Ceronetti in fuga dalla ferocia del conformismo
di Davide Brullo - 08/09/2017
Fonte: Il Giornale
Con Guido Ceronetti, scaltro crittografo del nulla, condivido la ferocia antidemocratica («i molti non sono per la poesia, altro che nulla; ai molti vanno le canzoni, la propaganda, la democrazia...»), gli sfottò alla New Age (ribattezzata «mercati di spiritualità in saponette») e l'idea che l'«incretinimento generale» in cui affoghiamo sia «misteriosamente, temo, pianificato».
Chi custodisce come una reliquia apocrifa la raccolta La distanza (Bur, 1996), è consapevole che i versi di Ceronetti (esempio: «Se ci fosse pietà il mio non sono/ In modo umano ti direbbe io sono») sono ben distanti dall'essere grande poesia. Non fa eccezione questo fascio di testi, isterici («Grasso, nudo, impazzito/ Un camionista in testa/ Si dimena sul cofano: lo vedo!/ I miei occhi lo vedono, è il Messia!»), misterici («L'Unico sempre torna/ Che non venendo viene»), spompati (in una poesia c'è il Buddha che telefona In una casa New Age, ma «Naturalmente nessuno c'è/ Quando rispondere è urgente, è necessario»).
Meritano la lettura, invece, le restanti 43 pagine: Ceronetti, Grande Puffo della gnosi, cerusico del nichilismo, è un bibliomane impenitente e ha antologizzato le più belle pagine messianiche della letteratura occidentale. Si va, slogando lo spazio-tempo della storia letteraria, da Eraclito a Ionesco, da Virgilio a Dostoevskij e Joseph Conrad. Già che c'è il novantenne può tutto Ceronetti antologizza se stesso, tra Isaia, Rimbaud, Victor Hugo, Samuel Beckett e Dino Buzzati. Il libro si chiude sul Manifesto del Partito Comunista di Marx e Engels, quasi a giustificare l'attesa messianica della rivoluzione, la lotta cattocomunista. A questo punto, è un peccato che non sia accolto un brano de I dodici di Aleksandr Blok. Il grande poeta simbolista, arruolato dopo la Rivoluzione russa del 1917 nella Commissione d'inchiesta sui crimini zaristi, aveva tragicamente capito tutto («il popolo rivoluzionario non ha fatto altro che distribuirsi attorno alla stessa torta davanti alla quale sedeva la burocrazia») e immagina, nel suo poema più ambiguo e più grande, che davanti alla «bandiera rossa... bandiera insanguinata», «con una corona bianca di rose/ cammina Gesù Cristo». Sarà per un altro libro. Di questo il succo è questo: dato che non c'è altro che il nulla, tanto vale credere in qualcosa.