Ambientalismo sistemico versus ambientalismo strumentale
di Andrea Zhok - 21/08/2022
Fonte: Andrea Zhok
La difesa dell’ambiente è una delle questioni più cruciali e più facilmente strumentalizzabili del mondo contemporaneo. Per comprendere il carattere strutturale del problema bisogna partire da una comprensione di base dei meccanismi di fondo della dinamica del capitale, caratterizzato dall’esigenza intrinseca della crescita perenne e della competizione tra agenti economici. Il sistema di produzione capitalista non tollera di rimanere senza crescita a lungo (stato stazionario) e opera secondo un sistema di “feedback positivo”, per cui ad ogni ciclo il prodotto (output) deve accrescere l’investimento (input). Lo stato stazionario per la società e per l’economia decreta il collasso del modello capitalistico.
Questo fatto ha un’implicazione immediata: il modello di sviluppo capitalista è incompatibile con l’esistenza nel tempo su un pianeta finito, con risorse finite. Questa incompatibilità, si noti, non è dovuta solo allo strutturale conflitto tra risorse finite e crescita infinita, ma anche alla tendenza intrinseca allo sviluppo capitalista a svilupparsi in forme asimmetriche, erodendo selettivamente certi luoghi, certi elementi, certi fattori, e creando perciò sempre nuovi squilibri.
Ciò che deve essere fissato bene in mente è che la nostra forma di vita, modellata dal sistema di produzione capitalista e dalla ragione liberale è costitutivamente incompatibile con ciò che rappresenta la precondizione essenziale per la salute organica e ambientale, cioè l’equilibrio. La crescita illimitata (capitale), la liberazione da ogni limite (ragione liberale), e la perenne richiesta di superamento del dato (progressismo) sono altrettante forme di conflitto frontale con gli equilibri organici e ambientali.
Si potrebbe pensare che liberalismo capitalista ed ambientalismo debbano essere nemici giurati, ma non è vero: è con l’ambiente, non con l’ambientalismo il conflitto. L’ambientalismo può diventare facilmente un travestimento strumentale delle esigenze del capitale. Il capitalismo è quella cosa che può venderti magliette con sopra Che Guevara e Fidel Castro – frutto di lavoro minorile thailandese e con ricarico del mille per cento - senza battere ciglio e senza percepire in ciò alcun problema di coerenza. Anzi, presenterà questa totale indifferenza ai mezzi per vendere come “liberalità”.
La stessa identica cosa avviene con tutte le tematiche ambientali, che una volta entrate nel tritacarne liberal-capitalistico diventano facilmente altrettante opportunità di profitto. L’unica cosa che l’approccio liberale non sopporta è la visione d’insieme, sistemica.
Finché può concentrare tutta l’attenzione pubblica selettivamente su un problema solo, su un slogan magico, su una soluzione tecnica miracolosa, è perfettamente in grado di fare di esso – qualunque cosa sia – un’opportunità di profitto. In questo modo mentre si dà mostra di porre rimedio ad un singolo problema, si alimentano danni su innumerevoli altri fronti, che andranno poi curati a loro volta singolarmente, creando nuovi danni. E così, di brillante soluzione in brillante soluzione, si può pervenire ad un degrado sistemico illimitato.
Questo meccanismo lo si può vedere all’opera identico nel caso dell’ambiente come nel caso della salute umana. Sul piano sanitario ciò significherà che i problemi si trattano come singoli chiodi sporgenti su cui calare il martello, porgendo limitata o nulla attenzione all’equilibrio dell’organismo su cui si opera. Un’idea corretta della salute assume che essa sia un equilibrio organico che interventi esterni (terapie) possono aiutare a ripristinare: il focus qui è sull’equilibrio dell’organismo. Invece nella concezione liberalcapitalistica il focus è sul mezzo (che è un prodotto commerciale) che si immagina debba ottenere unilateralmente la salute dell’organismo.
La stessa impostazione la si ritrova nei confronti dell’ambiente, che viene trattato rigorosamente come una sorgente di allarmi o emergenze selettive, da manipolare per favorire questa o quella direzione di consumo. Il caso dell’allarme climatico odierno è un esempio manifesto di questa tendenza, non perché l’allarme sia necessariamente infondato (potrebbe ben essere fondato, e potremmo comunque adottare un principio di precauzione), ma perché viene trattato in modo opportunistico e strumentale.
Tassare il carburante a cittadini che non hanno alternative al mezzo privato per muoversi (come fece Macron in Francia) non è un “sacrificio comune per il clima”, ma un attacco classista travestito di nobili intenzioni, perché colpisce una parte, la più debole, della popolazione, mentre si rifiuta di vedere le mille altre istanze, che colpiscono interessi più organizzati, in cui il medesimo problema dovrebbe essere affrontato (se davvero lo si vuole affrontare).
Similmente, dichiarare che l’energia nucleare – in quanto non contribuisce ai gas serra – d’un tratto è “energia verde” (e può beneficiare per ciò di innumerevoli agevolazioni), è un altro esempio di questo unilateralismo nel trattare il tema ambientale. Si rimuovono dallo sguardo tutti i problemi ambientali ad oggi irrisolti nell’uso del nucleare in modo da valorizzarne il solo aspetto funzionale a quello che i media a gettone dichiarano essere il “problema del giorno”.
In questo approccio la disposizione di fondo è guidata da una cecità volontaria: non si vuole, neanche lontanamente, prendere sul serio l’unica cosa che andrebbe presa mortalmente sul serio, ovvero l’incompatibilità di questo modello socioeconomico con gli equilibri ambientali (invero con ogni naturalità). Una volta che questa opzione sistemica viene esclusa, ci si concentra sempre solo su pseudosoluzioni parziali e strumentali che permettono di continuare il business as usual.
Il liberale assume per definizione che per qualunque problema esista di principio una soluzione di mercato, e che trovarla è solo una questione di incentivi. Quest’ottica lo rende cieco ad ogni problema sistemico, perché il sistema stesso non è discutibile: non c’è ossigeno al di fuori della bolla d’aria liberalcapitalistica. (Anticipo usuali obiezioni dicendo che sistemi di produzione non-capitalistici possono DI PRINCIPIO evitare la trappola della crescita obbligatoria, ma non è NECESSARIO lo facciano: il progressismo sovietico non fu più cortese con l’ambiente del progressismo americano.)
La semplice verità intorno al tema ambientale è che esso si armonizza bene con un atteggiamento “conservatore” e assai male con un atteggiamento “progressista”, ma paradossalmente quest’ultimo è riuscito ad appropriarsene trasformandolo in uno strumento di manipolazione sociale ed economica.
La falsa coscienza del “progressismo” contemporaneo sul piano ambientale è evidente nel classismo che vi domina. Raccontandosi la storia astratta che i problemi ambientali toccano egualmente tutti, poveri e ricchi, il liberalprogressismo si appropria delle istanze ambientaliste ritenendosi portatore di un bene superiore, che perciò gli darebbe titolo anche ad usare mezzi costrittivi sui recalcitranti.
La combinazione tra prevalenza degli interessi commerciali (che orientano il “mercato delle soluzioni ambientali”), e l’usuale arroganza da detentori del “bene superiore” (che caratterizza il progressismo) rende l’appropriazione liberalprogressista del tema ambientale una sfacciata esibizione di classismo.
Si finge di non vedere l’ovvio, ovvero che, se davvero si vuole prendere di petto il tema ambientale la prima cosa da fare è affrontare il problema sistemico della crescita obbligatoria e della competizione tra posizioni economiche asimmetriche. Affrontare questo problema implicherebbe effettivamente un cambiamento che comporta una fase di sacrifici, in quanto le precedenti aspettative non potranno essere appagate (invero non lo sono già per la maggioranza delle persone).
Ma se si entra nell’ottica di modifiche delle forme di vita che comportano sacrifici, è evidente che tali sacrifici DEVONO partire dalla sommità della piramide sociale. È impensabile che mentre le capitalizzazioni di una ristretta élite finanziaria a livello mondiale sono le più elevate della storia, si chieda di stringere la cinghia a persone che fanno fatica a pagare le bollette. E parimenti è impensabile chiedere sacrifici eguali a nazioni che hanno tassi di consumo e benessere bassi e a nazioni che hanno tassi di benessere alto e di consumo iperbolico (USA in testa).
Il tema ambientale è un tema epocale ed importantissimo, ma solo la più sfacciata malafede può fingere di non vedere come esso si intrecci necessariamente con il tema dei rapporti di potere economico.
Non esistono richiami al “sacrificio comune”, finché tu sei chiamato a pagare una tassa ecologica sulla Ferrari e lui sulla benzina per portare i figli a scuola. Non esistono appelli all’”essere tutti nella stessa barca”, finché la tua è uno yacht e la sua un salvagente.
Finché l’ambientalismo non si disferà in modo inequivocabile del suo implicito classismo esso rimarrà un gioco retorico rivolto alla plebe, per consentire a chi è già al vertice di conservare i differenziali di potere.
E l’ambientalismo in salsa liberalprogressista è strutturalmente impedito a compiere questo passo.