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Che fare?

di Andrea Zhok - 20/03/2020

Che fare?

Fonte: Andrea Zhok

1) PREMESSA.

Il fine di limitare il numero dei contagi onde evitare un collasso del sistema sanitario è del tutto condivisibile.
E' importante capire che un collasso del sistema sanitario trasformerebbe tutti i soggetti che oggi abbisognano di rianimazione in decessi, e i dati al momento in nostro possesso parlano di un 5% dei soggetti affetti da coronavirus che richiedono rianimazione.
Anche prendendo in considerazione una stima che dimezzi quella cifra, in caso di collasso delle terapie intensive, la prospettiva sarebbe quella di un'ecatombe.

Dunque non c'è alcun dubbio che si sia di fronte ad un evento epidemico di grande serietà, che come tale va affrontato.

Detto questo, per affrontare un problema grave non è in alcun modo utile recitare la gravità ad uso delle telecamere con esternazioni roboanti. Frasi ad effetto come "bisogna chiudere tutto!", "bisogna fare tamponi a tappeto!", ecc. servono solo a garantire un certo profilo mediatico a chi le pronuncia, ma non serve a risolvere nulla.

Non abbiamo idea di come si potrà sviluppare l'epidemia, di eventuali mutazioni, delle dinamiche di immunizzazione, non sappiamo se o quando troveranno una cura, se o quando troveranno un vaccino. Dunque ogni piano dettagliato potrà essere smentito da successive evoluzioni della situazione.

E tuttavia bisogna comunque formulare dei piani, essendo pronti al caso ad aggiornarli o rimpiazzarli.

2) LA PROSPETTIVA

Ragionevolmente, sulla base di quanto sappiamo finora, non dobbiamo attenderci un'evoluzione della situazione tale per cui dopo un 'picco' della crisi ci ritroveremo di fronte ad una serena discesa a valle.
Dopo il picco dovremo conservare comportamenti sorvegliati e prudenti per un lungo periodo.
I più ottimisti parlano di 6 mesi.
Ma potrebbe essere tre volte tanto (è la stima di molti esperti per la scoperta di un vaccino affidabile).
Un 'ritorno alla normalità' richiede una delle seguenti condizioni: o l'esistenza di un vaccino, o la disponibilità di efficaci cure che abbattano drasticamente la nocività dell'affezione, o l'estensione graduale del contagio a coprire una netta maggioranza della popolazione (70-80%).
Quest'ultimo scenario è l'unico per cui si può lavorare in modo affidabile, graduando il tasso di contagi in modo da affrontare tale diffusione sotto controllo medico.
L'idea cui dobbiamo prepararci è che, salvo sorprese, il coronavirus ce lo prenderemo tutti, ma che, per noi stessi e per chi ci sta attorno, dobbiamo prendercelo in modo da consentire al sistema sociale di funzionare e a quello medico di organizzarsi adeguatamente (anche nell'interesse della nostra pelle).

3) PIANIFICAZIONE

Se la prospettiva che siamo in grado di pianificare è quella di un processo di controllo e rallentamento della diffusione su una scala di 6-18 mesi è chiaro che ragionare come se l'unico problema fosse l'immediato superamento dell'atteso 'picco' è sbagliato. E' necessario sì, cercare di riportare la curva dei contagi in una direzione controllabile, ma è anche necessario considerare che sarà inevitabilmente necessario un processo di sorveglianza di molti mesi in cui non ci sarà alcun 'ritorno alla normalità'.

Dunque un atteggiamento del tipo: "Tratteniamo il respiro finché passa" è un atteggiamento insensato. Non potremo mai trattenere il fiato abbastanza a lungo. Possiamo solo trovare un modo per respirare in modo moderato, ottimizzante, sul medio periodo.

Fuor di metafora, questo vuol dire che:

a) Non possiamo né potremo mai "fermare tutto". E' una frase ad effetto priva di costrutto. Dobbiamo (è compito del governo) esaminare quali attività sono fondamentali e qual è il sistema di forniture collaterali a tali attività fondamentali, e tutto ciò deve continuare a funzionare. I gangli fondamentali dello Stato devono continuare a funzionare. Non solo ovviamente la salute pubblica, non solo la sicurezza pubblica, non solo le attività di esecutivo e legislativo, ma anche tutte le attività produttive collaterali che consentono ai primi di operare. Se non siamo in grado di mettere benzina nelle auto della polizia, o di riparare un motore o uno pneumatico, se non abbiamo ricambi per i sistemi elettrici ed informatici, se non funzionano attività di pulizia ed igienizzazione, ecc. ecc. finiamo comunque per far collassare il sistema.

Dunque bisogna entrare nell'ottica da un lato di implementare forme di lavoro in remoto per tutte quelle attività che sono in grado di farlo (e qui c'è bisogno di mettere in grado di farlo pienamente molte attività che ora sono in grado di farlo solo parzialmente), e dall'altro di far svolgere tutte le attività che non possono essere fermate in condizioni di massima sicurezza e controllo delle linee di contagio.

b) Questo significa che non bisogna "fare tamponi a tappeto", ma bisogna farli innanzitutto a tutti quegli operatori che devono continuare ad essere in attività (a partire dal personale sanitario e addetto alla sicurezza), fornendo loro con assoluta priorità tutti i sistemi di protezione personale appropriata.
In seconda battuta bisogna estendere lo stesso principio a tutti coloro i quali nella catena produttiva devono rimanere in attività per tutte le forniture collaterali (a partire dagli addetti della grande distribuzione). Qui oltre ai tamponi, che segnalano un'infezione in corso, ha enorme importanza uno screening sierologico per vedere quali soggetti hanno sviluppato anticorpi, magari avendo sviluppato l'affezione in forma paucisintomatica.

Gradualmente sia i soggetti che sono clinicamente guariti che quelli che presentano anticorpi possono essere reimpiegati anche in attività produttive meno strettamente necessarie.
Per questa via si può gradualmente pervenire ad una 'normalizzazione'.

c) In quest'ottica attacchi isterici e corse all'untore sono inutili e controproducenti.
E' fin troppo chiaro che i luoghi di perdurante contagio non sono stati i runner solitari o quelli che portavano il cane a urinare. Concentrare l'attenzione su questi casi insignificanti significa distogliere l'attenzione da ciò che non è stato fatto dall'inizio nei luoghi dove la concentrazione di persone era obbligata.
In Italia abbiamo avuto il doppio di contagi tra il personale sanitario rispetto alla Cina (2.000 contro mille); in diverse regioni una delle principali fonti di contagio è stato rappresentato da infermieri e inservienti nelle case di riposto (così ad esempio nel Friuli Venezia Giulia); le immagini dei lavoratori che si recano al lavoro al mattino con la mascherina, a 50 cm di distanza interpersonale nella metropolitana di Milano fanno supporre che quello sia stato un altro livello massivo di contagio perdurante; e ce ne sono sicuramente molti altri.

Ora, non è questo il momento di lanciarsi in accuse di negligenza e rimproveri. Si può capire che molti, anche a livello governativo, fossero del tutto impreparati alla situazione che si è verificata, e abbiano commesso errori. Agli errori si deve solo rimediare con sollecitudine.
Ma sguinzagliare cani e delatori a caccia di runner, chiudere i giardini pubblici, cazziare chi porta il cane a pisciare o il vecchietto che si sgranchisce la gambe, e mettere agli arresti senza ora d'aria, tutto il paese non è una reazione intelligente.
E' un modo per mettere sotto il tappeto i propri precedenti errori.
(Un simile atteggiamento fa peraltro passare l'idea radicalmente sbagliata che lo spazio aperto sia più pericoloso per il contagio dello spazio chiuso, mentre è acclarato che i contagi tra soggetti esposti all'aria aperta, dove la dispersione dei virus è rapidissima, sono enormemente più rari e difficili rispetto a quelli in luoghi chiusi.)

Come detto, fa niente, gli errori in buona fede ci stanno e si correggono, nell'interesse del paese.

Ma creare artificialmente cacce all'untore e sensi di colpa, inventarsi capri espiatori improbabili per rimuovere in anticipo da sé possibili accuse, beh, questo non aiuta nessuno ed è anzi, una volta di più, un problema supplementare sulle spalle del paese, di un paese che è perfettamente capace di obbedire a indicazioni anche ferme, se spiegate con coerenza e chiarezza.