Cambiamento dell'immagine del mondo
di Pierluigi Fagan - 05/03/2023
Fonte: Pierluigi Fagan
Nel suo “Buchi bianchi” appena uscito per Adelphi, Carlo Rovelli riflette, tra le altre cose, sulle dinamiche della conoscenza. Sullo specifico aspetto del cambiamento dell’immagine di mondo, nota che per prima cosa occorre andare ai bordi del nostro sapere. Il sapere è, in analogia, come una sfera al cui centro sappiamo ed alla cui periferia sappiamo meno, fin quando invece che volgerci indietro al ciò che sappiamo, sfidiamo ciò che è oltre, il ciò che non sappiamo.
Nel farlo, non possiamo fare a meno che usare il sapere che abbiamo, ma non completamente. E’ un delicato equilibrio quello che va ricercato. Già nel XII secolo, Bernardo di Chartres usò l’espressione “siamo come nani sulle spalle dei giganti”, a dire che il sapere dei giganti ci eleva un po’ più in alto, dove però neanche i giganti che usiamo per far salire lo sguardo, vedevano. L’equilibrio allora è trovare la giusta miscela tra i saperi che ereditiamo e facciamo nostri e la scommessa, per tentativi ed errori, di produrne di nuovi. Se tenteremo solo di usare pensieri nuovi non sapremo neanche dove andare a prenderli in quanto noi pensiamo riorganizzando continuamente i saperi vecchi. Di contro, se useremo solo i saperi vecchi staremo al centro confortevole del nostro sapere che però non sa di ciò che c’è oltre di sé.
Secondo Rovelli, questo uso parziale del sapere noto per sfidare l’ignoto è il potere dell’analogia, usare concetti collocati in certi contesti e dislocarli in altri contesti. Poiché il significato emerge dalla relazione tra il concetto ed il suo contesto, cambiandogli contesto, dovrebbe produrre nuovi significati. La cosa dovrebbe corrispondere in termini neuronali ad attivare nuove vie ovvero nuovi dendriti ed assoni tra neuroni o gruppi di neuroni. Si tratta cioè di riorganizzare l’architettura mentale.
Molti oggi si impegnano a cercare nuovi concetti, ma sembra che il problema principale di molte immagini di mondo sia nella loro architettonica.
Per operare questa riorganizzazione del mentale, possono aiutare sia il cambiamento del punto di vista, sia dare rilievo a ciò che non tornava precisamente nell’utilizzo del nostro vecchio sapere. Qui però interviene una vera e propria psicologia della conoscenza. Ci sono persone che nel tempo della loro vita si costruiscono una immagine di mondo basata su certi saperi e versioni di questi saperi (teorie), stante un determinato punto di vista. Dopodiché passano tutta la vita al centro del loro dominio cognitivo convinti che nelle immagini di mondo, l’immagine sia più importante di mondo. L’immagine diventa il mondo. Semmai gli si presentassero fatti fuori teoria, stante che certo non vi vanno in cerca, li metterebbero come si mette la polvere sotto il tappeto.
C’è anche una forma attiva che si chiama “Letto di Procuste”. La metafora antico greca, racconta di un tipo che presidia un passo montano. Costruito un letto di pietra, farà passare l’incauto viandante, solo se questo è esattamente dell’altezza del letto. Ai viandanti più piccoli stirerà le membra con corde ed ingranaggi, a quelli più grandi segherà le gambe fino a farli corrispondere alle dimensione del letto. Così alcuni strapazzano i fatti per farli corrispondere alla propria mentalità. L’immagine ovvero il letto ovvero la forma della propria mentalità, è più importante del mondo ovvero il viandante, il secondo deve adeguarsi al primo. La prima dislocazione del punto di vista per aprirsi ad un cambiamento dell’immagine di mondo è tenere ben fondata la convinzione che ogni immagine è sotto-determinata rispetto al mondo che dovrebbe riflettere.
Ci sono notevoli attriti, lacci e lacciuoli e condizionamenti che rallentano o impediscono del tutto il cambiamento di una immagine di mondo.
Per primo, il fatto che noi siamo la nostra immagine di mondo, l’immagine di mondo è l’essenza mentale della nostra identità. Quella comportamentale vi dipende. L’identità è un costrutto che serve a stare nel mondo, difficile metterne a rischio la vigenza in processi di revisione di cui spesso non sentiamo alcuna esigenza. Inoltre, aprirsi al cambiamento dell’immagine di mondo è solo una “apertura”, non è come un abito che cambiamo in breve tempo, è un mettersi in modalità “lavori in corso” e questo comporta stati di incertezza. Se c’è una cosa che le identità odiano è lo stato di incertezza.
Per secondo, noi abbiamo certo una immagine di mondo personale, ma questa è per lo più una declinazione particolare di una immagine di mondo collettiva e condivisa. Può essere l’immagine di mondo media o quella di un determinato gruppo, financo un gruppo esiguo, una setta. Più è piccolo il gruppo che condivide una immagine di mondo più dogmatica si fa la sua strenua difesa, ogni revisore dell’immagine di mondo condivisa è un potenziale secessionista del gruppo, una minaccia di eresia. Aprirsi alla revisione dell’immagine di mondo è andare incontro a rischi di solitudine e distacco dal nostro gruppo sociale.
Pe terzo, va notato che l’immagine di mondo è un costrutto molto complesso, praticamente nessuno ha cognizione precisa di quanto sia vasta e complicata la sua struttura. Anche vi fosse una seria determinazione a metterci le mani accettando prezzi psicologici dell’incertezza e della solitudine, è assai dubbio che un singolo possa farlo in termini di capacità. Inoltre, non essendo un sistema governato da un interruttore che porta dallo stato A a quello B, aprirsi alla revisione è aprirsi ad un più o meno lungo tempo di incertezza e solitudine, nonché frustrazione per gli errori conseguenti vari tentativi. A volte, è la stessa stabilità e funzionalità psichica che entra in gioco.
Per quarto, vi sono meccanismi mentali che sono stati selezionati dalle nostre storie adattive di specie, per difendere l’immagine di mondo vigente, qualunque essa sia, anche nelle forme più scombinate e paradossali. Una volta che si è stabilito che l’immagine è più importante del mondo che dovrebbe riflettere, tutto è possibile. La collezione delle credenze di vari popoli, in vari tempi storici, credenze portanti a comportamenti tra i più bizzarri, dice quanto vi siano meccanismi interni del mentale, atti a difendere la struttura di immagine di mondo vigente ad ogni costo.
Uno di questi meccanismi è la coerenza interna, una sorta di principio di non contraddizione richiesto dalla logica stessa che governa il mentale. Viepiù l’immagine di mondo ha divorziato dal mondo, viepiù si dedica a curare le sue contraddizioni interne in modo puramente formale. Nella teoria della Dissonanza cognitiva di Festinger, la dissonanza si cura in tre modi. Due, ovvero cambiare la porzione di mondo che genera contraddizioni e cambiare il nostro comportamento per superare le contraddizioni presuppongono una forte presenza del mondo in quanto tale. Come terza opzione c’è proprio il cambiare l’immagine di mondo, ma sappiamo che le immagini di mondo, più spesso, sostituiscono al mondo reale un mondo mentale di cui siamo o forse solo pensiamo di essere, il demiurgo. Più spesso, curiamo la dissonanza cognitiva nell’immagine di mondo con negazioni, cecità parziali, letti di Procuste, false analogie ed illusioni, piuttosto che cambiarla, cambiare comportamento o cambiare il mondo.
Il motore delle illusioni è nato quando, nel lungo tempo del nostro adattamento di specie o forse di genere, una raggiunta cognizione ed auto-cognizione ci ha portato in dote l’amaro frutto del sapere che moriremo. L’intera nostra complessione biologica come ogni altra nel vivente, si è evoluta per farci essere. Da questa complessione il nostro genere o specie ha visto evolversi la cognizione, la nostra più importante arma adattiva. Purtroppo però qui emerge la prima contraddizione ovvero sapere che nonostante tutto, prima o poi non saremo più. Da questa prima contraddizione nasce il primo prodotto del motore illusivo: non moriremo mai o del tutto. Da lì in poi il motore illusivo ha prodotto ogni più pazza idea per darci l’impressione che la nostra immagine di mondo non è contradditoria, la cognizione non è dissonante. La sua coerenza interna è più importante della sua attinenza al mondo e spesso è proprio la difesa ostinata di questa coerenza che ci porta a distaccare la nostra mentalità dal mondo per quello che è.
Sulla coerenza interna va notato che l’interno mentale ha il razionale cosciente tanto quanto il non razionale di cui spesso non abbiamo coscienza. La prima coerenza richiesta è tra questi due livelli dove però il livello non razionale ed inconscio detta la metrica, le “emozioni” sono le forme del mentale più antiche che abbiamo, selezionate lungo la linea che dai vertebrati portò ai mammiferi poi da questi alle scimmie ed infine ai vari tipi di ominidi che giunsero, infine, a noi. Questo livello risulta quindi inattingibile ma anche in via puramente teorica, immodificabile. Per risolvere dissonanze cognitive non ci rimane quindi che farcire le immagini di mondo di illusioni e per non rivelarle tali, staccare le immagini di mondo quanto più ci è possibile dal mondo.
Nei periodi di profonda transizione storica, tutto quanto qui brevemente accennato mostra la sua più intensa fenomenologia poiché cambiando il mondo e dovendo invece difendere la vigenza di immagini di mondo che riflettevano in qualche modo il mondo che è passato, l’intero sistema va in ripetuti default.