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Chiuso un fronte se ne apre un altro?

di Enrico Tomaselli - 28/11/2024

Chiuso un fronte se ne apre un altro?

Fonte: Giubbe rosse

Non sono passate che poche ore dall’entrata in vigore del cessate il fuoco in Libano (con Israele che l’ha già violato due o tre volte), ed all’improvviso si riaccende un altro fronte, in Siria, dove la situazione era invece stabile da almeno quattro anni. La coincidenza ha ovviamente fatto pensare ad una mossa israeliana, che ultimamente aveva più volte minacciato Assad in relazione al ruolo siriano nel passaggio degli aiuti iraniani ad Hezbollah. Da quanto appare, però, la ripresa dei combattimenti sembra da attribuire più ad Ankara che a Tel Aviv.
Cominciamo col dire che la situazione in Siria - tanto per cambiare... - è resa estremamente complicata dalla presenza di innumerevoli attori, locali ed internazionali, i cui rapporti sono peraltro soggetti a mutevoli dinamiche continue.
Il nord della Siria - quello in cui si sono riaccesi gli scontri - vede la presenza, soprattutto ad ovest, di alcuni gruppi islamisti radicali, alcuni dei quali interamente composti da combattenti venuti dall’estero (uzbeki, tagiki, persino uiguri dalla Cina) che, insieme alle milizie turcofone, operano di fatto all’ombra della Turchia. E sono appunto i gruppi che hanno dato vita all’attuale offensiva in direzione di Aleppo. Verso est, ai confini con l’Iraq, sono invece presenti gruppi curdi (è questa l’ampia regione del Kurdistan, a cavallo tra Turchia, Siria, Iraq ed Iran).
Il sud est siriano, invece, vede la presenza di gruppi combattenti curdi ed islamisti, riuniti sotto la sigla delle SDF (Syrian Democratic Forces), che operano sotto la protezione USA, che ha qui alcune basi militari illegali.
Israele ha ottimi rapporti con le milizie curde (la regione autonoma del Kurdistan irakeno è una base del Mossad), e con i gruppi affiliati ad Al-Qaeda.
Sono inoltre presenti forze militari russe (Mosca ha qui la sua unica base navale nel Mediterraneo, a Tartus), iraniane e di Hezbollah.
La Siria è, insieme allo Yemen, una delle due entità statali che fanno parte dell’Asse della Resistenza - oltre ovviamente all’Iran - e per la sua posizione strategica ne è un anello fondamentale; al tempo stesso, a seguito della devastante guerra civile (fomentata ed alimentata da USA, Arabia Saudita e Turchia), parte del suo territorio è ancora al di fuori del controllo statale, le milizie armate variamente appoggiate da potenze regionali ed extra-regionali ne controllano ampi pezzi e - con l’appoggio statunitense -  ne rubano gran parte della produzione petrolifera, contrabbandata in Iraq. Tutto ciò fa della Siria un anello fondamentale ma anche il più debole della catena. Non a caso, infatti, l’apporto siriano al conflitto con Israele è stato del tutto passivo, limitandosi a fare da corridoio di transito per gli aiuti iraniani agli Hezbollah libanesi. Ciononostante, il territorio siriano viene costantemente bombardato ormai da anni da Israele, che ha evidentemente tutto l’interesse a destabilizzare il paese, aspettando l’occasione propizia per abbattere Assad.
In questo quadro generale, già di per sé complesso, Russia e Turchia costituiscono elementi di ulteriore confusione. Mosca, a suo tempo intervenuta in favore di Damasco soprattutto perché preoccupata per la propria base navale, ha avuto poi modo di sviluppare anche qui una collaborazione con l’Iran, che ha ormai assunto una dimensione strategica (si attende la ratifica di un trattato simile a quello appena concluso tra Russia e Corea del Nord). Al tempo stesso, la Russia ha storicamente avuto buoni rapporti con Israele, e tendenzialmente cerca di collocarsi in una posizione defilata, rispetto allo scontro tra Asse della Resistenza e stato sionista. Tanto che, ad esempio, non è mai intervenuta per contrastare i raid aerei israeliani, suscitando anche qualche malumore siriano (soprattutto, in tempi recenti, per gli attacchi nella zona di Latakia, dove pure c’è una forte presenza russa). Seppure negli ultimi tempi i rapporti Mosca Tel Aviv si siano decisamente raffreddati, la posizione russa rimane sostanzialmente quasi ambigua, tanto che i rapporti con gli alleati locali si stanno un po’ incrinando.
Dal canto suo, la Turchia - com’è caratteristica di Erdogan - segue una politica estremamente mutevole, giocata su molti tavoli contemporaneamente. Storicamente, Ankara è stata tra i maggiori sponsor dello Stato Islamico in Siria e, quando questo è stato sostanzialmente sconfitto dall’IRGC iraniano e da Hezbollah, è passata alla creazione di milizie turcofone da utilizzare come proxy.  Fondamentalmente, l’interesse turco in Siria è legato al fatto che le milizie curde (molto attive in Turchia) hanno qui un retroterra operativo. Contemporaneamente, qui si gioca una partita che ha anche a fare con i rapporti turco-russi da un lato e turco-americani dall’altro. E, come sempre, Erdogan manovra utilizzando la sua posizione mediana per ottenere il massimo ora dall’uno ed ora dall’altro.
In tempi più recenti, a seguito dell’appeasement tra Iran ed Arabia Saudita, cui ha fatto seguito il rientro della Siria nella Lega Araba, Ankara sembrava voler giungere ad un accordo con Damasco, ma evidentemente le sue pretese sono apparse eccessive alla controparte siriana, ed i contatti si sono di fatto congelati. Al tempo stesso, si è registrato un riavvicinamento con Washington, che ha fatto cadere lo stop alla vendita dei cacciabombardieri F-35 (legata all’acquisto turco dei sistemi antiaerei russi S-400); sentendosi in qualche modo coperto, Erdogan ha quindi deciso di utilizzare le formazioni terroristiche sotto il suo controllo per esercitare una pressione su Damasco, forzandola a cedere alle sue richieste (Ankara, un po’ come Israele con il Libano, vorrebbe la creazione di una zona-cuscinetto, di fatto sotto il suo controllo, con diritto d’intervento quando lo ritiene opportuno).
Questo è il retroterra politico-diplomatico che sta dietro l’offensiva scatenata nella zona di Aleppo dalle milizie dell’Hay'at Tahrir al-Sham (HTS), Jabhat al-Nusra ed altri gruppi islamisti che operano sotto l’ombrello turco. Offensiva che ha colto di sorpresa le forze del Syrian Arab Army (SAA), che evidentemente faceva affidamento sul fatto che in quel settore vigesse dal 2020 una tregua di fatto (a suo tempo mediata proprio da Russia e Turchia).
A seguito dell’offensiva dell’HTS, sono stati conquistati una serie di villaggi in direzione di Aleppo e, soprattutto, le forze anti siriane sono arrivate all’autostrada M5, principale linea logistica tra Aleppo ed il sud (Homs, Damasco). In tutto ciò, la Turchia sta intervenendo direttamente, con fuoco di artiglieria a supporto delle sue milizie. Un convoglio di miliziani ha attraversato il territorio controllato dall'SNA (Syrian National Army, un altro gruppo filo turco) entrando in Siria dal valico di frontiera di Salameh. Il convoglio comprendeva carri armati, veicoli blindati e altri veicoli militari. In risposta, l'artiglieria pesante dell'esercito siriano ha colpito direttamente la postazione militare turca nella città di Kafr Lata, nella campagna meridionale di Idlib.
Superato lo sbandamento iniziale, è arrivata la reazione siriana e dei suoi alleati. L’aviazione di Damasco, insieme a quella russa, ha cominciato a colpire le formazioni terroristiche, uccidendo almeno un centinaio di combattenti, tra i quali molti leader (Abu Hassan Al-Ma'arra, Abu Obeida, Abdo Salah Ayoub e Mahmoud Bardan, tutti dell’HTS). Contrattacchi condotti dalle forze speciali iraniane hanno respinto HTS da Anadan, ad ovest di Aleppo.
La Siria sta ora inviando rinforzi nel settore, mentre continuano i bombardamenti aerei sulle formazioni filo-turche. Anche unità di Hezbollah, stanziate nel paese, sono intervenute.
Per il momento, quindi, siamo di fronte ad una offensiva relativamente limitata, destinata con tutta probabilità ad essere contenuta nel giro di qualche giorno e che poi, presumibilmente entro la fine dell’anno, arriverà ad un stabilizzazione della situazione. Lo scopo, come detto, è quello di esercitare una pressione militare su Damasco, per ottenerne una maggiore cedevolezza nel quadro delle trattative per la normalizzazione dei rapporti siro-turchi. Anche se questo crea inevitabilmente attriti sia con la Russia che con l’Iran (il Ministero degli Esteri di Teheran ha lanciato un chiaro messaggio: "avvertiamo i turchi di astenersi dall'intervenire negli affari interni siriani. A differenza della presenza russa in Siria e della presenza di consiglieri iraniani, che è il risultato di un invito ufficiale del governo, la Turchia è presente in Siria illegalmente e non ha nulla a che fare con nessuno dei suoi affari").
Contemporaneamente, nel nord siriano si registrano scontri tra l’SNA filo-turco ed i curdi delle SDF, a dimostrazione del fatto che la varietà degli attori (e degli interessi di cui sono portatori) rende estremamente complicato definire in modo chiaro gli schieramenti in campo.
Al momento attuale, comunque, si può affermare che non c’è uno zampino israeliano, in questa ripresa dei combattimenti nel paese arabo, anche se l’aviazione israeliana non ha mancato di colpire ancora una volta nelle province di Damasco e Homs. E certamente vedrebbe di buon occhio un aggravamento della situazione.
Vedremo nei prossimi mesi come evolve la situazione; certamente la Siria è, tra tutti i paesi della regione, quello in cui più facilmente si potrebbe arrivare ad uno scontro, sia per la sua posizione strategica, sia per la presenza di numerose forze armate straniere e/o controllate dall’estero, sia per la summenzionata debolezza dello stato siriano.