Cambio di paradigma
di Lorenzo Merlo - 26/03/2020
Fonte: Il giornale del Ribelle
Era lontana la Cina. Arrivavano notizie di qualcosa d’importante. Per fare fronte all’emergenza fermarono la routine della vita nota. Attraverso la tv, prima che spaventoso ed esiziale pareva irreale. Strade vuote, morti, ospedali traboccanti, tutto immobilizzato. L’allarme era mondiale ma tutti stavano a guardare. Era lontana la Cina. Finché non si fece sotto e fu vicina come non avremmo mai detto. Ed eccola qui. Era in casa. In poco il focolaio sviluppò il suo potere. E quanto è vero che loro mangiano tutto, vivono promiscui e con un livello di igiene che aborriamo, è altrettanto vero che per ogni malessere è il terreno che dice la verità. Evidentemente qui da noi c’era molta mota malata dentro i corpi di tante anime alienate. E, a ben guardare, anche dentro il Primo mondo, definitivamente eretto su una fittizia impalcatura, Torre di Babele adeguata ai tempi nostri. Forse quel suo benessere raggiunto e vantato, sebbene costituito da cromature e apparenza, da tecnologia e separazione dal cosmo, ne era responsabile? Ai valori del Nord del mondo, succedanei della verità, nessuno del suo popolo avrebbe mai abdicato. Né avrebbe mai preso in considerazione le proposte di frugalità che da sempre sono disponibili agli uomini. Secondo i loro esperti, sole autorità del vero, e i loro umani armenti al seguito, quelle proposte alternative non hanno valore. Non sono che pauperistiche e ciarlatane, assurde e da denigrare tout court. Comprensibile. Quei competenti non hanno i mezzi per intendere la misura di quelle proposte, ma hanno la saccenza per impiegare i riff scientisti e così ritenersi al riparo da qualunque critica. Mai, in cambio di una tacca di frugalità recederebbero di un punto dal loro scranno di verità scientificamente provata. Il loro benessere, secondo le rime di fascinosi poeti satanici, rima con progresso. Ma il loro ambito è solo un incantesimo. Come limatura di ferro, si allineano al magnete che non vedono, seguono il guinzaglio che non sentono. Dalla motonave individualista, dentro la bolla di suggestioni riempita con miraggi di ricchezza, le tradizioni analogiche, che hanno guidato la misura d’uomo fino a ieri, inutili pesi morti, sono state buttate a mare. Le stelle, il sorgere e tramontare del sole, il sestante e la bussola che avevano guidato le generazioni passate sulle piste del mondo per arrivare a baita erano divenute cianfrusaglie inutili da dimenticare in soffitta. Nessuno sapeva più utilizzare gli astri, le ombre, gli angoli e i gradi per comandare la vita. Ci si affidava ad esperti, eventualmente anche virtuali. Noi, di nostro, ormai analfabeti in tutte le materie della creazione che si studiano con le mani e la sensibilità sottile dell’armonia, che potevamo farci? Così i vecchi non facevano testo se non nel bilancio delle case di cura, i bambini crescevano secondo un’educazione delegata, i giovani erano formati a divenire ubbidienti soldatini di comandanti a loro volta allineati servitori di registi nella penombra. Il virus si era preso il centro del mondo. Che si poteva fare?
Giusto. Che fare? Se lo chiesero in tempi diversi un po’ tutti e ad ogni livello. Come è giusto nei grandi numeri la percentuale maggiore si adeguò senza obiettare alle indicazioni che gli arrivavano dall’alto, benché anche in cabina di pilotaggio non avessero del tutto le idee chiare. Come biasimarli? Si era davanti a una novità, come al tempo delle Brigate Rosse. Nessuno sapeva inizialmente quale interpretazione del fenomeno preferire. Di certo, tutte le linee di risposta a quel che fare? avevano la loro ragione d’essere. L’allarme crebbe e insieme a lui si moltiplicarono morti, ricoverati, perplessità, guariti, proibizioni. Passavano i giorni ma non la nebbia che li copriva, squarciata soltanto dai fari forti dei telegiornali e dei talk show ormai via skype. Si dovettero chiudere le attività, le scuole, le persone. Insieme all’ordine sempre più perentorio, ripetuto, sanzionato di stare reclusi nelle proprie abitazioni, cresceva il senso di incompletezza delle informazioni. Quindi le domande dei perché e le ipotesi delle ragioni. Perché la mortalità a causa del virus protagonista di tutti i teatri della vita e del globo, veniva solo di rado precisata? Perché era sempre preferita quella abnorme causata da malattie preesistenti o di persone per qualche motivo già immunitariamente deboli? Perché un farmaco giapponese, apparentemente risolutore per buona misura se assunto in corrispondenza dei primi sintomi, non era impiegato in Europa? Perché la versione europea dello stesso principio attivo non era considerata parimenti risolutiva come quello giapponese per i giapponesi? […]Perché il ritardo iniziale del governo ad intervenire con drastiche misure di contenimento? A quali pressioni ubbidiva il nostro vertice nonostante il suo dovere di garantire la salute del suo popolo? Perché l’emergenza dichiarata da settimane che indicava di indossare le maschere, non ha fornito le protezioni per tempo? Perché nonostante la virulenza del coronavirus proprio gli operatori medici, la polizia sono in gran numero i meno protetti? Perché se la partita Atalanta-Valencia è considerata epidemiologicamente esplosiva non si ha notizia di come si siano applicati controlli utili a comprendere a quale punto un infetto diviene infettivo? Ma quanti dovevano essere i portatori asintomatici per realizzare tanto contagio? Perché ancora oggi – con le approssimazioni del caso – non viene dichiarato che chiunque può essere infettivo a qualunque stadio della sua stessa infezione ancora asintomatica? Non è l’opposto di quanto finora abbiamo sentito? Ovvero che siamo infettivi dai primi sintomi (tosse, febbre media, ecc.) in là? Perché milioni di tamponi di produzione italiana sono volati in Usa con un volo militare americano? Perché al personale in prima linea non viene praticato il tampone d’ufficio? Ripetutamente?Perché non è chiaro se i tamponi sono disponibili o meno? Perché 30.000 soldati americani per un’esercitazione Nato, sono entrati in suolo europeo senza alcun impegno a rispettare le seppur differenti modalità nazionali del nostro continente?Perché lo studio realizzato e pubblicato proprio dalla Nato, che analizza quali soggetti potrebbero essere interessati ad un’azione pandemica, non è discusso negli schermi di chi ha in mano la comunicazione nel nostro paese? Considerando che proprio gli Usa rispondono positivamente a tutti i filtri di quello studio? Perché l’Europa unita chiamata più che mai ad una reazione d’Unione, non ha saputo esprimere alcuna direzione comune alla gestione dell’emergenza? Perché la Grecia è stata, in passato, lasciata naufragare quando ora si lascia libertà – il costo lo sapremo a suo tempo – pressoché totale al portafoglio del debito dei singoli stati? Ma se ragioni sanitarie hanno permesso le scelte radicali che stiamo vivendo, come mai pari scelte non possono essere imposte per ragioni di salute tout court, che non hanno a che fare col virus ma con noi stessi? Perché un cambio di paradigma non può essere imposto per frenare o eludere le ragioni che ci hanno condotto ad essere un’umanità debole? […] Se non vogliamo perdere le possibilità evolutive che il virus ci ha offerto, possiamo rivolgere, questa volta a noi stessi, molte domande. Saranno di risposta assai più immediata di quelle che siamo abituati a rivolgere ai potenti. Vogliamo ritornare all’esiziale status quo precedente all’incoronazione dell’Europa e del mondo? Vogliamo ancora riportare l’attenzione, l’energia, la passione su quanto è futile?Vogliamo continuare ad alimentare il regime di inquinamento atmosferico? Vogliamo ritornare ad eleggere la cultura del consumismo? Vogliamo ancora insistere sulla via dell’opulenza? Vogliamo ostinarci a credere nella logica del produttivismo? Vogliamo restare ancora prostrati alla tecnologia?? Vogliamo ancora respirare tanfosa aria tossica? Vogliamo ancora cacciare denaro e perdere vita? Vogliamo perseguire una via che ci allontana dalla natura? Vogliamo ancora recuperare un ritmo di vita che si esaurisca sulla esiziale ruota del criceto a soli tre posti: lavora, guadagna, crepa? […]
«Quando l'epidemia finirà, non è da escludere che ci sia chi non vorrà tornare alla sua vita precedente. Chi, potendo, lascerà un posto di lavoro che per anni lo ha soffocato e oppresso. Chi deciderà di abbandonare la famiglia, di dire addio al coniuge o al partner. Di mettere al mondo un figlio o di non volere figli. Di fare coming out. Ci sarà chi comincerà a credere in Dio e chi smetterà di credere in lui. Forse una consapevolezza della brevità e della fragilità della vita spingerà uomini e donne a stabilire un nuovo ordine di priorità. Insistere molto di più nel distinguere il grano dalla pula. Comprendere che il tempo, non il denaro, è la loro risorsa più preziosa.Ci sarà chi, per la prima volta si interrogherà sulle scelte fatte, sulle rinunce, sui compromessi. Sugli amori che non ha osato amare. Sulla vita che non ha osato vivere. Uomini e donne si chiederanno perché sprecano l'esistenza in relazioni che provocano loro amarezza. Ci sarà forse chi, osservando gli effetti distorti della società del benessere, si sentirà nauseato e fulminato dalla banale, ingenua consapevolezza che è terribile che ci sia gente molto ricca e tanta altra molto povera. Che è terribile che in un mondo opulento e sazio non tutti i neonati abbiano le stesse opportunità. E forse anche i mass media, presenti in modo quasi totale nelle nostre vite e nella nostra epoca, si chiederanno con onestà quale ruolo abbiano giocato nella loro vita». David Grossman, scrittore israeliano.
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