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Che ne è dell’Ucraina?

di Giovanni Pucci - 02/12/2016

Che ne è dell’Ucraina?

Fonte: voluntaseuropae

A tre anni dall’Euromaidan, la guerra civile nell’Ucraina orientale continua con il suo stillicidio, lasciando gli accordi di Minsk del 5/9/14 (e ribaditi poi con il Minsk-II del 12/2/15), che prevedevano zone smilitarizzate ed un cessate il fuoco generale, sostanzialmente inattuati. Solo un mese fa bombardamenti dell’esercito ucraino hanno ucciso 2 civili a Makeevka, nell’Oblast di Donetsk. Un conflitto a bassa intensità, lontano dalle telecamere e dai discorsi dei politici  e delle associazioni ‘filantropiche’, sempre in prima linea nelle situazioni di crisi dall’altra parte del mondo ma stranamente assenti se invece si muore in terra europea. Sì, perchè l’Ucraina è incontestabilmente Europa, sia dal punto di vista geografico, culturale che etnico. Ed è davvero paradossale pensare che, magari ad uno stato nebuloso, la rivolta popolare contro l’ex presidente Viktor Janukovyc, innalzava i vessilli stellati della Ue, a simboleggiare una voglia di scrollarsi di dosso quell’imperialismo che era passato in modo soft ad essere da sovietico a russo ma che continuava di fatto a considerare e trattare Kiev come un satellite di Mosca. Duranti quei giorni di scontri di piazza vi furono uomini e donne che morirono pensando anche che la Ue fosse un traguardo di libertà da assicurarsi, un prospettiva migliore della realtà che vivevano tutti i giorni. Fa sul serio impressione pensarci, quando tra noi europei occidentali monta sempre di più un euroscetticismo dilagante, che fa dell’Ue invece il capro espiatorio di ogni male attuale… Certo, non si può seriamente pensare che la destabilizzazione di una nazione europea di 42 milioni di abitanti (che ha al suo interno una minoranza russa del 17% che si è opposta a sua volta all’Euromaidan) sia avvenuta in modo assolutamente genuino e senza alcuna ingerenza esterna e l’impressione a 3 anni di distanza è che si sia giocato ancora una volta sulla pelle dei caduti ucraini e su quella dei separatisti che hanno reagito alla cacciata di Janukovych un gioco più grande di loro.

A margine  di una conferenza sul tema organizzata nel gennaio del 2015 chiesi ad un accademico esperto di affari geopolitici quali potessero essere le mosse dell’Ue, intesa come unica espressione attuale di un Europa politica, a proposito di un conflitto in un teatro a lei immediatamente confinante e tanto delicato per gli scenari energetici. Lui, con un malcelato sorriso, seraficamente mi rispose che semplicemente l’Ue non avrebbe fatto nessuna mossa poichè di queste cose si interessavano gli Usa. Una risposta disarmante che dice tutto. Ancora una volta una Europa inesistente è vittima degli eventi e si deve adeguare a posizioni altrui, anche quando vanno contro i suoi interessi. Invece di intervenire in prima persona (sorvoliamo sulla foglia di fico degli accordi di Minsk per i quali si sono mosse Germania e Francia e che sono sembrati niente di più che una recita obbligata visto i loro esisti) per evitare l’escalation di violenza che ha causato quasi 10mila morti in un Paese con il quale confina, essa ha soltanto adottato le sanzioni economiche imposte dagli Usa alla Russia, rea di aver fomentato ed armato i ribelli secessionisti del Donbass. I risultati? Ingenti danni economici alle imprese che esportavano in Russia (in special modo al settore manifatturiero, agricolo e delle componenti meccaniche), allontanamento dalla prospettiva europea per la Federazione Russa spinta sempre di più verso l’Asia ed un solco ben profondo scavato tra le due diplomazie. Questo per quanto riguarda l’Ue; l’Ucraina non ha però minimamente beneficiato di tale atteggiamento intransigente. Si ritrova mutilata sia della Crimea (passata sotto la sovranità russa senza che venisse sparato un solo colpo) che delle 2 autoproclamatesi Repubbliche indipendenti di Donetsk e Lugansk che compongono il Donbass. Spende buona parte del suo non faraonico Pil in spese militari, dipende per sopravvivere dagli aiuti esteri ed è costantemente sotto ricatto della Russia che alternativamente chiude i gasdotti (impedendo quindi il proseguimento di quei flussi verso l’Europa occidentale…).

Si potrebbe pensare che gli unici ad averci guadagnato siano stati gli Usa che hanno aumentato la distanza tra le risorse naturali russe e le industrie e le tecnologie europee (connubio da sempre avversato dai nostri ‘alleati’ d’oltre oceano per ovvie ragioni) e che hanno sotratto il controllo di uno Stato cruciale alla Russia. La quale dal canto suo ha giocato bene le sue carte e reagendo per tempo ha annesso alla Federazione Russa la Crimea con il suo strategico porto militare di Sebastopoli, lasciando a sè stessi i separatisti filorussi del Donbass dopo averli aiutati indirettamente quando è diventato politicamente ed economicamente troppo dispendioso sostenerli. Come detto, si è probabilmente trattato di un gioco più grande delle parti direttamente in campo, un gioco che ha visto scorrere il sangue di chi comunque ha imbracciato con valore le armi da entrambi le parti, valore che non diminuisce anche se si è eterodiretti, e che però allo stesso tempo non cambia la situazione. Una situazione che è destinata a durare in questo stato per ancora molto tempo, essendo questa impasse tuttora funzionale ai principali attori in campo, che è stata ed è una tragedia per l’Europa e che ha visto quest’ultima una volta di più colpevolmente inesistente ed incapace di assumere il suo ruolo.