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Caso Nord Stream, tutte le bufale sulla pista russa

di Salvatore Cannavò - 17/08/2024

Caso Nord Stream, tutte le bufale sulla pista russa

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Il gasdotto esploso il 26 settembre 2022 - Propaganda. I polacchi twittavano “grazie America” ma per i media italiani la mano era quella di Mosca

“Esplodono i gasdotti: sabotaggio russo” titolava La Repubblica il 28 settembre del 2022 quando la notizia dell’attentato al Nord Stream 2 era ormai evidente (l’esplosione è del 26 settembre). Il Corriere della Sera aveva invece un titolo più neutro senza indicare subito i responsabili, ma in generale l’informazione italiana puntava il dito verso Mosca. Esemplare il servizio di Porta a Porta, la trasmissione diretta da Bruno Vespa, la sera del 28 settembre: si parlava di “due ipotesi”, la “più probabile” era quella che portava alle responsabilità della Russia con l’obiettivo di rendere inutilizzabili quelle infrastrutture (che Mosca però aveva costruito) e per indebolire l’Europa. L’altra pista, “meno probabile, anzi ‘ridicola’ secondo gli Usa”, vedeva appunto la responsabilità di Washington. Ursula von der Leyen, dopo aver parlato al telefono con le prime ministre di Danimarca e Svezia, certe di un sabotaggio ostile all’Europa, quindi sottintendendo la mano russa, minacciava improbabili dure conseguenze di cui non si è avuta notizia.
Oggi che la magistratura tedesca spicca il primo mandato di arresto per un sub ucraino indicato come il responsabile diretto dell’attentato, dall’incredibile nome Volodymyr Z., certi giudizi e certe reazioni istintive rischiano di sfociare nel ridicolo. L’esplosione del gasdotto, infatti, fu pianificata da un gruppo di alti ufficiali e uomini d’affari ucraini. Dietro il piano c’era l’allora comandante in capo delle forze armate ucraine, il generale Valeri Zaluzhny, ora ambasciatore a Londra, ma, assicura il Wall Street Journal, il presidente ucraino Zelensky benché inizialmente avvertito avrebbe poi negato il consenso. Anche perché sembrerebbe sia stato avvertito dalla Cia e quando abbia detto “no” ormai era troppo tardi. Le ultime ricostruzioni dicono poi che “tutto è nato da una notte di forti sbronze e dalla ferrea determinazione di una manciata di persone che hanno avuto il coraggio di rischiare la vita per il loro Paese”. Affermazioni un po’ minimaliste. Una operazione di così ampia portata, infatti, sarebbe stata effettuata da un commando di “arditi” che hanno agito in proprio per salvare la patria. Si vedrà nel prosieguo dell’indagine che cosa può emergere da una simile ricostruzione che però getta luce sulle supposizioni degli ultimi due anni, del tutto insufficienti e desiderose solo di mescolare le carte.
Nel leggere che la Germania ha spiccato un mandato di arresto europeo contro l’ucraino accusato di essere il responsabile materiale che è stato visto per l’ultima volta in Polonia non si può non ricordare la storia di quel tweet trionfante – “Thank you, Usa” – postato in rete dall’allora deputato europeo polacco Radek Sikorski, allora presidente della delegazione congiunta Ue-Usa al Parlamento europeo. Ma Sikorski è anche un amico integerrimo degli statunitensi – fa parte dell’American Enterprise Institute –, marito della giornalista Anne Applebaum e con lei uno dei pochi che ha avuto l’onore di incontrare il presidente Usa, e da settembre 2023 è pure il nuovo il ministro degli Esteri polacco dopo esserlo stato, sempre nel governo di Donald Tusk, dal 2007 al 2014. Nessuno gli ha mai chiesto conto di quel tweet.
La Polonia è poi ancora protagonista di un altro episodio: dopo che nell’agosto 2023 in Germania il settimanale Der Spiegel e la tv pubblica Zdfavevano dato la notizia che dietro l’attacco ci sarebbe stato un commando ucraino, citando fonti della Procura generale e dell’Ufficio federale anticrimine, il Governo di Varsavia, nel settembre 2023, un mese dopo la pubblicazione di quelle notizie, ha consegnato alla Germania una lista di sospetti russi.
A febbraio di quest’anno, invece, la Svezia ha messo fine alla sua inchiesta sulla distruzione di Nord Stream con la motivazione che il Paese non ha la competenza giurisdizionale per accertare l’accaduto. A quanto pare solo la Germania intende proseguire nell’accertamento della verità. Sull’altra sponda dell’Atlantico, invece, fa rumore l’articolo del celebre giornalista Seymour Hersh, pubblicato autonomamente sulla piattaforma Substack, il quale, basandosi su una sua fonte, fornisce dettagli articolati sulle mosse degli Stati Uniti che già prima dell’invasione russa dell’Ucraina avevano deciso di attaccare il Nord Stream e che poi lo avrebbero fatto appoggiandosi a specialisti locali. Gli Usa smentiscono: Hersh, a dispetto di una carriera d’eccezione, viene dipinto come un complottista e forse anche un po’ teleguidato da mano straniere – il sito Valigia Blu gli dedica ben due articoli per smentire la sua ipotesi – e le notizie che provengono dalla Germania, o perlomeno l’enfasi che le condisce, fanno pensare appunto che Washington non sia implicata nel caso. Eppure nel giugno 2023 era stato il Washington Post a scrivere, di nuovo, di responsabilità ucraine, facendo già il nome di Zaluzhny ma dicendo anche che i servizi segreti statunitensi ed europei erano stati avvertiti delle intenzioni di un commando.
La vicenda, che doveva quindi inchiodare Mosca alle sue colpe, resta un affare tutto del campo occidentale, con responsabilità diffuse e non ancora ancora chiarite. E con coincidenze strane o fortuite. Come quella che vede proprio il 27 settembre, il giorno in cui si apprende dell’esplosione del Nord Stream, l’inaugurazione di un nuovo gasdotto, la Baltic Pipe, che condurrà il ricco gas della Norvegia in Polonia (ancora?) passando per la Germania. L’inaugurazione ha luogo a Goleniów, alla presenza del presidente polacco Andrzej Duda e dell’allora primo ministro, Mateusz Morawiecki, della premier danese Mette Frederiksen e del ministro dell’Energia norvegese Terje Aasland. Si tratta di un flusso annuale di 10 miliardi di metri cubi dalla Norvegia alla Polonia e di 3 miliardi dalla Polonia alla Danimarca. un progetto da 1,6 miliardi cofinanziato dall’Unione europea con 267 milioni di euro attraverso il programma Connecting Europe Facility. Morto un gasdotto se ne fa un altro.