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Adesso occorre evitare il peggio

di Fabio Falchi - 06/03/2022

Adesso occorre evitare il peggio

Fonte: Fabio Falchi

Ci sono pochi dubbi, almeno per chi scrive, che il nazional-capitalismo russo e il cosiddetto “regime di Putin” non rappresentino un’alternativa valida al capitalismo predatore e alla oligarchia liberal-progressista occidentali, indipendentemente da ogni altra considerazione sulla Russia post-sovietica.
Tuttavia, geopolitica è sì politica ma non è sinonimo di politica. E chiunque conosca la geopolitica sapeva bene che in Ucraina in questi ultimi anni si era formata una piaga purulenta che doveva assolutamente essere sanata, prima che fosse troppo tardi. Certo si tratta di logica di potenza, ma i rapporti tra potenze, piaccia o non piaccia, sono regolati dalla logica di potenza fin dal tempo dei Sumeri.
Difatti la Russia, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e i terribili “anni Novanta” del secolo scorso, è tornata ad essere un attore geopolitico di primaria importanza sulla scacchiera mondiale. Del resto, la Russia, solo per le sue colossali dimensioni e le sue ricchezze minerarie nonché per la sua potenza militare, costituisce una minaccia per l’America, giacché è perlomeno dalla fine della guerra fredda che gli Stati Uniti mirano a realizzare un disegno di egemonia globale. 
In sostanza, oggi la Russia è una potenza anti-egemonica, proprio come la Cina, indipendentemente dalle notevoli differenze tra questi due Paesi, dato che la Cina rappresenta per la potenza egemonica del capitalismo occidentale un pericolo non solo sotto il profilo geopolitico o militare ma pure sotto quello politico-sociale ed economico. All’America, pertanto, sarebbe convenuto aumentare il più possibile la pressione sulla Cina e diminuirla il più possibile sulla Russia.
Ma l’élite del potere statunitense da un lato riteneva che il sistema economico cinese fosse incompatibile con il sistema politico cinese, e che quindi la Cina nel giro di qualche lustro sarebbe stata inglobata nel sistema capitalistico occidentale egemonizzato dagli USA; dall’altro, ha favorito l’espansione ad Est della NATO, al fine di costruire una sorta di “fortezza atlantica” ai confini occidentali della Russia, facendo leva sul nazionalismo e la russofobia dei Paesi dell’Europa orientale.
D’altronde, anche per fare fronte alla sfida contro la Cina era di vitale importanza per l’America rafforzare e consolidare il più possibile la propria egemonia sull’Europa e in particolare sull’Europa occidentale, i cui rapporti economici non solo con la Cina ma pure con la Russia si sono notevolmente (e “pericolosamente”, per gli USA, s’intende) sviluppati a partire dall’inizio di questo millennio. Logico quindi che Washington abbia cercato in ogni modo di “tagliare i ponti” tra la Russia e l’UE e al tempo stesso di destabilizzare la Russia, sia sostenendo delle “quinte colonne” neoliberali nella stessa Russia, sia sfruttando la situazione che si era creata in Ucraina a causa dello scontro sempre più aspro tra ucraini filo-occidentali e “filo-russi”.
D’altro canto, non è un mistero che gli americani (e in specie proprio Biden, Blinken e Nuland) abbiano appoggiato i cosiddetti “moti rivoluzionari” di piazza Maidan (in realtà un colpo di Stato attuato da movimenti neofascisti e nazionalisti) allo scopo di rovesciare con la forza il governo “filo-russo” di Kiev. Inevitabile dunque che gli scontri tra ucraini filo-occidentali e “filo-russi” causassero la “ribellione” della Crimea (annessa poi dalla Russia a seguito di un referendum popolare, non riconosciuto però né dall’UE né dagli USA né da molti altri Paesi), abitata in maggioranza da “filo-russi”, e delle province Donetsk e Lugansk, i cui abitanti sono ormai in buona parte cittadini russi.
Peraltro, in questi anni tutti i tentativi diplomatici per mettere fine agli scontri tra l’esercito ucraino e le milizie del Donbass (ossia delle due repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk) sono falliti, anche e soprattutto per l’ostinato rifiuto del governo di Kiev (ovviamente con il sostegno di Washington) di rispettare gli accordi di Minsk II, che prevedevano che Kiev garantisse una forte autonomia alle due province del Donbass.
Mosca si è quindi decisa a riconoscere le due repubbliche del Donbass (un “passo” che il Cremlino avrebbe potuto compiere già nel 2015 - ossia quando le milizie del Donbass misero in fuga l’esercito di Kiev - ma che non volle compiere per non compromettere i propri rapporti con l’UE) solo allorché si è convinta che l’Ucraina - vuoi per la sua politica persecutoria nei confronti dei “filo-russi” (in Ucraina dopo i “moti rivoluzionari” di piazza Maidan è diventato perfino pericoloso esprimersi in  lingua russa), vuoi soprattutto per la sua richiesta (sostenuta dagli USA) di entrare nella NATO – costituiva una grave e intollerabile minaccia alla sicurezza nazionale della Russia, tanto più che più passava il tempo e più Kiev si rafforzava sotto l’aspetto militare.
Che la Russia prima o poi avrebbe reagito duramente alla continua e sempre più forte pressione della NATO e dell’Ucraina sui suoi confini occidentali, dunque, non solo era prevedibile ma era stato previsto dagli analisti occidentali più seri e obiettivi. Ciò nonostante, l’ideologia neoliberale ha contribuito a diffondere un’immagine del tutto distorta delle relazioni tra la Russia e l’Occidente, di modo che, quando Mosca ha avvertito l’Occidente che la corda si stava per spezzare, l’Occidente ha preferito tirare ancora di più la corda anziché allentarla per evitare che accadesse l’irreparabile.
Tuttavia, Mosca, non limitandosi a riconoscere e difendere le due repubbliche del Donbass - una “mossa” il cui significato politico non poteva sfuggire a nessuno, dato che praticamente era una sorta ultimatum lanciato alla NATO - ma invadendo l’Ucraina ha fatto solo il gioco dell’America (tanto che ormai per l’opinione pubblica occidentale solo Mosca ha la responsabilità di questa guerra). Ma nella “trappola americana” è pure caduta l’UE, che, oltre a scatenare una guerra economica e mediatica contro la Russia (tanto che una vergognosa russofobia si sta ormai diffondendo pure in Europa occidentale, Italia inclusa), è arrivata perfino al punto di sostenere militarmente il governo di Kiev, ossia a compiere un atto ostile nei confronti della Russia, che rischia di precludere definitivamente la possibilità all’UE di mediare tra Kiev e Mosca. 
Invero, si può pure essere d’accordo con chi afferma che questa volta Putin ha fatto male i suoi “calcoli strategici” non solo perché maggiore favore all’élite euro-atlantista e ben difficilmente in Europa ci potrà essere “meno NATO” anziché “più NATO”, ma anche perché l’esercito ucraino si sta rivelando probabilmente un “osso più duro” di quanto il Cremlino avesse immaginato. Del resto, anche se la Russia dovesse insediare a Kiev un governo “filo-russo”, si può prevedere che quest’ultimo dovrebbe fare i conti con la maggioranza degli ucraini, che certamente non nutre “sentimenti amichevoli” nei confronti della Russia. Ma si può davvero credere che Mosca sia disposta a fare marcia indietro? Non si deve dimenticare che l’esercito russo non sta combattendo in Libia o in Siria ma ai confini della Russia, e che quindi il Cremlino non può perdere la guerra contro l’Ucraina senza andare incontro ad un disastro. 
In effetti, sebbene sia inevitabile che si causino gravi danni nelle aree urbane e vi siano numerose vittime civili in un conflitto di questo genere, si può riconoscere che finora l’esercito russo ha proceduto seguendo una “strategia di accerchiamento”, evitando di bombardare in modo indiscriminato le città ucraine (mentre si può supporre che gli americani, se fossero stati al posto dei russi, avrebbero bombardato l’Ucraina per parecchie settimane, prima di lanciare un’offensiva terrestre su “larga scala”). Ma vi è pure il rischio che Mosca alzi il “livello dello scontro” se non riesce a piegare la resistenza dell’esercito ucraino in un arco di tempo relativamente breve, tanto più che ai russi - che comunque detengono l’iniziativa strategica e hanno il controllo (benché non ancora totale) dell’aria – non mancano certamente i mezzi per poterlo fare.
Peraltro, è assurdo fidarsi ciecamente di un governo come quello di Kiev che continua a chiedere che la NATO imponga una “no-fly zone” ossia che intervenga contro la Russia scatenando così una guerra nucleare. D’altronde, in questa situazione basta che si verifichi un grave incidente tra la NATO e la Russia per causare una catastrofe di proporzioni immani. Insomma, nemmeno durante la crisi dei missili di Cuba nel 1962 si è stati così vicini alla terza guerra mondiale, e quindi dovrebbe essere evidente a chiunque abbia un minimo di “ordine mentale” che, giunti a questo punto, solo se prevale il “realismo” si può evitare il peggio (anche per lo stesso popolo ucraino).
In definitiva, se è vero che spiegare i motivi dell’attacco russo all’Ucraina non significa affatto “giustificarlo”, è pur vero che rischiare di “incendiare” l’Europa allo scopo di provocare un “regime change” in Russia, sarebbe una follia geopolitica. Vale a dire che, se ciò che veramente preme al Cremlino è che l’Ucraina sia un Paese “neutrale”, allora si può ancora trattare con Mosca per fermare questa guerra, che anche per la Russia si sta rivelando troppo costosa. Certo non è facile adesso spegnere l’incendio che divampa in Ucraina, ma se la politica è l’arte del possibile sarebbe da irresponsabili non provarci.