Carige: le differenze
di Alessio Mannino - 09/01/2019
Fonte: Alessio Mannino
Se il governo Lega-M5S, con il decreto salva-Carige da tempo preparato e approvato in appena 8 minuti lunedì sera, avesse agito esattamente come il governo Gentiloni, il Pd (vedi alla voce Bisato, segretario veneto dei Dem) avrebbe totalmente ragione nell’applaudirlo sarcasticamente. Ma non é andata esattamente come quella volta, benché il copia-incolla del testo possa indurre a pensarlo. Nel dicembre 2016 infatti il Partito Democratico a Palazzo Chigi varò un provvedimento d’urgenza per Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Montepaschi da 20 miliardi che lasciava in braghe di tela azionisti e obbligazionisti, mentre nella Carige commissariata dalla Bce – ma non fallita – non esistono obbligazioni subordinate (se non un bond da 320 milioni sottoscritto dal Fondo interbancario, cioè dalle altre banche). I gialloverdi hanno stanziato 1,3 miliardi di euro fino a nominali 3 miliardi come garanzia al 30 giugno di una ricapitalizzazione che sperano avverrà grazie al mercato, altrimenti le ipotesi sono due: o lo Stato entra direttamente nel capitale, o si va a risoluzione, cioè si avvia il fallimento dell’istituto governato dai Malacalza (che si sono giusto in tempo sfilati dall’ultimo abortito aumento di capitale da 400 milioni).
Ora, se gli esperti ritengono improbabile che Carige possa salvarsi grazie a nuovi sottoscrittori, lo scenario più probabile diventa quello della nazionalizzazione. Tradotto: paga il famosissimo signor Pantalone, cioè noi tutti cittadini contribuenti. E qui sta il rischio politico per i consoli Di Maio e Salvini e il primus non inter pares Conte (il cui conflitto d’interesse è bagatellare, se confrontato con quello della Boschi su Etruria): l’accusa di accollare al bilancio statale gli errori, ad esser buoni, dei banchieri genovesi nonché della solita vigilanza che evidentemente non ha vigilato, ossia Banca d’Italia e Consob (di qui il risentito richiamo dei grillini più bellicosi sul fronte anti-banksters, Paragone e Lannutti, perché non un quattrino pubblico venga sborsato senza mettere in chiaro le colpe delle autorità di controllo). In pratica, Carige potrebbe passare, come già passa secondo gli ironici attestati di stima del Pd, come la Mps di grillini e leghisti: un monumento all’incoerenza. Ora, a parte il fatto che nessuna delle due forze a Palazzo Chigi ha responsabilità nella vicenda Carige (a differenza che il Pd che a Siena era il partito di sistema), si deve far presente che la nazionalizzazione è un modello a cui il M5S guarda da sempre come positivo, o in sé non negativo (si legga in proposito la posizione ufficiale dei parlamentari grillini all’indomani del decreto Mps). Semmai è la Lega, a trovarsi in maggior difficoltà nel giustificare al proprio elettorato, specie qui in Veneto, una trasformazione in banca pubblica. Perché qui in Veneto, le due ex popolari sono finite col decreto del giugno 2017 a Intesa, un privato (e non un privato qualsiasi: uno dei due principali gruppi bancari del Paese) al costo di un nichelino oltre a 5 miliardi di euro pubblici, con i risparmiatori azzerati (mentre a Genova, di risparmiatori in piazza a protestare, non se ne vedono).
In realtà, l’obiettivo dei commissari Bce e del governo italiano è quello di far fondere Carige con un’altra banca (si parla di Credite Agricole): questo è il “mercato” a cui fanno affidamento. Di qui l’intervento sulla liquidità e non, per ora, sul capitale. Al di là dell’esito tecnico, è il piano politico a fare la differenza: con le elezioni europee alle porte, i due alleati-rivali di tutto hanno bisogno fuorché di apparire il governo del tradimento, anziché del cambiamento. Stretti nella morsa dei vincoli Ue da una parte e dell’elettorato per ora rabbonito da un altro, accidentatissimo decreto salva-risparmio (solo dopo un tortuoso e a tratti dilettantesco percorso si è riusciti a definire un risarcimento sulla carta soddisfacente), Movimento 5 Stelle e Lega dovranno camminare sui carboni ardenti per evitare, come ha detto un preoccupato Paragone, di assomigliare più ai gilet grigi delle banche che non ai gilet gialli della rivolta francese. E non sarà soltanto questione di comunicazione alias propaganda: dipenderà da quanto gli “anti-sistema” istituzionalizzati vorranno puntare il dito contro il moloch Bankitalia, santuario difeso da tutto l’establishment a cominciare da Mattarella. Ecco perché i grillini chiedono un’altra commissione banche ad hoc. Ma allora perché non decidersi di nominare un nuovo vertice Consob, che rimane desolantemente vacante?