Al capezzale dei media statunitensi
di Fabrizio Casari - 05/08/2022
Fonte: Sinistra in rete
C’era una volta il giornalismo statunitense. Come in tutti i gangli vitali del sistema di circolazione delle idee, la mitizzazione della professione giornalistica era lo sfondo della sua narrazione. Si parlava di stampa libera e realmente potente, un quarto potere che faceva tremare tutti gli altri. Si esaltava la sua scuola d’investigazione giornalistica, (sostanzialmente sintetizzabile in “segui i soldi”) e il suo modello di reporter senza macchia e senza paura Che non si ferma dinnanzi a niente e a nessuno, che non teme vendette e rappresaglie perché il suo unico obiettivo è la Verità, quella con la “V” maiuscola, priva di mediazioni e orfana di contesto.
Per alimentare il mito del giornalismo made in USA decisero di santificare questa immagine. Inventarono persino il Premio Pulitzer, una sorta di Nobel del giornalismo che ogni anno doveva essere assegnato a chi si era distinto nel suo lavoro di scoperta e denuncia dei mali del mondo. Che poi fossero i mali che conveniva agli USA denunciare è un altro aspetto della storia.
La notizia di questi giorni, però, è che solo l’11 per cento della popolazione statunitense, mantiene il suo grado di fiducia in quello che i media pubblicano, l’89 per cento non li ritengono affidabili né veritieri. A dirlo non è un ribelle o un militante del sistema mediatico alternativo, tutt’altro.
Lo dice la Gallup nel suo sondaggio annuale sulla fiducia dei cittadini verso i media. E’ un sondaggio che dal 1973 analizza il livello di fiducia verso la stampa scritta e, dal 1993, verso quella radiofonica e televisiva. Alla Gallup non si possono certo appuntare posizioni anti-sistema, essendo una delle maggiori multinazionali statunitensi nel settore delle inchieste di opinione. Il suo peso nell’orientare e nel decifrare i flussi elettorali negli Stati Uniti è riconosciuto. Dunque la sua inchiesta ha tutte le stimmate della veridicità e della credibilità. Proprio quello di cui sembra non godere più il sistema mediatico.
La caduta verticale della percezione positiva dei media è ovviamente non tanto legata alle singoli firme o trasmissioni, quanto all’inversione netta di ruolo che dalla fine degli anni ’80 il giornalismo occidentale ha intrapreso. Ammesso che sia mai stato quello che raccontava di essere – il cane da guardia del potere – non vi sono dubbi sulla brusca e profonda inversione di rotta che vede oggi l’intero sistema mediatico orientato come un autentico apparato a difesa del pensiero unico. Il quarto potere si è insomma allineato agli altri tre e il bilanciamento, prodotto dei distinti ruoli tra controllore e controllato è diventata un esercizio retorico privo di riscontri reali.
Quello che questa ricerca della Gallup propone è la curva discendente di un sistema mediatico concepito come sostegno militante alla filiera sistemica. Pone allo scoperto la conclamata scarsa credibilità che è figlia di una struttura dell’informazione che vede nei suoi assetti proprietari i grandi gruppi bancari e assicurativi internazionali e che convoca lettori e ascoltatori ad una interpretazione degli eventi politici confezionata su misura degli interessi di chi possiede i media.
Quello che la Gallup non può dire ma che sta chiaramente scritto tra le righe del rapporto, è che il ruolo di cinghia di trasmissione tra istituzioni e cittadini non trova più riscontro. Quella relazione dialettica è stata superata da una funzione a senso unico, cioè quella dei corpi intermedi (come i media) che si fanno cassa di risonanza del verbo dei potenti per il consenso di cui hanno bisogno. E’ chiara a tutti la scarsa affidabilità di un sistema che si poggia su una filiera micidiale, con le banche che possiedono governi e media e i fruitori dell’informazione vengono chiamati a condividere pur non possedendo niente. La libertà di stampa è solo la libertà dei padroni della stampa, che decidono cosa, come e quando far arrivare a terra fatti e commenti. L’obiettivo di ampio spettro è chiaro: convincere i cittadini che la colpa delle loro incertezze e difficoltà economiche sia l’esistenza dei più poveri di loro e non dei più ricchi; gli chiedono di lanciarsi nella guerra contro il socialismo che se vincesse li renderebbe poveri, ma nel mentre gli tolgono case, lavoro, salute, previdenza, istruzione, trasporti. Quello che dice l’inchiesta della Gallup, alla fine, è che questo racconto non più riproponibile.
La partecipazione emotiva delle migliori e (soprattutto) peggiori firme, che mostrano un pathos degno di altre cause nei confronti delle politiche governative e che rinunciano a porre dubbi, domande, a scavare nel non visto, sono uno degli aspetti di questo giornalismo ridotto a propaganda, funzionale alla diffusione dei messaggi politici occidentali e non all’informazione su cosa avviene, sul perché avviene, su quali interessi muove e a chi giova. Viene alla luce una modalità di trasmissione politica delle informazioni che risulta tossica, priva di credibilità ed affidabilità, le due componenti più importanti di una informazione sana.
C’è poi l’altra faccia della medaglia; ancor più aggressiva, raggiunge senza apparente traccia di perplessità le vette criminali della censura. Si pensi ad esempio a Julian Assange, che ha fatto della deontologia giornalistica la sua missione e che per questo ha dovuto affrontare la caccia, il ruolo di rifugiato, i complotti inventati per screditarlo, la vergognosa genuflessione dell’Ecuador alle richiesta USA. O a Edgar Snowden, costretto a riparare in Russia per aver raccontato quello che gli hanno portato, dopo averne verificato credibilità e serietà. E ci sono anche giornalisti meno noti al grande pubblico, come il giornalista saudita Jamal Khashoggi, ucciso nella sua ambasciata, squartato e messo a pezzi in una valigia spedita a Ryad al principe ereditario.
Ma se si vuole prendere un esempio calzante di come il giornalismo investigativo sia sottoposto a persecuzione politica si deve erigere sul podio più alto Gary Webb, il giornalista statunitense del San Francisco Examiner, autore del libro “The Dark Alliance”, dove si denunciò il ruolo della Cia e della Casa Bianca alleate col terrorismo e il narcotraffico, con la complicità e cointeressenza dell’aviazione salvadoregna nel traffico tra armi e droga utile a rifornire di armi ai Contras in Nicaragua. Lo trovarono morto con due colpi di fucile nel petto, ma dissero che si era suicidato. Un miracolo di autolesionismo acrobatico quello di spararsi nel petto e poi riprendere il fucile e spararsi di nuovo.
Su questi delitti atroci, ai quali si possono aggiungere la lista dei giornalisti uccisi dai soldati israeliani nei Territori Occupati, il silenzio è d’oro. Chi dovrebbe – per statuto e per scopo – alzare l’attenzione, è parte integrante del sistema politico che dirige quello mediatico. Come ad esempio Reporter sans frontiéres, organizzazione che apparentemente dovrebbe denunciare gli attacchi agli operatori dell’informazione ma che, come ampiamente confessato dal suo fondatore, Bob Menard, è struttura completamente finanziata e diretta dalla CIA a tutela dei suoi interessi. Un caso esplicito di controllore comprato del controllato, quasi una perifrasi dello schema generale nel quale nuotiamo quotidianamente rischiando di vedere alla distanza e di scambiare squali per barche di salvataggio.
L’inchiesta della Gallup non farà cadere gli intrecci perversi del sistema mediatico ostaggio di quello economico, dei giornalisti che iniziano con spirito indipendente e dopo poco finiscono come portalettere. Non squarcerà il velo sul perché ormai chi scrive, parla e va in TV abbia una militanza accesa nelle file del neoliberismo atlantista. Né proporrà l’insostenibilità di un sistema internazionale che assegna all’Occidente il controllo completo del circuito dei media e che, nello stesso tempo, senza vergogna, definisce la infima minoranza non allineata come “censura”.
Ma se la narrazione del sistema unipolare perde credibilità ed affidabilità tutto il sistema politico-mediatico dell’impero ne risentirà. La Gallup apre quindi uno scenario di portata più vasta. Le file di senza casa alle porte delle città statunitensi ignorate da stampa, radio e tv, ben rappresentano il grado di fiducia nei media e la loro capacità di descrizione del reale. Quello che probabilmente non funziona più nei media è ciò che non funziona più nel sistema politico.