Cari trumpiani del “dissenso”, gli europei saranno liberi solo senza la Nato
di Alessio Mannino - 20/02/2025
Fonte: La Fionda
“Nessuno me lo ha chiesto e io non voglio farlo”. Così ha risposto Donald Trump alla domanda se gli Stati Uniti d’America intendano ritirare le loro truppe dall’Europa. E si capisce, che nessuno abbia posto la questione: una smobilitazione delle basi Usa equivarrebbe alla plastica evidenza di un fatto politico enorme che gli europei hanno davanti agli occhi, ma di cui non si sono ancora resi conto. Stiamo parlando niente meno che della possibilità che la Nato finisca tra i ferrivecchi della Storia. Intendiamoci: si tratta di uno scenario molto di là da venire, che è ben poco plausibile che convenga agli stessi americani. Ma che converrebbe eccome a noi europei. Il che tuttavia implicherebbe proprio ciò che manca al Vecchio Continente, o, per essere più precisi, ai suoi Paesi-guida: la volontà di abbandonare la Nato dichiarando finalmente estinto il mutuo di riconoscenza nei confronti degli Stati Uniti, che abbiamo finora avuto l’obbligo di ringraziare per averci liberato dai nazisti (con la partecipazione alla pari, se Mattarella consente, dell’Unione Sovietica).
Secondo gli ultimi dati ufficiali (anno 2021), sono presenti ben 123 basi in Germania e 49 in Italia, senza contare gli insediamenti nel Regno Unito, nel Baltico, nei Balcani e tacendo del ruolo, ambiguo e opportunista, della Turchia. Com’è noto, è sotto il cappello della Nato, braccio militare dell’Alleanza Atlantica costituitasi nel 1949, che dopo l’ultimo conflitto mondiale Washington ha disseminato di caserme lo scacchiere a ovest della “cortina di ferro”, in funzione anti-sovietica. Collassata oltre trent’anni fa l’Urss, sostituita da una Russia che fino allo scoppio del caso ucraino (golpe Maidan 2014) aveva tenuto un atteggiamento collaborativo, sul territorio europeo la Nato è servita sostanzialmente a due scopi: primo, allargare a est la sfera d’influenza occidentale, con la progressiva adesione degli Stati dell’Europa orientale (e, da ultimo, anche settentrionale, vedi Finlandia e Svezia); secondo, mantenere le tradizionali guarnigioni come teste di ponte per i quadranti mediorientale e africano (i parà che da Rammstein e Aviano, per esempio, sono stati spediti per vent’anni nella sciagurata guerra d’occupazione in Afghanistan). Trump, appena rimesso piede alla Casa Bianca, è tornato a reclamare un impegno economico maggiore presso gli alleati europei, chiedendo di aumentare la spesa militare a uno stratosferico 5%. Per lui, infatti, l’atlantismo non ha una valenza storico-culturale: è soltanto, come del resto ogni “controllata” o joint venture della corporation America, un business da sottoporre al calcolo dei profitti e delle perdite.
Quella del 5%, con tutta evidenza, è una boutade al rialzo che serve a preparare il terreno a un più realistico tetto del 2%. Soglia sotto la quale, secondo un’ipotesi formulata l’anno scorso da Keith Kellogg (ora inviato speciale per la Russia e l’Ucraina), chi non si adegua non potrà più avvalersi della clausola prevista dall’articolo 5 del trattato Nato. Cioè, in pratica, dell’ombrello atomico statunitense. Il bello è che questo dovere di protezione è già lettera morta. La difesa dell’Europa, specie dovesse andare in porto l’appeasement con Putin, non è più una priorità, dal punto di vista americano. Di qui a suonare le campane a gloria del “liberatore” Trump, però, ce ne passa. Il disimpegno non prelude, stando alle decifrabili intenzioni del ceo d’America, a un ritiro totale, come difatti ha sottolineato lui stesso. E il fatto che Elon Musk, testa d’ariete della propaganda a stelle e strisce, abbia dichiarato in uno dei suoi tweet che la Nato necessita di “una revisione”, non basta ad accendere le speranze di una sua dismissione. La Nato, insomma, non chiude i battenti. Più prosaicamente, ci costerà di più. È presumibile, ad esempio, che noi italiani dovremo incrementare il finanziamento delle basi che ospitiamo, coperto ora con le nostre tasse al 41%. Insomma, il danno – ovvero il piantonamento statunitense dell’Europa – resta. Si aggiungerà la beffa di dover sborsare di più.
Perché mai, infatti, l’impero Usa, che è pur sempre un impero benché gestito da Trump senza più messianismi “democratici”, dovrebbe rinunciare a uno strumento di controllo e d’influenza diretta su bilanci e strategie militari dei soci di minoranza atlantici? La Nato è anacronistica da decenni, ma resta un mezzo che in certa misura può restare utile al socio di maggioranza. Un uomo d’affari come Trump, una volta incassato il risparmio richiesto e messa in soffitta la relazione privilegiata con l’Europa, non avrebbe ragione di privarsene. Sono gli europei che dovrebbero capire la portata dell’avvenimento e approfittarne, per liberarsi di una Nato che rappresenta l’impedimento numero uno per guadagnare una buona volta in libertà e autodeterminazione. Significativo, invece, che gli esaltati tifosi trumpisti di casa nostra, tutti nessuno escluso, non facciano cenno al tema Nato, concentrando le loro invettive sull’Unione Europea, fonte di ogni male che san Donald ci aiuterebbe a sbaraccare.
Ora, ammesso e non concesso che l’Ue, ossia l’ordoliberista euro, dovesse crollare (eventualità remota ma non impossibile, se in Germania il vento dovesse spirare con decisione a destra), la Nato non sparirà magicamente con essa. Anzi, a quel punto il bilateralismo Stato per Stato su cui Trump sembra indirizzare la sua politica estera potrebbe farci assistere a un rinnovo della dipendenza dal Pentagono. Con un’Italia-portaerei Nato, tanto per dire, sgravata sì dal vincolo esterno di Bruxelles, ma costretta a stringere ancor più quello d’oltreoceano, piatendo condizioni migliori per non accusare il colpo di un aumento delle voci militari che comunque sarebbe, finanziariamente e politicamente, insostenibile. L’Europa costellata di punti neri Nato è una “fondazione americana”, ha scritto Lucio Caracciolo. E tale resterà anche qualora si disunisse di diritto visto che, euro a parte, disunita lo è già di fatto, con le singole nazioni che fanno, a onta dell’ “europeismo”, ciascuna i propri interessi – se e quando li fanno, il che finora non è stato il caso dell’Italia. Ora, ragionando in modo dialetticamente pragmatico, può pure starci che l’auto-ridimensionarsi degli Stati Uniti nella Nato, togliendole centralità, sia una buona notizia. Ma è un ridimensionamento che, scaricato su di noi senza che da noi venga un minimo di reazione, ci verrà in culo. Perché non solo non andrà a toccare lo squilibrio asimmetrico che ci tiene in stato di minorità rispetto all’alleato-padrone, ma addirittura, in un eventuale “liberi tutti” con un’Europa tornata agli Stati-nazione, può rendere quelli meno bellicamente attrezzati ancor più dipendenti e soggiogati al dominio americano.
L’unica alternativa in positivo, almeno in teoria, sarebbe che dal nocciolo duro dell’Europa centro-occidentale, ossia Germania e Francia, venisse rifondata un’Europa di popoli sovrani sul modello svizzero: un’Unione indipendente e forte in quanto armata, nucleare e neutrale. Partendo anzitutto dalla costruzione di un vero esercito europeo, con un apparato difensivo da cui poi verrebbe tutto il corollario di investimenti in tecnologia, cruciale banco di prova nell’era dell’intelligenza artificiale. L’Europa, come soggetto politico unitario, non è mai esistita perché non ha mai avuto carri armati, missili e soldati propri. E non li ha mai avuti perché l’euro, per la Germania potenza egemone, ha funzionato al posto dei carri armati, dei missili e dei soldati. E diversamente non poteva essere proprio perché c’era la Nato, a ostacolare a priori la nascita di un’Europa militare e, quindi, politicamente autonoma. Chi oggi esulta per le picconate di Trump all’Euro-moloch dai piedi d’argilla (ma dalle grinfie tuttora ben affondate nelle pubbliche finanze), dovrebbe avere l’onestà intellettuale di includere anche la Nato in cima alla lista dei mostri da abbattere.
Un’implosione dell’Unione Europea ma con le guarnigioni Usa ancora fra i piedi ci toglierebbe di torno un male per mantenerci schiavi di un altro. Per certi versi, di gran lunga peggiore. Perché in perfetta continuità, con i deliri di onnipotenza in stile Musk, alla sudditanza culturale che subiamo da cent’anni. I totalitari grassoni yankee seguiteranno ad americanizzarci il cervello e perfino il corpo, fin nelle più intime fibre della nostra vita di tutti i giorni. Contro un tale destino manifesto, un esercito operativo, una moneta rinegoziata e una Kulturkampf eurocentrica (perché dover subire in eterno il ciarpame della way of life americana?) sarebbero il programma massimo da contrapporre a quello che era, e resta, il nemico di sempre a lungo termine, e cioè lo zio Sam. Democratico o Repubblicano che sia. I trumpiani italiani, con l’area del dissenso in prima linea, non si accorgono quanto si rivelino psicologicamente subalterni e, di fatto, filo-americani, con quella loro un po’ comica realpolitik da leninisti senza Lenin. O da trumpiani senza Trump.