Attacco all’uomo. Artificiale versus naturale
di Roberto Pecchioli - 03/02/2024
Fonte: EreticaMente
All’uomo normale non piace occuparsi di temi universali. Pensare alla vita e alla morte, al bene e al male, alla pace e alla guerra fa paura. E’ giusto: è già troppo complicato vivere la quotidianità. Perché affannarsi su temi tanto più grandi noi, spesso irrisolvibili e di cui non abbiamo il controllo, rendendosi più amara l’esistenza? Guardarsi intorno diventa sempre più pesante, un ansiogeno esercizio di teratologia, l’ esposizione e lo studio di cose mostruose. Tuttavia, sono argomenti ineludibili; qualcuno deve pur riflettere e – ahimè – prendere atto della realtà, tappa preliminare per tentare di comprendere il mondo, formulare giudizi, lottare per il vero, il bello, il buono, il giusto.
Affrontiamo una Via Crucis con tante, troppe stazioni, nella speranza che prima o poi arrivi la resurrezione. La nostra tesi è che sia in pieno svolgimento una gigantesca guerra contro la creatura umana. Sono attaccati tutti i fondamenti della nostra specie – biologici, antropologici, ontologici – sotto i colpi di un immenso, mostruoso (ancora la teratologia…) apparato di dominio tecnofinanziario (padroni del denaro, padroni delle tecnologie più potenti della storia) . I dominanti possiedono tutti i mezzi, economici, finanziari, industriali, tecnici, culturali, mediatici. Una cupola di poche migliaia di “padroni universali” (Giulietto Chiesa) ha nelle sue mani le sorti dell’umanità, decisa a modificarla, riplasmarla, addirittura trascenderla per ri-creare una nuova specie trans e postumana. Possiede tutti i mezzi, determina tutti i fini. I suoi, che possiamo sintetizzare nel dominio sulla materia umana inerte, indifferenziata, da porre agli ordini dell’apparato tecnologico.
A questo scopo, abolisce verità e realtà: l’artificiale sopravanza il naturale, i fatti sono sostituiti dalla rappresentazione imposta, l’universo dal metaverso. Il potere di questa cupola è diventato smisurato all’alba della quarta rivoluzione industriale, basata sulla potenza delle tecnologie elettroniche. Il mondo, da “analogico” che era, è ora “digitale”. Il primo termine descrive il funzionamento della mente umana, basata sul riconoscimento di somiglianze tra oggetti e situazioni anche molto distanti tra loro. Questo tipo di ragionamento è alla base della creatività, fondamentale per risolvere problemi nuovi e inattesi. Digitale (in inglese digit, cifra) è il modo di attuare tipico dell’informatica e dell’elettronica, che tratta grandezze sotto forma numerica, convertendo i valori in numeri di un conveniente sistema di numerazione, di norma quello binario.
In un contesto tanto complesso, assistiamo ad un profondo, rapidissimo cambio di “paradigma” nel senso indicato dall’epistemologo Thomas Kuhn, ovvero il ribaltamento dell’intera visione del mondo e di tutte le implicazioni che ne derivano. Prima di esaminare i tre fronti della guerra condotta dalla cupola fintech contro l’homo sapiens, è necessario ricordare i fondamenti teorici su cui si sostiene l’ipercapitalismo globalista “assoluto”, cioè sciolto da ogni vincolo o limite: un greve materialismo estraneo a ogni ipotesi trascendente; il culto del progresso storicistico-nichilistico. Un nichilismo annunciato con disperata lucidità da Friedrich Nietzsche insieme con la “trasvalutazione di tutti i valori”.
All’alba del secolo XX fu papa Pio X a cogliere il senso del tempo a venire nell’enciclica E supremi (1903). “Con tutte le forze e con ogni artificio si tende a sopprimere completamente il ricordo e la nozione di Dio”. Incompatibile con ogni forma di spiritualità, ma anche nemico di ogni alternativa etica, politica, economica, valoriale, il potere si nutre di volontà di potenza, dell’odio implacabile per ogni limite, visto come impaccio, regresso. Nulla è sacro, tutto è disponibile, materia da conquistare, occupare, riplasmare, compravendere . Diventa finanche ridicolo il monito di Ezra Pound: il tempio è sacro perché non è in vendita (Cantos, canto XCVI).
Nello spirito del tempo – un tempo senza spirito, un’ era del vuoto (G. Lipovetsky) – non esiste altro tempio che la forma merce, la riduzione di tutto a cosa, prodotto a cui attribuire un codice a barre e apporre un mutevole cartellino del prezzo. Giunge a conclusione il “disincanto del mondo” di cui parlava Max Weber: tutto è calcolato e calcolabile, il passato è la goffa minorità intellettuale di un’umanità bambina, il futuro non esiste se non nella forma predittiva dell’incrocio ed elaborazione di dati e metadati.
In un mondo ridotto a cifra, cosa, massa, riaffiora il messaggio disperato di Pier Paolo Pasolini: io voglio riconoscere le cose e per quanto possibile, voglio rimitizzarle. Quello che ci fanno intraprendere è un viaggio nel deserto, o nella “notte del mondo” annunciata da Martin Heidegger, accolta con ebete letizia dalla contemporaneità “occidentale”, tempio del mercante. L’obiezione più diffusa tra i credenti dei miti postmoderni è la seguente: come può essere totalitario, assoluto, il potere, se predica ogni dì democrazia, inclusione, se anzi la critica più comune è l’eccesso di permissivismo?
Ancora Pasolini: il potere tecnocapitalistico “non si accontenta più di un uomo che consuma, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie di quelle del consumo. “. Esso “ha deciso di essere permissivo perché soltanto una società permissiva può essere una società di consumi”. La sfera dei diritti, peraltro, mentre viene allargata a dismisura nel campo individuale e intimo –, sfuma nella sfera pubblica, in cui il paradigma è quello della sorveglianza, del pensiero unico, della repressione di idee, principi renitenti all’ ordine biopolitico/biocratico neo autoritario.
L’accelerazione impressa dal 2020 (pandemia, identità digitale, compressione della mobilità, sistemi di identificazione e sorveglianza, limitazione dell’agricoltura, cibo artificiale, enfatizzazione eco-climatica, repressione del dissenso, medicalizzazione generalizzata, diffusione dell’ideologia di genere, transumanesimo) fa immaginare che il cambio di paradigma sia nella fase decisiva. La vuota umanità occidentale, irretita dai miti paralleli del mercato e della tecnica, è ridotta allo schema che Diego Fusaro trae dalla mitologia greca. Le divinità postmoderne sono Dioniso, che presiede al caos, all’informe, all’illimitato e alla trasgressione; Proteo, il dio delle ibridazioni, del cambiamento continuo, del superamento di ogni confine e dell’abbattimento di ogni differenza. Infine Narciso, la contemplazione di sé, l’egoismo autocelebrativo degli atomi sradicati che ha nella pratica del selfie il suo rito compulsivo, da condividere sui media sociali nell’attesa del “mi piace”, il pollice alzato degli atomi vaganti connessi al metaverso.
Una guerra all’uomo condotta nella forma della revoca in dubbio della verità, della stessa realtà, dei fondamenti dell’esistenza. Dicevamo che lo scopo è disgregare le basi biologiche, antropologiche e ontologiche dell’uomo. La biologia – screditata, derubricata a variabile dipendente dai costrutti culturali – è aggredita nel rifiuto di riconoscere ciò che è sempre stato chiaro agli uomini di ogni tempo e civiltà. Il biblico “maschio e femmina li creò” è negato in nome dei “generi”, che hanno preso il posto dei (due) sessi. Per la neo cultura transumana i generi sono potenzialmente infiniti, tanti quanti sono gli autoriconoscimenti, anche i più strani, bizzarri e (una volta!) devianti di ogni essere umano, cangianti, provvisori e revocabili. I ruoli, le distinzioni tra il maschile e il femminile non sono che costrutti sociali, come la gravidanza e la maternità.
La tendenza è l’Identico, l’androgino, il trans. La disidentificazione etnica, personale, culturale, sessuale, porta della fluidità esistenziale, conduce a una sorta di denaturazione volta a sottrarre la dimensione biologica ascritta. Senza fondamento biologico, io sono ciò che voglio essere o credo di essere. L’ex ministro dell’Uguaglianza del governo spagnolo, Irene Montero, è arrivata ad affermare che le donne non esistono, poiché donna è chiunque si sente tale. Spetta alla società e alle sue norme prenderne atto. Poiché la Montero è una femminista radicale, non si comprende che senso abbia il femminismo in assenza del soggetto !
Biologico è l’obiettivo della medicalizzazione totale: siamo sani immaginari, da imbottire di farmaci, preparati, sieri genici, la cui funzione autentica (mRNA) è modificare definitivamente il nostro patrimonio genetico. A che fine? Biologica e insieme antropologica è la progressiva sottrazione della procreazione alla sessualità naturale. L’esito sarà l’ectogenesi, ossia la “produzione “ di esseri umani attraverso le macchine, uteri artificiali e seme artificiale. La conseguenza è il tramonto delle figure genitoriali, la trasmissione della vita affidata a chi dispone delle tecnologie e può determinare, come nel Mondo Nuovo di Aldous Huxley, quantità e qualità della postumanità prodotta artificialmente.
Non per caso le tappe intermedie sono la propaganda asfissiante, h.24, della sessualità sterile, dell’omosessualità e della transessualità, fenomeni che dalla biologia transitano nel territorio dell’antropologia e dell’ontologia, aggredendo i fondamenti dell’essere. Di passaggio, l’operazione di riconfigurazione umana ha bisogno di banalizzare l’aborto – elevato a diritto universale – ribattezzato “salute riproduttiva”. Questo sintagma mostra la regressione biologica dell’umano nell’animale. Del resto, l’ideologia dei Signori considera l’homo sapiens niente altro che una massa biochimica manipolabile. L’uomo è animalizzato nello stesso momento in cui al mondo animale vengono riconosciuti diritti analoghi a quelli umani. Assurdo, poiché l’animale non può reclamare diritti né esercitare corrispondenti doveri.
Contemporaneamente, all’uomo è imposta una neolingua scarnificata, limitata – il grugnito unificato attraverso cui deve definire e giudicare gli oggetti e i concetti, il mondo circostante e se stesso in base al nuovo paradigma imposto. Staccato dalla famiglia, allontanato dalla comunità etnica, territoriale e culturale di appartenenza, impermeabile alle istanze dello spirito, sottratto alla sua natura biologica e intima, avviato a una serie di dipendenze, ibridato con la macchina e intanto dipendente dagli apparati artificiali, abbandonato alle pulsioni, impossibilitato a levare il pensiero oltre l’istante, governato con la paura, eterodiretto dalla potenza della tecnostruttura, incerto, soggiogato dall’artificiale, l’atomo umano perde la libertà, non riconosce più la realtà e si allontana dalla verità.
E’ ancora, biologicamente e ontologicamente, homo sapiens, o si è trasformato in una specie diversa? E’ il paradosso della nave di Teseo, la questione fisica e metafisica della persistenza dell’identità originaria di un’entità completamente modificata nel tempo. La creatura-uomo rimane se stessa se tutte le sue componenti sono cambiate e perfino il cervello viene riconfigurato tramite macchine ed artefatti “pensanti”?
La mitologia greca – che seppe porre all’umanità ogni domanda di senso – narra della nave su cui viaggiò Teseo nell’ avventura che lo portò a sfidare e uccidere il Minotauro, il mostro dal corpo di uomo e la testa di toro, uno dei miti fondanti d’Occidente. La nave si era conservata apparentemente uguale, nonostante nel tempo fosse stata sostituita ciascuna delle sue componenti, dalla chiglia ai remi alle vele. Giunse un momento in cui tutte le parti originali erano state sostituite, benché la nave conservasse la sua apparenza iniziale. Era stata completamente rifatta, ma allo stesso tempo era rimasta la stessa. Era ancora la nave di Teseo?
Il vero, il buono, il giusto, il bello, sono ancora l’orizzonte di senso oppure la guerra è stata vinta dagli uomini nemici degli altri uomini? Posto in questi termini, l’attacco all’uomo richiede una risposta innanzitutto spirituale. Per restare – o tornare –umani abbiamo bisogno più che mai di rivolgere lo sguardo verso l’alto, verso ciò che ciò che eccede la materia. E’ la madre di tutte le battaglie, in cui dobbiamo contrapporre l’amore per noi stessi, la creatura con la scintilla divina, al gelido cinismo di oligarchi egolatrici, sociopatici senz’anima. Dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva; è la lezione di Hoelderlin che gli ultimi durissimi anni hanno inverato. Nonostante tutto, cresce faticosamente una nuova consapevolezza, un antagonismo ancora minoritario e confuso, fatto di tanti piccoli fuochi. Segnali di cauta speranza. Homo sum; humani nihil a me alienum puto, sono un uomo; non mi è estraneo nulla che sia umano.