Anche il mitico Potere non sa più che pesci pigliare
di Simone Torresani - 14/03/2021
Fonte: Il giornale del Ribelle
"I treni che vanno a Madras" è un racconto di Antonio Tabucchi in cui il significato principale è la chiusura dei cicli e cerchi della vita. Tuttavia viene analizzato anche, a livello inconscio, il tema del viaggio e dell'attesa. Il protagonista è un europeo che deve andare da Bombay a Madras per cercare la risposta a un quesito per lui molto importante e anziché prendere l'aereo, veloce e comodo, decide di viaggiare in ferrovia, un viaggio lungo, lento, scomodo, con imprevisti, della durata di ben due giorni. Qualcuno gli fa notare la stranezza e lui dapprima risponde dicendo che col treno si vede la vera India (frase ripresa da una guida turistica, non farina del suo sacco) e solo poi, dopo una certa introspezione, giunge a darsi una risposta: ha preso il treno e non l'aereo perché ha paura che non otterrà la risposta che desidera e quindi vuole dilatare il viaggio, l'attesa: "cullarmi nell'illusione, anziché bruciare tutto nel breve spazio d' un viaggio aereo".
Bene, veniamo a noi. Da 12 mesi precisi un tarlo mi rodeva nella testa: come è possibile che le popolazioni occidentali in genere e italiana in particolare accettino supinamente queste violenze inaudite alle loro libertà senza reagire e senza, soprattutto, avere o meglio pretendere una prospettiva che dia il senso a tutto. Considerando, inoltre, che sino a inizio 2020 l'edonismo, il viaggio compulsivo, il movimento frenetico erano la norma, l'atteggiamento passivo risulta ancor più incomprensibile. Anche per l'ultimo dei misantropi, in effetti, la risposta che "la gente ha paura" e "si è fatta lavare il cervello" credo non possa reggere più...non è possibile, infatti, che tutti siano "idiotizzati". Una parte sì, ma non tutti.
Una intervista di Mathias Desmet, ricercatore del Dipartimento di Psicoterapia Clinica dell'Università di Gand , unita a sensazioni empiriche che vado sviluppando da tempo e da una attenta osservazione dei fatti e dai dialoghi con diverse persone, danno forse una risposta: per la stragrande maggioranza della popolazione il lockdown di marzo 2020 non fu uno shock ma una liberazione, un sollievo, da una vita, da una routine per molti insostenibile, vuota e insensata. Solo così si spiegano i canti ai balconi, l'atmosfera di festa collettiva, quasi gioiosa, che andava a stridere incredibilmente con le 11 pagine di necrologi de "L' Eco di Bergamo" e con la scena famosa delle bare sui camion militari: ricordiamo che quel giorno e anche quello successivo, dai balconi continuarono i canti, le feste, le danze, come se nulla fosse.
Sono d' accordo nel pensare che il ritorno a una specie di normalità e di liberi tutti nell'estate 2020 ebbe per la maggior parte della popolazione l’effetto di uno shock, anzi il "vero shock" fu il "liberi tutti": più d' uno psicologo e psichiatra denunziò, inascoltato, l'aumento dei livelli di ansia e di stress non da “quarantena" ma da "post-quarantena": per molti le normali incombenze tornarono un peso inaccettabile. Persino membri della mia famiglia, in conversazioni al telefono, mi dissero lo scorso maggio "il peso di tornare alla vita di sempre". Siccome poi Desmet, nel seguito dell'intervista, si focalizza su altre cose, aggiungo io qualche altra riflessione. È successo semplicemente che l'estate, col mare, i ristoranti, i divertimenti, ha un poco alleviato questo peso, mostrando della "normalità" il lato più accattivante e divertente. Poi è arrivato l'autunno, con la seconda ondata, nuovi morti, nuove restrizioni e qui è successo qualcosa: in molti, in tantissimi, hanno capito prima di tutto che l' epidemia non era stata debellata -aumentando quindi la percezione del pericolo e della paura- e che le nuove restrizioni non erano così divertenti come a primavera, perché l'impatto sulla vita quotidiana ed economica diveniva ora devastante e quasi irreversibile, i soldi finivano, si accumulavano bollette e pagamenti, F24 e affitti. In una parola: la ricreazione era finita. Da qui è nato un fenomeno pericolosissimo: da una parte la voglia di un ritorno "forzato" alla normalità, perché senza "normalità" si scivola nella disoccupazione e nell' indigenza, e dall' altro un rifiuto inconscio della normalità stessa, che porta le persone -come il viaggiatore da Bombay a Madras- ad accettare di allungare i tempi "del viaggio", perché la meta finale porterebbe a forti delusioni.
In una parola, siamo arrivati nella psicologia delle folle (usiamo il termine di Gustav Le Bon) a un fenomeno di schizofrenia, ossia alla rottura tra la sfera del pensiero e quella delle emozioni. Se prima la società nel complesso stava male, ora la diagnosi è pesante: disturbo da schizofrenia paranoide.
Se questa teoria fosse veritiera -e in larga parte lo è- ci troveremmo di fronte a qualcosa di mai visto nella Storia: moltitudini di popolazioni che rifiutandosi di ritornare al prima, seppur inconsciamente, hanno comunque sconfessato (sempre inconsciamente, ma tant' è..) la narrazione nella quale erano sino a 12 mesi fa immersi. In pratica, se fosse vero (e in buona parte lo è) significa che la vita per i più non ha senso alcuno: niente scopi, niente obiettivi, mete da raggiungere, niente senso e significato nella quotidianità ridotta a una stanca routine e che tutte le magnifiche sorti e progressive tanto decantate dai "progressi", dalla robotica, informatica, I.A. alla fine non significano nulla. Un vivere meccanico, a vuoto.
Si dirà: hai scoperto l'acqua calda. Sino a un certo punto, perché quelle che erano supposizioni, teorie, ipotesi, scuole di pensiero soggettive ora si stanno trasformando nella realtà oggettiva, nel vero. In pratica: prima pensavamo di avere ragione e ora sappiamo di avere ragione. E non è proprio la stessa cosa.
Concludo con due considerazioni: questa nuova visuale di prospettiva fa cadere del tutto le mie residue e scarse teorie di presunti e a questo punto mitologici complotti del Reset, degli azzeramenti, ecc. ecc. Perché la schizofrenia ha preso piede anche nei "Piani Alti" del Potere: gente che non sa più che pesci pigliare e che si affida, come ancora di salvezza, alla tecnologia. Qui ha ragione Massimo Fini: siamo su un treno che corre all' impazzata e dove il conducente, nel locomotore, non c' è più.
E sarebbe buona norma che almeno tra noi, tra noi oppositori radicali, si iniziasse una buona volta per tutte a buttare alle ortiche le assurde mitologie dettate da fantasmi interiori quali il Reset, l'Agenda 2030 et similia e che si iniziasse, appunto, a concentrarsi sulle cose serie.