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Antivedere le cose: quando le idee anticipano i fatti

di Francesco Lamendola - 20/09/2020

Antivedere le cose: quando le idee anticipano i fatti

Fonte: Accademia nuova Italia

Antivedere: vedere avanti nel tempo, prevedere, presagire (Treccani). Come si spiega che alcune persone vedono, per così dire, gli sviluppi futuri di situazioni attuali che sono ancora appena agli esordi, o addirittura non si sono ancora manifestate, pur essendoci già le condizioni perché si manifestino? Siamo abituati a pensare che il pensare sia una funzione autonoma e originaria delle menti individuali; ma siamo proprio sicuri che sia così?

In natura vi sono dei fenomeni che hanno smentiscono questa interpretazione: nei quali, cioè, la vista si spinge più lontano nello spazio fisico e persino nello spazio-tempo soggettivo. Nel campo dei fenomeni atmosferici, ad esempio, noi sappiamo che, al verificarsi di particolari circostanze locali, è possibile spingere lo sguardo molto più in là di quanto lo permetterebbero le normali leggi della fisica. Di fatto, esiste una precisa letteratura scientifica la quale attesta come, qualche volta, dei testimoni sono riusciti a vedere oggetti che si trovavano a centinaia di chilometri di distanza, e, in alcuni casi, perfino a vedere il disco del Sole dopo che questo era tramontato – o, almeno, dopo che avrebbe dovuto essere tramontato, e quindi non più osservabile da quella posizione. Si tratta di episodi eccezionali, però assolutamente certi, che si spiegano con le leggi della rifrazione ottica allorquando si verificano forti differenze di temperatura fra l’aria degli strati più bassi dell’atmosfera e quella degli strati superiori.

Citiamo dal saggio del climatologo Louis Auberger, membro della prima spedizione meteorologica navigante al mondo e grande studioso delle rotte aeree atlantiche, Atmosfera e meteore (titolo originale: Athmosphère et météores, Parigi, Éditions Fayard, 1964; traduzione di Gildo Dalla Cort, Modena, Edizioni Paoline, 1968, pp. 118-120):

 

Come abbiamo visto parlando del miraggio, la rifrazione può essere talvolta molto differente dal normale. Può avvenire che la temperatura dell’aria vicino al suolo sia relativamente elevata e diminuisca rapidamente con l’altezza: allora l’indice di rifrazione aumenta man mano che si sale. In questo caso, la portata visuale è diminuita.

Ma il più delle volte la temperatura dell’aria vicino al suolo è relativamente bassa e l’indice di rifrazione diminuisce rapidamente allontanandosi dal suolo. Allora la portata visuale è aumentata, e stando a una buona altezza, l’orizzonte appare rialzato: in pianura, la Terra sembra incavata “a catino”, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, poiché la Terra è rotonda “come una palla”.

Come esempio di visibilità lontana si può citare il fatto che rende possibile la visibilità particolareggiata della costa francese, da Calais a Dieppe, dalla costa inglese a circa 120 chilometri. Per lo stesso fenomeno fu possibile scoprire le montagne dell’Alaska, dalla nave “Explorer”, a 610 chilometri di distanza, mentre normalmente non sono più visibili a 280 chilometri. È soprattutto notevole il fatto verificatosi a bordo della nave inglese “Balranald” al largo del Capo, il 10 aprile 1927: in questa circostanza apparve un secondo Sole, rosso, 12 minuti dopo il tramonto teorico e 7 minuti dopo un primo tramonto. In quel preciso momento il bordo inferiore del secondo Sole rosso era ad un grado e mezzo sopra l’orizzonte, corrispondente ad una distanza di visibilità sul mare di circa 1.000 chilometri.

 

Ebbene, ci sembra possibile, anzi ragionevole, ipotizzare una spiegazione del genere anche per ciò che riguarda la dimensione intellettuale. Le singole menti non creano dal nulla le idee, non le “inventano”: le colgono, le afferrano, come una radio ricevente afferra le onde elettromagnetiche provenienti da una fonte esterna, sia essa terrestre o anche, eventualmente, spaziale. Bisognerebbe andarci piano prima di definire “creatori” gli esseri umani, quando si parla di opere del pensiero o di opere artistiche (specialmente queste ultime vengono ad essi attribuite talmente in esclusiva, che sovente si parla appunto di “creazioni artistiche”): perché gli uomini, propriamente parlando, non creano nulla, assolutamente nulla. Uno solo è il Creatore; tutte le creature, uomo compreso, non fanno altro che rimodellare e riorganizzare dei materiali che già esistevano prima di loro, dando loro nuove forme e nuove finalità. E ci spingiamo così in là da affermare che le opere dell’uomo sono tanto più riuscite e tanto più eccellenti, quanto più si ispirano e si uniformano all’intenzione originaria del  Creatore, la quale è intimamente buona e sommamente gratuita, cioè del tutto disinteressata; e, viceversa, tanto più imperfette e malriuscite, quanto più se ne allontanano, sia che ciò avvenga intenzionalmente o no. Poiché la cultura moderna ha di fatto scartato l’ipotesi “Dio”, bisogna pensare che le opere degli uomini non hanno il fine esplicito di contraddire la sua santa Volontà, semmai quello di magnificare e glorificare se stessi, oltre ad assicurar loro il massimo della soddisfazione personale e dell’utilità pratica, specie di tipo economico. In altre parole, quasi tutto ciò che l’uomo moderno opera, lo fa in vista di un profitto: non, si badi, in vista di ottenere ciò che gli occorre per vivere, ma per strappare dei vantaggi che vanno molto, ma molto al di là dei quanti gli è necessario, e che spesso sono tali che non potrebbe goderne effettivamente in tutto il corso della sua vita, se pure lo volesse. Tale ad esempio è la ricchezza spropositata, quasi inimmaginabile di certi banchieri, i quali non riuscirebbero a spenderla neppure se si costruissero decine di ville fatte letteralmente d’oro. Evidentemente ciò che li muove, ed è il caso estremo di una tendenza che è comunque tipica dell’uomo moderno in quanto tale, non è una motivazione di carattere razionale, ma una spinta assolutamente irrazionale che proviene dall’ipertrofia dell’ego. Non conta il risultato in se stesso, ma la smania di accumulare sempre di più, di sentirsi sempre più potenti, sempre più liberi da qualsiasi bisogno: e non si accorgono di essere divenuti schiavi del proprio bisogno compulsivo, nevrotico, e in ultima analisi auto-distruttivo, di avere sempre di più per sentirsi sempre di più. Non di essere, ma di sentirsi (e, naturalmente di apparire, cosa più importante di tutte:) perché la categoria dell’essere è positiva e oggettiva, mentre la febbre che li divora è soggettiva e insaziabile, si sottrae a qualunque controllo e ignora qualsiasi limite: è la febbre di sentirsi ricchi, potenti, felici, ecc. Anche se Paperon de’ Paperoni, alla fine, si riduce, come Mazzarò della novella verghiana La roba, a nutrirsi di pochi bocconi di cibo e a tirare avanti con gli abiti e le scarpe usati e più volte rammendati, per non intaccare neanche di pochi spiccioli il suo favoloso patrimonio, che tutti gli invidiano, ma del quale egli si è autoescluso, condannandosi a non goderne effettivamente.

Dunque, la genesi delle idee. Se esse non vengono create dagli uomini, nel senso specifico della parola, ma solamente utilizzate, allora ne deriva la logica conseguenza che esse non appartengono ad alcuno, che non esiste un vero diritto alla proprietà delle idee, con buona pace di quanti si affrettano a pretendere ed imporre legalmente i diritti d’autore su di esse, domandando risarcimenti finanziari a quanti si permettono di utilizzarle senza pagar loro il copyright. Attenzione: non stiamo facendo l’apologia del comunismo intellettuale; per quanto restiamo convinti che il comunismo una base seria ce l’abbia, e cioè il diritto al libero accesso ai beni essenziali per la vita, prima di tutti l’acqua, che non può e non deve essere privatizzata, perché questo metterebbe popoli interi alla mercé dei soliti speculatori finanziari. Nel caso delle idee, non si tratta di comunismo nel senso marxista della parola, perché sarebbe velleitario e demagogico affermare che tutte le idee sono di tutti gli uomini; quel che sosteniamo, piuttosto, è che tutte le idee appartengono a tutti gli uomini di buona volontà, i quali le sanno recepire, le sanno apprezzare,  le sanno sviluppare e arricchire, le sanno divulgare. In questo senso, e solo in questo senso, sì, siamo comunisti: non possiamo né potremo mai adattarci all’idea che un George Soros, un Bill Gates o un Mark Zuckerberg possano acquistare il copyright da qualche ricercatore indipendente e poi, in condizioni di monopolio, imporlo a loro volta sull’uso e la trasmissione delle idee. Anche se è evidente che le condizioni a ciò necessarie esistono, eccome: in particolare esiste una classe di nerds, piccoli intellettuali ambiziosi e frustrati – in verità, più tecnici informatici che intellettuali - asociali, narcisisti, apolidi, sostanzialmente autistici, che però coltivano illimitati sogni di gloria e di rivalsa sociale, e che non vedono l’ora di poter vendere a qualche multinazionale il risultato dei loro studi e delle loro ricerche, per ricavarne quattro soldi e un briciolo di notorietà. (Per chi non lo sapesse, secondo il dizionario della Hoepli il nerd è un tipo umano, specialmente giovane, poco portato per la mondanità, la socializzazione e lo sport, che trova soddisfazione e riscatto negli studi, specie nell’informatica).

Naturalmente, la domanda che sorge spontanea, di fronte alla teoria su esposta circa l’origine delle idee, è la seguente: se le idee non nascono nelle menti finite, le quali si limitano a captarle; se non sono un loro prodotto, allora chi ne è l’autore? Chi pensa le idee che poi vengono afferrate e pensate dalla mente degli esseri umani? È chiaro che la risposta, non solo per un credente, ma anche per qualsiasi persona razionale, date le premesse, non può essere che una: Dio. Chiunque possieda una sia pur minima infarinatura di metafisica sa che ogni fenomeno, ogni movimento, ogni mutazione dello stato di cose esistente, presuppone una causa; e che, se non si vuol risalire all’infinito, bisogna ammettere che ogni causa ha a sua volta un’altra causa, e così via, fino alla Causa Prima, origine e motore di tutto ciò che esiste, di tutto ciò che si muove, di tutto ciò che muta. Inoltre, chi ha qualche nozione di esoterismo teosofico, sa che verso la fine del XIX secolo venne elaborata e divulgata una teoria, in effetti molto più antica, secondo la quale tutto ciò che esiste, tutto ciò che accade, tutto ciò che viene detto, pensato, sognato, agito, non scompare nel nulla, ma viene per così dire “registrato” in una sorta d’immenso archivio cosmico o memoria cosmica, di natura eterica, denominato con la parola sanscrita Akasha; e che pertanto esiste la possibilità, almeno a livello teorico, che qualche mente abbia la possibilità di accedervi e trovarvi qualsiasi cosa sia esistita, in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo. L’Akasha sarebbe il famoso quinto elemento, o quintessenza, oltre i quattro tradizionali (terra, acqua, aria e fuoco), immateriale e paragonabile a una luce astrale. Nonostante le apparenze, questa teoria esoterica si può interpretare, fino a un certo punto, in senso perfettamente cristiano, come aveva visto il filosofo George Berkeley. Se le menti finite ricevono le idee, queste sono presenti, tutte quante, nella mente infinita di Dio, la quale contempla tutto ciò che esiste, è esistito ed esisterà, non solo nella sfera fisica ma anche nelle dimensioni sottili, eteriche appunto. La mente umana non può affatto contemplare la Mente divina – qui il divario con la teosofia è incolmabile – con un atto della sua volontà, perché la differenza fra creature e Creatore è ontologica e pone una distanza incommensurabile fra loro. Però le menti umane possono ricevere da Dio ciò che Egli mette a loro disposizione, sempre per un fine ottimo; e alcune di esse, ad esempio le anime sante, per uno speciale privilegio, potrebbero antivedere ciò che resta celato alle altre. Ma perché Dio dovrebbe concedere un tale privilegio? La risposta è scontata: per il bene degli uomini stessi…