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Ci sono due modi di stare col popolo

di Francesco Lamendola - 29/08/2019

Ci sono due modi di stare col popolo

Fonte: Accademia nuova Italia

Ma che cosa vuol dire, infine, stare col popolo? Che cosa significa una espressione come questa: essere dalla parte del popolo? Ce lo siamo sempre domandati, fin dal tempo della scuola media (erano gli anni intorno al 1968), osservando che una certa parte politica si era impossessata di tali espressioni, le aveva caricate di un ben preciso significato ideologico e pretendeva di averne l’esclusiva, per poi brandirle come clave sulla testa di tutti gli altri, facendosi forte di questo fatto: che essa stava col popolo. Sia pure in maniera indistinta, sin d’allora qualcosa ci convinceva poco in tale identificazione fra la sinistra e il popolo, fra il marxismo e il popolo, fra il Partito comunista e il popolo. Come! Allora gli altri, quelli che non erano comunisti né marxisti, non stavano dalla parte del popolo? Erano indifferenti o addirittura contrari al bene del popolo, ai bisogni del popolo, alle sue legittime necessità? Il nonno, che si alzava alle quattro del mattino tutti i santi giorni per scendere nel formo a preparare il pane per i clienti, era un nemico del popolo, un affamatore del popolo? E il fatto che desse lavoro a quattro o cinque persone, che trattava con assoluta correttezza e anche con generosità, ne faceva, automaticamente, uno sfruttatore del popolo, un esponente della borghesia grassa ed egoista, un agente dell’infame capitalismo? Strano, molto strano. Eppure il ragionamento (se così lo possiamo chiamare) era chiaro: se lui e tutti quelli come lui, e ne conoscevamo parecchi, non erano dalla parte del popolo, allora – i tempi erano quelli: o di qua o di là, o bianco o nero – dovevano essere, per forza di cose, dei nemici del popolo, degli sfruttatori della classe lavoratrice. In altre parole, inutile girarci attorno – di nuovo, i tempi erano quelli: ci si sprangava per un eskimo, presto ci si sarebbe sparati per un discorso o un articolo di giornale – erano dei fascisti, dichiarati o mascherati. I fascisti erano i nemici del popolo per antonomasia; non avevamo preso il potere, nel 1922, al soldo della borghesia agraria e per servire gli interessi dei reazionari? Perché è esattamente così che si raccontava la nostra storia recente ai ragazzi, in quegli anni: senza sfumature e senza alcuna possibile obiezione: come piace ai comunisti di ieri e di oggi: in regime di perfetto monopolio. Qualcuno ha mai visto un professore di sinistra accettare il punto di vista di uno studente di destra, discutere con lui in maniera rispettosa, su un piano di pari dignità?  O non è forse vero che i professori di sinistra, forti del sostegno di quasi tutta la classe (logico: l’hanno tirata su loro) godono a vendicarsi, con lo strumento del registro, delle obiezioni e dell’autonomia di giudizio che uno studente di destra osa mostrare? Strano anche questo, perché ci viene sempre detto che la scuola pubblica, in teoria, serve a sviluppare il senso critico dei giovani, a rafforzare in loro l’abitudine a pensare con la propria testa. Ma la realtà è che questo pio proposito vale solo per gli studenti che si adattano alle idee politiche del loro professore di sinistra; se non si adattano, allora il pensare con la propria testa finisce di essere una virtù e diventa un vizio. Il vizio del fascismo, appunto.

I fascisti, del resto, erano sopravvissuti alla disfatta della Seconda guerra mondiale; si erano rintanati, sì, nelle cantine e nelle fogne, ma erano sempre pronti a uscirne, a tentare la  riscossa. Contro il popolo, ovviamente. Nel 1970, per esempio, con la rivolta di Reggio Calabria, erano tornati all’assalto al grido di Boia chi molla!; e la cultura politica progressista, i mezzi d’informazione avevano scoperto, si fa per dire, quanto fosse tuttora presente e pronto a scattare al momento giusto l’eterno fascismo, la componente fascista presente nell’animo umano. Perché il fascismo era, sì, una tendenza politica al servizio di interessi economici ben precisi; ma era anche il Male della storia, era il Male assoluto, e come tale si caricava di un’oscura valenza metafisica, teologica, contro la quale bisognava costantemente premunirsi e vegliare, stare sempre in guardia. Perché se il fascismo rialzava la testa, le conquiste dei lavoratori sarebbero andate in fumo (chi lo raccontava, ai ragazzi della scuola media e del liceo, che le maggiori conquiste sociali la classe lavoratrice italiana le aveva raggiunte proprio durante il Ventennio?). E questa è ancora oggi, nell’anno di grazia 2019, la concezione del mondo e della storia che la cultura dominante, che è sempre stata, ed è rimasta, rocciosamente comunista o post-comunista, salvo qualche aggiustamento formale, pretende di rifilare ai giovani e d’imporre all’intera società. Senza che i suoi militanti, la cosiddetta “base”, si siano resi conto che la ragione sociale è radicalmente cambiata: se ieri, almeno a parole, era la giustizia a favore del popolo, oggi è il libero mercato nel quadro generale del turbocapitalismo. Tanto è vero che è cambiato il santo patrono; non più Josif Stalin, ma Barack Obama (o Hillary Clinton) e, in subordine, il Juncker o il Moscovici o la von der Leyen di turno. Sempre però, gli uni e gli altri, in subordine al patrono maximo: san Francesco Bergoglio. E se ieri le rivendicazioni erano gli aumenti salariali, la scala mobile, la difesa del posto di lavoro, le pensioni, lo Stato sociale, la scuola democratica, eccetera, oggi sono l’aborto (già ottenuto), l’eutanasia, le unioni di fatto e i matrimoni omosessuali (già ottenuti), il cambio di sesso, la fecondazione eterologa, l’utero un affitto, la libertà di drogarsi, il diritto all’invasione dell’Italia per tutti gli stranieri e lo ius soli, cioè la cittadinanza garantita automaticamente a chiunque venga fatto nascere nel Bel Paese. Tradotto in parole semplici: se la ragione sociale della sinistra era, almeno a parole, la difesa dei deboli, oggi è diventata la difesa dei ricchi e il sostegno strumentale a quei soggetti che si prestano a far risaltare la bontà, la solidarietà e l’accoglienza dei ricchi (tipico esempio: la signorina Carola Rackete, figlia di milionari, che viene a fare la generosa in Italia con le chiappe degli italiani). E quanto alla povertà di certi immigrati, che arrivano sulle navi previa telefonata, e ci arrivano quasi tutti giovani e ben nutriti, con le catene d’argento al collo e gli smartphone, muscolosi e talvolta in sovrappeso, benché i mass-media ce li descrivano sempre e immancabilmente come disperati in fuga da guerra e fame, nonché seviziati e derubati dalla cattivissima polizia libica, a crederci sono solo Richard Gere, Antonio Banderas e le ricche ragazze tedesche afflitte da sensi di colpa per la loro pelle bianca e il portafoglio troppo gonfio, oltre che da noia esistenziale cronica e acuta.

Torna perciò la domanda: che significa essere dalla parte del popolo? Che cos’è il popolo, chi è popolo?  Stare dalla parte di un ricco politico di sinistra che va all’estero per acquistare un figlio da una madre povera, e poi torna in Italia per allevarlo insieme a suo marito (suo di lui, non suo di lei) significa stare dalla parte del popolo? E stare dalla parte degli immigrati con le catenine d’oro e d’argento, con i telefonini ultimo modello, muscolosi e sovrappeso, quelli che rifiutano il cibo dei centri di accoglienza e minacciano lo sciopero della fame se non la smettono di servir loro l’odiosa pastasciutta che è causa di gastrite; oppure quelli che vengono nutriti lautamente ai tavoli della mensa Santa Maria in Trastevere, sì avete capito bene, non è un locale ma è la stupenda basilica medievale con i mosaici di Pietro Cavallini, e soprattutto è la casa del Signore, ed è appunto lì che la Comunità di Sant’Egidio ritiene cosa buona e giusta offrire un pasto caldo ai poveri, togliendo gli inutili banchi da preghiera e allestendo tavole per la pasta, la carne e i fiaschi di vino: ecco, stare dalla parte di tutti costoro, significa essere dalla parte del popolo? Ma i pensionati italiani che devono sopravvivere con poche centinaia di euro al mese, e per giunta sono imprigionati nei condomini e nei quartieri ove spadroneggiano i delinquenti nigeriani e le prostitute nigeriane, e chi esce per fare la spesa non è sicuro, tornando, di non trovare una famiglia di zingari felicemente insediata in casa propria: quelli, non sono popolo? E il piccolo imprenditore che si è suicidato perché la sua azienda è fallita, ed è fallita non perché fosse male amministrata ma perché lo Stato non si decide a pagare le commesse e la banca che aveva anticipato i capitali non era disposta ad aspettare: lui e la sua vedova, lui e i suoi figli orfani, non sono popolo anche loro?  E le decine di migliaia di ragazzi italiani laureati a pieni voti e costretti a prendere la via dell’esilio per trovar e lavoro da qualche parte, in Europa o in America, lasciando i genitori a tirare la cinghia e con la prospettiva d’invecchiare soli, senza il sostegno dei loro figli, non sono popolo anch’essi? Che cosa si deve fare, che cosa si deve essere per venire considerati popolo? Ci vuole il timbro del PCI, ora aggiornato in quello del PD o di Liberi e Uguali? Ci vuole la certificazione della signora Boldrini o della signora Cirinnà o, meglio ancora, di qualche vescovo di strada e di qualche prete alla don Andrea Gallo? Devono attestarlo Famiglia Cristiana o L’Avvenire? E ancora: bisogna appartenere all’etnia rom, oppure bisogna avere la pelle scura? Non stiamo facendo delle sparate a effetto: stiamo descrivendo la pura verità. Se uno si dichiara un povero rom discriminato e va a piagnucolare da Bergoglio, viene ricevuto e abbracciato come fosse la vittima di chissà quali ingiustizie e pregiudizi, anche se poi risulta esser proprietario di ventisette automobili. E se una famiglia di africani dichiara di essere povera, i loro figli hanno diritto senz’altro alla tariffa agevolata per la mensa scolastica, e nessuno va a verificare quale sia il loro patrimonio nel Paese di origine (pena lo scatenarsi di una campagna mediatica contro il sindaco razzista che vuole affamare i bambini di colore), mentre è scontato che le famiglie italiane, se vogliono la stessa agevolazione per i loro figli (dalla pelle bianca, orribile delitto), devono presentare tutti i documenti relativi al proprio reddito e al proprio patrimonio.

E poi, che significa stare dalla parte di qualcuno? A nostro avviso, il solo significato serio non può essere che questo: simpatizzare con lui ed essere disponibili a sostenerlo, idealmente e, se necessario, materialmente, nei suoi diritti e nelle sue giuste rivendicazioni, non nelle sue pretese esagerate o nelle sue aspettative irrealistiche. Anche se è un povero. Perché non è scritto da nessuna parte che il povero ha sempre ragione, né che il carcerato sia stato sempre condannato ingiustamente, né che il drogato o l’alcolizzato siano vittime della società, né che il malato di mente sia vittima della perfida istituzione psichiatrica, e neppure che l’africano sia sempre un affamato o un profugo di guerra, o che lo zingaro sia un innocente agnellino sospettato a torto di non aver mai lavorato in vita sua, di non voler mai lavorare, di non insegnare ai suoi figli altro mestiere che il borseggio, il furto, la rapina e l’accattonaggio, e ben deciso a ottenere un appartamento a cui non ha diritto: ma visto che ci sono i fessi che prima o poi gliela daranno, o gli permetteranno di occuparla abusivamente, perché non dovrebbe provarci? Ci sono persone, e ci sono addirittura culture – piaccia o non piaccia ai signorini intellettuali di sinistra – le quali non solo hanno come supremo ideale quello di vivere da parassiti, ma che si vergognerebbero profondamente all’idea di guadagnarsi il pane con un lavoro onesto; e che se la godono un mondo al pensiero d’aver fregato gli altri, gli ingenui, i buoni, i fiduciosi, ora sfilando una catenina d’oro alla moglie che esce esausta dall’ospedale, dopo aver vegliato tutta la notte il marito morente, ora facendo credere al parroco o al sindaco di aver bisogno di somme di denaro da inviare in Africa, affinché un figlio o una vecchia madre affetti da tumore alle ossa possano intraprendere una cura, mentre in Africa non hanno né figli, né vecchie madri e tanto meno affetti da qualche grave malattia. Ma se i fessi, i buoni, i fiduciosi, sono disposti ad aprire il portafoglio, perché non provarci? Sarebbe un peccato! Senza neanche bisogno di rubare o rapinare, basta prendere quello che spontaneamente essi offrono: non è una grande impresa, questa, di cui vantarsi con gli amici: prendere in giro le persone troppo buone e farsi quattro risate alle loro spalle, spendendo allegramente i loro soldi?

Quanto a noi, e a dispetto dei nostri professori di sinistra, ci siamo sempre sentiti dalla parte del popolo, pur non militando da quella parte della barricata. Il popolo vero, però, non quello immaginato da Rousseau, dagli illuministi e dai comunisti: quello coi calli alle mani, non quello che sfila nei Gay Pride. Il popolo vero, quello non guastato dal sindacalismo esasperato e dalle mentalità di fabbrica, che ha sani valori morali e non si vergogna della povertà, ma della disonestà. Per queste persone abbiamo sempre provato una sincera vicinanza ideale: ci ha sempre convinto il loro modo di ragionare e di comportarsi; abbiamo imparato più cose osservandoli e ascoltandoli, che dalle lezioni dei professori e dalle pagine dei libri. Siamo convinti che gli intellettuali di sinistra che vanno tanto di moda, i Cacciari e i Galimberti, i Saviano e i Camilleri (pace all’anima sua), non abbiano mai visto da vicino, né tanto meno frequentato, quelle perone.   

Concludiamo con una nota personale. Il nostro bar preferito è un relitto dei decenni andati, uno dei pochi non ancora acquistato dai cinesi: i signorini di sinistra non ci metterebbero dentro un piede. Il deumidificatore perde acqua a rivoli e il padrone tiene dei secchi sulla mensola sottostante, perché non si rovesci direttamente a terra. La clientela è molto, molto modesta: pensionati, lavoratori non qualificati. C’è, per esempio, un uomo che legge i giornali, assorto, dalla prima all’ultima riga, beve un paio di bicchieri e se ne va, con La Verità sotto il braccio. Quando i clienti giocano a carte si alzano le voci e vola qualche bestemmia. Ebbene: nei discorsi di questa gente umile troviamo più buon senso di quanto ce ne sia negli sproloqui di Cacciari o nella demagogia pauperista di el papa...