lesa.
In terzo luogo: a differenza del primo modello che si pone come descrittivo, il secondo modello s’impone come imperativo e prescrittivo volendo in ogni modo assicurare all’umanità che soltanto tramite le sue proposte è possibile raggiungere un futuro migliore. Il secondo modello si propone, insomma, come una vera e propria forma di tecno-escatologia che intende convertire l’umanità al divenire illimitato e alla salvezza tramite il costante progresso tecnico.
Questo è il punto di maggior fragilità del secondo modello: tutte le escatologie secolari che nella storia hanno recitato – seppur per lunghi periodi – la propria parte, sono finite schiacciate sotto il peso della propria stessa inconsistenza ideologica.
Prima che ciò accada, tuttavia, dovranno trascorrere sicuramente molti decenni a venire, ed è per questo che l’Occidente farebbe bene a chiedersi cosa fare, non adesso dinnanzi alla lacerazione a cui è sottoposto dal conflitto stridente e insanabile che oggi si registra tra i due modelli antropologici qui sommariamente descritti, ma nel tempo futuro, sempre ammesso che vi sia ancora un margine per rimediare ai danni occorsi nel frattempo, quando tutte le tecno-certezze si saranno sgretolate sotto la pressione della realtà e di quella natura che hanno così ostinatamente negato.