Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Autocombustione: la crisi isterica della democrazia governante

Autocombustione: la crisi isterica della democrazia governante

di Ugo Boghetta - 24/07/2022

Autocombustione: la crisi isterica della democrazia governante

Fonte: Ugo Boghetta

    I film vanno visti dall’inizio se ci si  si vuole capire qualcosa. Isolare singoli fotogrammi o sequenze può far pensare a trame molto diverse. Questo vale per la guerra in Ucraina come per la crisi di governo. Altrimenti si vive di eccezionalismo, complottismo, cerchiobottismo, quando invece le vicende hanno un filo logico di fondo, pur non privo di contraddizioni e salti.
     Draghi era venuto per governare  senza avere intoppi. La maggioranza larga anche a questo doveva servire. Tutti dentro e nessuno contava, tranne Uno. Del resto, il variegato mondo dei partiti aveva dato una pessima prova di sé.
     Quando questo governismo  si è rivelato non possibile, ecco la scelta di trasferirsi al Quirinale in un ruolo monocratico. Ma è stato azzoppato mentre tentava di attraversare la strada. Così ha cominciato a provocare i 5S sulle loro bandiere, alimentato la scissione di “giggino”, chiesto la rimozione di Conte, infilato in un decreto il termovalorizzatore quando ne poteva fare  a meno. In effetti, il M5S, seppur scalcagnato, poneva temi sociali ben più ostici di quelli della Lega.
     La forzatura di domare i recalcitranti si è rivelata un boomerang. Ed ecco allora fare lo sfascia carrozze per togliersi da un ruolo dove non poteva comandare a piacimento. Del resto, a pochi mesi dalle elezioni i partiti sarebbero andati dietro ai loro interessi accentuando le differenze. La situazione non era gestibile con la logica del Governatore. E quindi, per evitare un Draghi bis senza 5S, ha provocato anche Lega e Forza Italia. I quali, peraltro, non vedevano l’ora di sfilarsi per contenere la Meloni.  
     Un altro uomo solo al comando è dunque caduto. Già, perché questa è storia vecchia.  Ad essere l’uomo solo al comando sopra le istituzioni in rapporto con gli “italiani” prima ci hanno provato Berlusconi e Renzi. Fallimento. Non a caso, ci siamo trovati in un situazione di semi-presidenzialismo. Ma anche Grillo ha lo stesso ruolo ed ha fallito.
     Tutto ciò è iscritto nella fondazione della seconda repubblica. Dall’inizio, vale a dire dal referendum sul maggioritario del 1991, si è perseguita la “democrazia governante”, il potenziamento degli esecutivi: decretazione d’urgenza esasperata, limitazione al ruolo dei consigli comunali e regionali. Le assemblee elettive sono state trasformate in “votifici” per semplici prese d’atto. Soprattutto i partiti si sono trasformati in amebe senza ideologie e senza principi. In effetti non sono nemmeno partiti ma liste elettorali eterogenee anche al loro interno. La legislatura uscente ne è l’eclatante dimostrazione: tutti possono allearsi con chiunque.
     Tanto il risultato non cambia. Le elezioni non cambiano. Tutto viene deciso a Bruxelles, negli Usa, dalla Nato, dai Mercati.
     In questo contesto, l’uomo solo al comando è un effetto e una necessità. Per questo la seconda repubblica è nata populista checché ne dicano i centrosinistrati.
     Non c’è la politica dell’alternanza fra schieramenti similari come si vagheggiava e vaneggiava, ma lo scontro mortale fra nemici. Il nemico deve essere asfaltato. I centrosinistrati si sono distinti in questa logica del nemico da abbattere. Berlusconi non era l’avversario da battere ma il nemico della democrazia, il pericolo fascista. Dall'altra c'è l'accusa al PD di essere di sinistra o addirittura comunista!?
     Poco più di un anno fa l’Economist, bibbia liberale, attaccava le culture interne al proprio campo liberista fondamentaliste e dunque illiberali: cancel culture ecc.ecc. e quindi nocive per una democrazia liberale tollerante. E’ bastata la pandemia prima e la guerra poi per far passare tutto il campo liberale, oggi chiamato sinistra, sul versante oltranzista. Le manifestazione pro-Draghi hanno questo carattere e si erano già viste al tempo della crisi della caduta del primo governo Prodi. Il gergo è schiettamente populista: gli Italiani hanno detto, chiesto, perorato.
     Via via si è dunque consumato il divorzio fra liberismo e democrazia aperta alle istanze popolari. La Trilateral con la sua lotta all’eccesso di democrazia che produce eccesso di domanda sociale ha vinto.
     Questo schema tuttavia è in crisi quasi ovunque in occidente. E per questo invidiano quelle che chiamano autocrazie!
     Ma non è la democrazia in quanto tale ad essere in crisi ma quella liberale. È la società  liberal-liberista ad essere in crisi.
     Il liberismo ha spappolato la società, creato incertezza. Le differenze aumentano. Le promesse non sono state mantenute. Le premesse erano sbagliate. Le prospettive quasi non esistono. Devono continuamente inventare rivoluzioni. Ora c’è quella digitale e la transizione ecologica-climatica. L’eterno presente liberista crea reazioni individuali che, di volta in volta, si condensano in questo o quel leader.  Ma la democrazia, anche se formale e seppur scalcagnata, qualche reazione la produce. Alla fine votare si deve. E i conti si fanno a breve. È accaduto con Trump prima e Biden poi, con la Brexit. Macron non sta tanto bene e nemmeno la Germania. Non avendo idee e prospettive all’altezza dei problemi collassano in men che non si dica: pochi anni o poco mesi come per Draghi.
     Il dibattito parlamentare è stato una plastica dimostrazione di tutto ciò. I difensori di Draghi invocano populisticamente un arbitrario volere degli italiani. Gli oppositori non sanno far altro che recitare un elenco di malefatte senza elaborare concetti di fondo. Rimangono anch’essi nel presente.
     E così si va ad elezioni anticipate …. di poco. Meglio così, anche se il quadro non è confortante.
     Il PD non può che fare appello al fatto di aver appoggiato Draghi mentre gli altri hanno prodotto insicurezza. Cerca di riciclarsi da mesi in senso laburista ma ovviamente non ci riesce.
     Il centrodestra apparentemente unito di nuovo è diviso sulla politica internazionale: la guerra in Ucraina. Se vince che pesci piglia!? Ma anche sull’autonomia differenziata ci sono differenze non da poco.
     La galassia nogreenpass dovrebbe unirsi, sarebbe il minimo sindacale, ma difficilmente ci riuscirà. Così scopre che c’è anche di peggio del green pass: il narcisismo dei capi. È un’area che ha idee parziali, alcune balzane e  un’analisi di fondo sbagliata. È un voto tribale che esprime però effettivi disagi seppur indefiniti.
     La sinistra cosiddetta radicale è anch’essa divisa. Fa un discorso laburista ma non riesce ad inquadrarlo con efficacia nella situazione capitalista e nel quadro geopolitico Nato/Unione. È ideologicamente confusa e confusionaria. e una cosa è essere Mélenchon al 25%, altro il  3-4 %. Cambia la sostanza. Si notano solo i difetti. Tanti.
     Rimane ciò che resta del M5S. Già, cosa resterà!? Un movimento che è il vero colpevole dell’andamento di questa legislatura. Non c’è solo “giggino”. Tuttavia è stato l’unico partito a porre questioni sociali dalla posizione di governo anche se in modo a volte bislacco. I 9 punti presentati a Draghi sembrano accennare ad una nuova identità programmatica “laburista”. Identità tuttavia priva di basi ideologiche, di cultura politica di sostanza. Nel breve tuttavia ciò può essere un bene,  alla lunga però i nodi vengono al pettine. Come si è visto!
     Con questa legge elettorale e con il taglio dei parlamentari saranno probabilmente l’unica opposizione significativa e potabile. Nonostante loro. Piaccia o non piaccia.
     Il fatto è che la crisi del modello occidentale, la sempre più vistosa differenziazione e dissolvimento dei  legami sociali e del ruolo dei lavoratori, la questione ecologica (e non solo climatica), la crisi della democrazia partecipata, necessitano l’elaborazione di un’alternativa di sistema post capitalista. La seconda  repubblica già imputridita, a sua volta,  richiede un programma di grande momento storico e ideologico. Altrimenti, prima o poi si cade, nel TINA: non c’è alternativa. Chiunque va al governo grosso modo fa le stesse cose.
     Ciò tuttavia non riguarda le prossime elezioni ma il dopo.