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Alain de Benoist e l'intolleranza dei liberal progressisti

di Antonio Catalano - 22/05/2023

Alain de Benoist e l'intolleranza dei liberal progressisti

Fonte: Antonio Catalano

Ho letto vari libri del filosofo Alain de Benoist e devo riconoscere che i suoi lavori hanno sempre grande spessore, puntano su un tema e non lasciano nulla di intentato.
Ebbi modo di incuriosirmi a de Benoist grazie al grande Costanzo Preve, bistrattato in vita dai soliti detrattori in servizio paga permanente del potere, che ha lasciato un’eredità di cui oggi tutti beneficiamo, compreso lo stesso de Benoist che tempo fa non a caso dedicò il suo “Populismo. La fine della destra e della sinistra” proprio al grande filosofo torinese  da poco scomparso.
De Benoist è sempre stato oggetto da parte dei liberal progressisti in salsa antifascista atlantica (quei Vigilanti del Bene che lui tratteggia in modo insuperabile nel suo “I demoni del bene”) di attacchi violenti, direi paranoici. Vedendo in lui il Fascismo Eterno, il differenzialista, il teorico del superamento della dicotomia Sinistra/Destra… oggi il terribile putiniano sostenitore delle ragioni delle popolazioni del Donbass e contrario al coinvolgimento Usa/Nato nella crisi ucraina.  
Pochi giorni fa lo sciccoso “il Manifesto” – che chissà perché continua a definirsi “quotidiano comunista” – ha sparato veleno contro il filosofo francese. Il nostrano quotidiano bideniano accusa de Benoist di non aver mai nascosto le proprie simpatie per Putin, motivo per cui è contro il coinvolgimento nella guerra Nato. Inaudibile! E per sostenere la posizione che sia indegno di partecipare al Salone del libro di Torino ancora una volta ricorre al vecchio armamentario: de Benoist è anti egualitario, populista ed è cultore delle identità e delle appartenenze. Il gran Sinedrio ha sentenziato!
Solo di sfuggita, sul superamento Sinistra/Destra. Non è stato lui (o Preve) a decretare la fine di questa dicotomia, ma la realtà storica. Con la fine del XX sec. si è del del tutta esaurita la carica differenziale tra questi due schieramenti sorti nell’Ottocento. Li vediamo ormai entrambi osannare il dio Mercato. Con la differenza che la cosiddetta destra si autocertifica schieramento conservatore, la cosiddetta sinistra schieramento progressista. Nella sostanza: la “destra” cerca di tamponare (inefficacemente) sul piano dei valori la disgregazione etico-sociale indotta dal turbo-capitalismo globalista, la “sinistra” invece ne esalta trans umanamente i tratti disarticolanti e disgreganti.
La sinistra di prima era per la difesa dei diritti sociali delle classi lavoratrici e per uno stato governato da un'economia neo keynesiana (socialdemocrazia), ora ha messo da parte qualsiasi accenno ai diritti sociali e usa invece come clava i diritti civili cari alla globalizzazione. Motivo per cui un vecchio comunista dello stampo di Marco Rizzo ha dovuto dichiarare in modo ufficiale di non essere di sinistra, in quanto questa gli fa letteralmente schifo.
Ma torniamo all’attacco sguaiato del “Manifesto” a de Benoist, in particolare al tema della «denuncia del tramonto delle identità e delle appartenenze». Per capirci qualcosa in più mi è stato utile leggere la recente intervista a de Benoist dell’ottimo Francesco Borgonovo. (Il “Manifesto”, insieme a tutti i giornaloni del pensiero dominante, farebbe bene a offrire ai propri lettori occasioni di approfondimento del pensiero altrui, fermo restando divergenze di punti di vista, invece che proporre volgari sequele di feroci contumelie e basta.)
Nell’intervista si parla molto del recente lavoro del filosofo francese “La scomparsa dell’identità”, una riflessione su che cosa sia oggi l’identità. Un tema serio, che non si può irridere o rubricare come fascista (il paradosso di questi negatori delle identità è che denigrano le identità storiche e naturali, ma sostengono quelle “strane”, “liquide”, del tutte inventate da un’ideologia di mercato che mira a cancellare qualsiasi ostacolo alla piena affermazione della sua logica di profitto: industrie dell’utero in affitto/eugenetica, della transizione di genere, dell’eutanasia, della transizione verde…). Secondo il filosofo francese bisogna ripensare l’identità, un’identità minacciata o addirittura persa. De Benoist individua il paradosso (ci siamo!) europeo per cui da una parte si smantellano le identità, le persone non sanno più chi sono, sono affette da una sorta di amnesia, non sanno più a quale civiltà appartengono, a quale nazione; dall’altro poi ci sono delle persone che abbracciano nuove identità, compulsive, immaginarie, ed è qui che si trovano un po’ di deliri della “cancel culture”, della teoria del genere. Trovando assurdo che si arrivi addirittura a negare la differenza tra gli uomini e le donne, la divisione binaria, la più intima della storia dell’umanità.
Questi cancellatori delle identità non tollerano che compito di un filosofo sia riflettere e far riflettere sui grandi temi, costoro pretendono che o si riflette nel modo che hanno deciso loro oppure sei peste e corna e non hai diritto di partecipare a nessun dibattito né tanto meno andare al Salone del libro ("è roba nostra").
Questo libro di Alain de Benoist sull’identità sarà tra i miei prossimi acquisti.