A che punto è la notte?
di Pierluigi Fagan - 22/03/2022
Fonte: Pierluigi Fagan
Un secolo fa, un secondario professore di liceo tedesco dette alle stampe due volumi dall’affascinante titolo “Il Tramonto dell’Occidente”. A noi non interessano le tesi specifiche del tedesco, interessa l’intuizione su quella che a lui sembrava, per varie ragioni, una parabola discendente del sistema occidentale. Ai tempi di Spengler, il sistema occidentale era per lo più l’Europa, inclusa la Gran Bretagna. Oggi il sistema occidentale è invece un sistema binario con un centro anglosassone dominante, fatto di Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda ed una serie di satelliti che sono gli antichi stati-nazione europei.
Il sistema occidentale oggi pesa, più o meno, il 15% della popolazione mondiale. Ma se eliminiamo dalla definizione di Europa data in geografia umana Russia e Bielorussia, scendiamo a 13% dove Europa pesa l’8% e gli anglosassoni il restante 5% per quanto abbiamo mantenuto UK in Europa per non complicarci troppo i calcoli che comunque non cambierebbero di molto. Siamo anche la parte di umanità più anziana del mondo e di parecchio, soprattutto in Europa.
In IR (International Relations) disciplina totalmente monopolizzata dalla cultura statunitense, è da anni in uso un concetto che fa da titolo a molte dissertazioni su problematiche strategiche: the West vs the Rest. Ma se il “West” è il 13% del mondo, si può definire l’altro 87% un “the Rest”? Questa partizione implicita al concetto denota sia una visione piuttosto bizzarra dei valori di peso (in genere, il “resto” è una frazionata rimanenza del calcolo generale, un residuo minore), sia una contrapposizione “vs”. Da dove vengono queste due posture implicite?
Sull’utilizzo di “il resto” per denotare l’87% di un aggregato, si potrebbe pensare ad un occidental-centrismo che non è poi molto strano, è ovvio che -nel mondo- ciascuno faccia perno del compasso su sé stesso. Ma viene anche il dubbio che, oltre la convinzione etnica più diffusa al mondo secondo Levy Strauss ovvero che la propria cultura sia al centro ed implicitamente la migliore del mondo, via sia una nostalgia. Ai primi del secolo scorso, infatti, e come punto finale di una traiettoria iniziata a metà secondo millennio dopo Cristo, che si è sviluppata in possedimenti o egemonie o influenze di praticamente tutti i paesi europei ed anglosassoni sul Mondo, noi occidentali eravamo praticamente ancora un terzo dell’umanità. Non solo, il nostro distacco in termini di potenza militare, economica, culturale, tecnologica sugli altri due terzi era netto ed indiscutibile. Sebbene comunque inelegante dal punto di vista culturale, allora forse si poteva concepire la fondatezza di questo senso di centralità compatta intorno al quale brulicavano le secondarie periferie del mondo. Usare oggi l’espressione “the West vs the Rest”, sembra quindi una nostalgia nel senso di non aver aggiornato il concetto ad una realtà mutata sensibilmente. Da un terzo a più di un settimo i pesi cambiano sensibilmente e non a nostro favore. In più, tutti i nostri primati concreti in termini politici, culturali, tecnologici, militari, economici e finanziari vanno svanendo o si stanno confondendo. Per ogni indicatore prendiate tra i principali, le traiettorie di primato occidentale dal 1950 ad oggi, stanno scendendo con più o meno decisione. Le traiettorie proiettate a trenta anno quindi al 2050, da quelle demografiche a quelle economiche a tutte le altre, promettono di continuare a discendere secondo il coro unanime di ogni analista o di ordine e grado, analisti occidentali ovvio. Il concetto pensato dal capofila culturale occidentale, cioè gli Stati Uniti d’America, il concetto “the West vs the Rest” sembra quindi già improprio nella fotografia odierna se comparata ad un secolo fa quando non c’era il concetto ma il suo sentimento, ma sembra sempre più bizzarro anche in prospettiva 2050, quando diventerà “il 10% vs il 90%”.
Da notare poi che se entriamo dentro il nostro mondo occidentale e lo facciamo 100%, sappiamo che da trenta anni è in atto un processo di gerarchia sociale allungata, sintetizzato nel concetto “1% vs 99%” dove cioè una sparuta minoranza ha assorbito in sé livelli di ricchezza e potere quali non si vedevano dai tempi dei satrapi orientali, ma forse neanche quelli a dire il vero.
Se questo concetto che pone il “West” da una parte ed il “Rest” dall’altra mostra la sua problematicità, il connettivo “vs” cioè “contro” è ancora più problematico. Esso denota che quella nostalgia di cui abbiamo parlato è rancorosa. C’è un effetto assedio, un Fort Alamo, pochi contro molti, c’è una paura che si trasforma in aggressività implicita. In questi giorni, vediamo la società che si definiva “aperta” che si chiude sempre più in sé stessa. Sanziona, minaccia, fa liste di proscrizione, impone il “o di qua o di là” al suo interno ed a tutto il mondo, dopo aver deciso che un pezzo non secondario della cultura europea che va da Kandinsky a Dostoevskij, da Tchaikosvky a Mendeleev a nome di tutti gli scienziati della sua terra e molti altri, non sono più “europei” nel senso profondo del termine. Se appena qualche anno fa qualcuno osava porsi domande sull’utopia del Mondo come Piccolo Villaggio unificato dalla rete degli scambi commerciali e finanziari era ostracizzato come retrogrado del progresso dell’umanità, oggi l’anziano bambino rancoroso abbandona il campetto e si porta via il pallone perché a quel gioco non vince più.
Oggi il Piccolo Villaggio è tornato un mondo allo stato di natura hobbesiana, dove un comico ucraino in politica da tre anni parla, a nome della tribù occidentale al parlamento degli ebrei nazionali cioè israeliani imponendo loro severo il diktat di scegliere nella piana di Armageddon da che parte stare nell’ultima battaglia del Bene contro il Male.
Nel mentre, nel sistema occidentale, l’anziano comandante in capo la nuova crociata occidentale della democrazia “uber alles”, con accanto il senior partner orfano dei fasti dell’impero su cui non tramontava mai il sole, due anglosassoni ovvero discendenti delle antiche tribù dei barbari germanici, ordina, decide, impone i ritmi di una azione di conflitto col mondo che non si sa neanche che fine avrà visto che non parliamo più di economia, Internet, cultura popolare o sistemi politici, ma di bombe atomiche. La cultura europea è nell’attonito silenzio tradita dalla sponda russa ora trasformata in orda mongola violenta-donne ed ammazza-bambini. Vagheggiava pace e pluralità, fine della storia e fratellanza di mercato universale ed ora si trova in un incubo improvviso. Improvviso forse per chi ha continuato per anni e decenni a parlare di mondi immaginari fatti di parole e concetti appesi al nulla, in realtà le traiettorie erano ben chiare per chi si atteneva ad uno dei fondamenti stessi della cultura moderna che piano piano subentrò il Medioevo ovvero: numero, peso e misura. Questa svolta alla quantificazione s’impose proprio perché nel Medioevo c’era una longeva inflazione di chiacchere mentre parole e concetti, talvolta, debbono esser verificati nella sostanza e non solo nella pura forma come diceva uno dei fondatori del pensiero occidentale in quel di Grecia Antica.
Siamo così entrati nella più profonda notte della civiltà occidentale di cui un tedesco intuì a modo suo l’accenno di tramonto a cavallo di due guerre che fecero 85 milioni di morti, il più grande massacro nella storia dell’umanità in soli trentacinque anni. Si pensava fosse quella la notte della nostra civiltà, ma era solo l’inizio del lungo viaggio vero il suo termine lontano. Chissà ora a che punto di quella notte siamo.
… La luna è morta.
Alla finestra illividisce l’alba.
Ah, tu notte!
Perché tanto scompiglio?
Io sto in cilindro.
Non c’è nessuno con me.
Sono solo …
E lo specchio infranto …
(14 novembre 1925, Sergej Esenin -in foto-, L’uomo nero, trad. A. M. Ripellino.)