Bankitalia e il grande reset
di Ilaria Bifarini - 02/06/2021
Fonte: Ilaria Bifarini
Un lungo discorso, durato circa un’ora, dettagliato sull’andamento economico registrato durante l’annus horribilis della dichiarata pandemia, ma allo stesso tempo dal carattere programmatico, che ben delinea il disegno per il futuro dell’Italia: è la presentazione della Relazione annuale sul 2020 di Bankitalia tenuta ieri al Senato dal governatore Ignazio Visco.
“Non è possibile un futuro costruito su sussidi e incentivi pubblici“, ha spiegato senza mezzi termini, annunciando l’uscita graduale dai sostegni, che saranno rivolti a chi affronta difficoltà contingenti ma presenta capacità di ripresa e non a quelle imprese prive di prospettive di rimanere sul mercato. Un mercato del futuro che rispecchia le linee guida e di investimento del PNRR, incentrato, come esemplificato dai nuovi ministeri del governo Draghi, su transizione ecologica e digitale.
Quali sono le attività produttive ormai obsolete in questo nuovo contesto e destinate dunque a sparire? Sono le “molte microimprese”, troppe per il governatore e per il piano da realizzare, che presentano scarsa produttività rispetto alle altre più competitive dei Paesi virtuosi, imprese con meno di 10 dipendenti, che in Italia rappresentano quasi il 50% del tessuto produttivo, il doppio che nel resto d’UE.
“La specializzazione in attività tradizionali e la piccola dimensione riducono la domanda di personale specializzato, innescando quel circolo vizioso di bassi salari e modeste opportunità di impiego che scoraggiano investimenti in ricerca e istruzione”
Storico fiore all’occhiello dell’economia nazionale, le PMI nel Belpaese costituiscono un universo variegato, fatto di imprese a conduzione familiare, piccole eccellenze dell’artigianato locale, aziende enogastronomiche, filiere di lavorazione, dislocate tanto nel Nord industriale che nel meridione delle tradizioni culinarie. Offrono lavoro al 78,6% delle persone occupate (dati pre Covid) e costituiscono la quasi totalità delle attività in Italia, con una percentuale superiore al resto d’Europa e seconda tra i Paesi Ocse.
Una peculiarità che non piace ai fautori del neoliberismo, che da tempo hanno dichiarato guerra al “nanismo” imprenditoriale, tacciando la ridotta dimensione come il principale ostacolo alla produttività e all’innovazione della nostra economia.
Analogo discorso viene fatto per il sistema bancario. Il modello della piccola banca tradizionale, secondo Visco, è ormai superato e va rivisto con aggregazioni da attuare nell’immediato per sostenere la redditività: “diversi intermediari per la maggior parte di piccole dimensioni e con un’operatività tradizionale, presentano debolezze strutturali; in taluni casi esse sono dovute a un governo societario non adeguato e alla debolezza dei controlli interni, in altri alla ridotta capacità di accedere ai mercati dei capitali, di innovare e di sfruttare economie di scala e di diversificazione”.
Come per le imprese “anche nella gestione del credito e del risparmio il nuovo equilibrio sarà differente da quello attuale, chi non saprà prepararsi in anticipo al cambiamento e non si adatterà con prontezza sarà destinato a perdere rapidamente terreno”.
La visione del futuro e della nuova normalità è chiara, la stessa espressa già da Draghi, da Monti prima di lui, da tutto il gotha dell’ideologia neoliberista e massimamente rappresentata dal Grande Reset dichiarato a Davos, per la cui realizzazione l’emergenza Covid ha rappresentato un’occasione preziosa e irripetibile.
È la tanto agognata attuazione della Quarta Rivoluzione Industriale, basata su intelligenza artificiale e rete 5G, che necessita un preventivo repulisti del nostro sistema imprenditoriale, ormai considerato anacronistico, a favore di un gigantismo aziendale, fatto per lo più di grandi multinazionali iperdigitalizzate, con una pennellata di green per far spazio alla sostenibilità, termine tanto abusato quanto ambiguo nei contenuti, al pari dell’onnipresente resilienza.
Ovviamente l’intero discorso è stato infarcito di elogi all’operato dell’UE, al rafforzamento dei meccanismi unionali e di cooperazione e all’auspicio della realizzazione prossima di un bilancio comune, nonché di un euro digitale, cui Banca d’Italia sarà impegnata in prima linea.
Non manca una nota positiva, ripresa con entusiasmo da tutte le agenzie in concomitanza con il comunicato dell’OCSE: il Pil tornerà a crescere nel 2021, superando il 4%. Il dato assume valore solo se confrontato al crollo del nostro prodotto interno lordo del 2020, pari all’8,9%, il doppio della perdita del Pil mondiale (4,4%) e ben superiore al resto d’UE (6,3%), cui va aggiunta una caduta di occupazione di quasi 1 milione di lavoratori (945 mila). La performance particolarmente negativa dell’Italia è dovuta alla durata e al rigore delle misure restrittive -siamo stati i primi a chiudere e tra gli ultimi a riaprire- e il peso preponderante del settore turistico, circa il 13% del Pil, fortemente danneggiato dalle misure governative.
Un rimbalzo inevitabile, e anzi piuttosto contenuto possiamo dire, ma per Visco, neanche a dirlo, la presunta ripresa sarebbe da attribuire alla vaccinazione di massa in corso. Peccato che lo stesso Draghi abbia affermato che le mutazioni possono rendere inutili i vaccini.
Il merito di questa esaustiva relazione da parte del titolare di via XX Settembre consiste nell’aver spazzato il campo da ogni equivoco: dopo una fase assistenzialista e paternalista dello Stato, volta a traghettare la popolazione verso la nuova normalità, si passa alla realizzazione operativa del piano del Grande Reset. Con la fine del blocco dei licenziamenti, delle garanzie statali sui prestiti e delle moratorie sui debiti, che hanno consentito a molte aziende di sopravvivere nonostante l’imposizione del divieto di lavorare, e la concessione di sussidi solo alle attività in linea con il modello di sviluppo pianificato, non c’è più spazio per le piccole imprese e per le tradizioni locali. Il futuro è dei giganti e dell’omologazione iperdigitale.