Clearing House
di Gaetano Colonna - 09/07/2017
Fonte: Clarissa
Forse non tutti sanno che una davvero ingente massa di prodotti finanziari, genericamente noti come "derivati", grava sull'economia mondiale: un derivato viene definito come "un contratto fra due o più parti contraenti il cui valore appunto deriva dal valore futuro di un bene, di un indice di riferimento o di un soggetto finanziario". Sono diversi i tipi di derivati, dai più noti futures ai meno noti forward contracts, options, warrants, swaps. Molti di questi contratti sono gestiti all'interno di borse regolamentate, ma la stragrande maggioranza no: sono i cosiddetti scambi over the counter, noti con la sigla OTC, che sfuggono quindi a qualsiasi tipo di controllo da parte delle cosiddette istituzioni finanziarie. La stima del volume complessivo di questi prodotti oscilla tra i 630mila miliardi e 1,2 milioni di miliardi di dollari, rispetto ad un prodotto interno lordo mondiale di 78mila miliardi di dollari, tanto per avere un riferimento all'economia reale. Gli effetti che queste armi della speculazione finanziaria possono avere sull'economia reale lo abbiamo già sperimentato nel 2008, dato che proprio derivati come i collateralized debit obligations (CDO: in sostanza derivati che incorporavano mutui di clienti ad altissimo rischio) ed i credit default swaps (CDS: in sostanza derivati che scommettevano sulla possibilità che un'azienda o un Paese fallisse...) sono stati all'origine della crisi finanziaria mondiale innescatasi quell'anno. Warren Buffet, uno dei tre uomini più ricchi del mondo, che di certo se ne intende, ha infatti definito i derivati così: "secondo me, sono un'arma di distruzione di massa finanziaria, che comporta rischi che, anche se latenti, sono potenzialmente letali".
La premessa era d'obbligo per parlare di uno dei meno noti aspetti degli strani rapporti tra Unione Europea e Regno Unito, e per comprendere meglio la fuoriuscita di quest'ultimo Stato dall'organizzazione comune europea. Pochi infatti sanno che la potentissima London Stock Exchange, la Borsa di Londra, possiede, oltre alla "nostra" Borsa di Milano, anche una società che si chiama London Clearing House (LCH): questa è una società finanziaria specializzata nell'attività di clearing house (spesso tradotto in italiano come "camera di compensazione"), che il glossario della Borsa italiana definisce così: "soggetto che è controparte automatica di tutti i contratti stipulati in un mercato al fine di limitare il rischio di inadempimento". In sostanza un intermediario garante del buon fine di transazioni finanziarie internazionali. Il dizionario opportunamente aggiunge che la garanzia sul buon fine delle transazioni viene assicurata in due modi: "la limitazione e la selezione dei soggetti ammessi al mercato (e, quindi, ad avere rapporti con la clearing house) e la raccolta e la gestione dei margini di garanzia versati dai soggetti ammessi al mercato". Comprendiamo quindi l'importanza condizionante e strategica di questa istituzione finanziaria: essa infatti non ha solo il potere di indicare chi può o non può effettuare transazioni sui mercati finanziari, ma allo stesso tempo si fa pagare questa garanzia. È il caso di aggiungere che questa istituzione è di natura assolutamente privatistica ed agisce sulla base del riconoscimento ad essa prestato, fra gli altri, dai governi e dalle banche: LCH conta infatti fra i suoi membri ben 259 fra le principali banche del mondo, fra cui alcune italiane. Ebbene, proprio LCH, fra i molti "prodotti" finanziari di cui intermedia gli scambi, ha anche la cosiddetta moneta comune europea, l'euro, della quale gestisce i tre quarti delle transazioni in derivati, in questo caso swap monetari: inventato nel 1998 dal signor Blythe Masters, della banca JP Morgan, è questo un prodotto che, come molti derivati, è stato ideato per garantirsi contro il rischio di indesiderate variazioni di un tasso di interesse, del valore di una moneta o delle variazioni al ribasso del prezzo di una merce. Ma nella realtà questo "prodotto finanziario" viene utilizzato dagli operatori della speculazione sfruttando il cosiddetto "effetto leva": è possibile infatti, per esempio, depositare un margine di garanzia pari a 10, per "giocare" con un sottostante (valute internazionali in questo caso, ma anche grano, petrolio, azioni, ecc.) che ha un valore di 100 o 1.000. Se vinco, porto a casa guadagni stratosferici, anche cento, mille volte superiori al margine che ho depositato. Se invece mi va male, le perdite possono essere pesantissime. Tornando a LCH, scopriamo che questa società della Borsa di Londra tratta ogni giorno oltre 850 miliardi di dollari di swaps in euro, che corrispondono a ben i tre quarti dell'intero mercato mondiale swap in euro: come dire che Londra controlla la più parte della speculazione sull'euro a livello mondiale. Il secondo operatore mondiale di swap in euro è Eurex, una società simile per molti aspetti a LCH, la cui proprietà è però detenuta dalla Borsa di Francoforte. Pochi sanno che proprio negli ultimi anni, prima ancora che si avviasse il processo di distacco della Gran Bretagna dall'Unione Europea, per ben tre volte la Borsa di Londra e quella di Francoforte hanno tentato di realizzare un'unificazione, mediante la fusione appunto fra la London Stock Exchange e la Deutsche Börse, un'operazione finanziaria dal valore di 29 miliardi di euro, che avrebbe portato anche all'unificazione delle società di clearing house delle due borse. Con una non casuale coincidenza, proprio il 29 marzo 2017, lo stesso giorno cioè in cui il governo britannico ha annunciato ufficialmente l'apertura della Brexit, l'Unione Europea ha respinto formalmente, per bocca della commissaria alla concorrenza della UE, Margrethe Vestager, in una conferenza stampa a Bruxelles, la fusione fra le due grandi borse, fra l'altro a motivo del monopolio che si sarebbe stabilito nella gestione dei cosiddetti portafogli a reddito fisso, vale a dire le obbligazioni ed i pronti contro termine, cioè alcuni degli strumenti più comuni anche della gestione del debito pubblico degli Stati europei - senza ovviamente fare cenno al mercato swap, che, come sappiamo, è fuori dal controllo delle istituzioni politiche.
Cosa accadrà a questo punto? La risposta è abbastanza semplice, e certo altrettanto abbastanza inquietante. Il cosiddetto "mercato" della speculazione sta già dicendo no all'ipotesi di una clearing house basata sul continente europeo: la International Swaps and Derivatives Association ha spiegato infatti che lavorare con una clearing house all'interno della UE costerebbe agli operatori un 15-20 per cento in più, con un aumento dei costi di 160 miliardi di dollari, secondo Clarus Financial Technology. È quindi interessante constatare che, pur dopo la Brexit, avremo un mercato speculativo sull'euro controllato per tre quarti da una City resa sempre più forte dalla completa autonomia politica britannica: anche da questo si può comprendere come l'euro in luogo di essere possibile strumento della sovranità europea sia sempre più moneta al servizio della speculazione finanziaria internazionale.
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