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Agamben torna all'attacco (e io, nel mio piccolo, combatto al suo fianco)

di Riccardo Paccosi - 13/07/2020

Agamben torna all'attacco (e io, nel mio piccolo, combatto al suo fianco)

Fonte: Riccardo Paccosi

Quattro giorni fa, per l'editore Quodlibet, è uscito il libro del filosofo Giorgio Agamben "A che punto siamo? – L’epidemia come politica".
Si tratta d'un testo che prende le mosse dai numerosi articoli sull'emergenza pandemica che il filosofo ha scritto fra marzo e maggio del 2020 e che, anche su questa pagina, sono stati condivisi e commentati numerose volte.
Si tratta di articoli che, va ricordato, sono valsi all'autore un notevole linciaggio mediatico capitanato, soprattutto, da opinione pubblica e intellighenzia di sinistra.
Il perché di tanto livore, lo si può comprendere leggendo alcuni passaggi di Agamben, tratti da un'intervista ch'egli ha rilasciato ieri ad Antonio Socci:
Dice Agamben:
"Se i poteri che governano il mondo hanno deciso di cogliere il pretesto di una pandemia - a questo punto non importa se vera o simulata - per trasformare da cima a fondo i paradigmi del loro governo degli uomini e delle cose, ciò significa che quei modelli erano ai loro occhi in progressivo, inesorabile declino e non erano ormai più adeguati alle loro esigenze.
Ed è chiaro da anni che il mercatismo (propagandato dai media in tutte le sue forme: non ultima quella dell'Europa maastrichtiana) ha sempre più in odio le democrazie, le sovranità popolari e gli stati nazionali che rappresentano tanti ostacoli a un suo incontrastato dominio.
La biosicurezza si è dimostrata capace di presentare l'assoluta cessazione di ogni attività politica come la massima forma di partecipazione civica. Si è così potuto assistere al paradosso di organizzazioni di sinistra, tradizionalmente abituate a rivendicare diritti e denunciare violazioni della Costituzione, accettare senza riserve limitazioni della libertà decise con decreti ministeriali privi di ogni legalità e che neanche il fascismo si era mai sognato di poter imporre."
Infine, alla domanda se egli - uomo con una storia di sinistra - si senta in imbarazzo a ritrovarsi, nella critica al lockdown, in compagnia di figure di destra come Trump e Bolsonaro, Agamben risponde:
"Anche in questo caso si può misurare il grado di confusione in cui l'emergenza ha gettato le menti di coloro che dovrebbero restare lucidi, come anche a che punto l'opposizione fra destra e sinistra sia svuotata di ogni contenuto politico reale. Una verità resta tale sia che sia detta a sinistra che se viene enunciata a destra".
Chi, come me sente come urgente e necessario il sostenere pubblicamente e il diffondere le tesi di Agamben, si rende conto che queste ultime implicano innanzitutto un terreno di scontro di tipo ideologico-culturale; ovvero un lavoro di lungo termine, molto difficile, finalizzato a decostruire quella narrazione ideologica dominante secondo cui la politica avrebbe cessato di esistere e tutto ciò che sta avvenendo risponderebbe a logiche meramente tecnico-sanitarie.
Per questo motivo, insieme ad altri attori e musicisti sia italiani che francesi, ho avviato una campagna di tipo poetico-culturale avvalendomi delle forme proprie del mio mestiere di teatrante.
E così, il 4 giugno, io e i miei compagni d'arte abbiamo pubblicato il videoclip "Un Mondo senza Danza", che metteva in forma poetico-musicale le parole di Agamben sulla pandemia.
Tra pochi giorni, il 23 luglio, il medesimo intervento, col medesimo titolo, si attuerà dal vivo attraverso uno spettacolo/recital svolgentesi contemporaneamente in Italia e in Francia.
In una situazione in cui tutta la politica ha, in varia misura, abdicato al proprio ruolo per avallare la superstizione secondo cui tutte le decisioni dei governi risponderebbero a logiche di efficienza tecnica, va da sé che le possibilità di intervento per l'appunto politico risultino oggi enormemente limitate.
Se da una parte il mondo artistico-culturale ha reagito con pedissequità e conformismo all'accettazione senza riserve della società del lockdown, dall'altra ho potuto personalmente constatare che, proprio in ragione della sua scarsità, una visione critica espressa in forma artistica può ottenere oggi molto consenso e interesse a livello popolare.
Ed è per questo, dunque, che intendo proseguire in tale direzione.
Ma per me e per quelli con cui collaboro, essere gli unici lavoratori dell'arte a intraprendere tale scontro non è fonte di compiacimento. Preferiremmo, di gran lunga, essere parte di un insieme più ampio.
Per questo motivo e come in precedenti occasioni, rinnovo l'invito ai miei colleghi a prendere posizione - e dunque a produrre arte - in contrapposizione all'ideologia della dissoluzione sociale che viene propagata ogni giorno da media e politica.