Come difendersi da una cosa che non esiste: «la Scienza»
di Leonardo Lugaresi - 03/01/2023
Fonte: Leonardo Lugaresi
A mia moglie (che ora grazie a Dio sta meglio) piace seguire, mentre facciamo colazione e i primi lavori domestici (lei soprattutto, perché io se posso taglio la corda), una trasmissione televisiva di intrattenimento che ambisce ad occuparsi de omnibus rebus et de quibsudam aliis, anche se di solito gravita sulla cronaca spicciola della politica italiana. Stamattina a chiacchierare c’erano lì quattro o cinque soggetti, nessuno dei quali suscita il mio interesse, che parlavano del nulla, cioè di quei tali che ieri, per fare pubblicità alla ditta per cui lavorano (o di cui sono utili idioti, questo non saprei), hanno spruzzato della vernice rossa sulla facciata di Palazzo Madama. Pur senza prestare molta attenzione, non ho potuto fare a meno di notare che nella conversazione è affiorata ripetutamente, e impunemente, l’espressione «la scienza»; anzi, «la Scienza» (perché nel parlato le maiuscole non si vedono ma si sentono), in contesti del tipo: «gli ecologisti seguono la Scienza», «la Scienza ci dice» e simili.
Questo mi ha colpito: che dopo tre anni di continua, onnipresente e grottesca rappresentazione pubblica de «la Scienza», sceneggiata ridicola e torva come certi mascheroni del duce durante il ventennio, recitata tutti i giorni, su ogni palco mediatico, da pupazzi col berretto a sonagli con su scritto «Scienziato» i quali, per tre anni!, hanno proclamato pubblicamente tutto e il contrario di tutto, con totale sprezzo del ridicolo e, come avrebbe detto Petrolini, “senza orore di se stessi” [sic] – dopo tre anni di questo carnevale funesto, che non fa ridere affatto perché ha demolito ciò che restava della razionalità sociale, instillando il terrore (cioè il più irrazionale dei sentimenti) nelle menti e nei cuori di tutti noi, ed è servito a minare definitivamente ciò che restava dell’ordine costituzionale democratico con le sue garanzie di libertà, dopo tutto questo si possa continuare a parlare tranquillamente de «la Scienza» così, al singolare, senza attributi delimitativi, senza alcun caveat. Come se, in un mondo in cui tutti affermano che tutto è plurale e tutto è complesso, esistesse davvero, in forma di ipostasi semplice e unica, «la Scienza».
Nell’unico campo disciplinare che conosco un pochino, perché è l’orticello in cui zappetto qualche volta anch’io, se uno dice, ad esempio, “il cristianesimo” al singolare invece di “cristianesimi” al plurale fa ormai la figura del troglodita analfabeta (io me ne frego, perché son vecchio, e lo dico quanto mi pare e piace, ma se dovessi dare i concorsi forse ci starei attento). Invece là fuori, nel vasto mondo, si dice impunemente «la Scienza», quando dovrebbe far parte dell’istruzione di base richiesta a ogni cittadino la consapevolezza che «la Scienza» non esiste, se non come figura mitologica (non più della Chimera, dunque). Anche “le scienze”, al plurale, sono delle astrazioni, retoricamente ammissibili in quanto utili per esprimersi in modo veloce, ma che in concreto consistono semplicemente di metodi codificati, i quali sono però diversi per ciascuna disciplina, perché il metodo è determinato dalla natura dell’oggetto che si cerca di conoscere: diversi gli oggetti, diversi i metodi. Tali “metodi scientifici” non sono altro che procedimenti che, avendo dato prova di essere cognitivamente proficui, sono stati adottati dalla comunità degli “addetti ai lavori”: il rispetto di tali procedure consente di definire “scientifico” un lavoro, ma di per sé non dice tutto sulla sua “bontà”. Ad esempio, in filologia (che è anch’essa una “scienza”!) se uno facesse l’edizione critica di un testo “a suo piacimento”, adottando e respingendo le varianti secondo il proprio gusto, potrebbe anche venirne fuori qualcosa di bello (“questa è arte, coglionazzo!”), ma la comunità dei filologi sarebbe concorde nel definire non scientifico quel lavoro. La filologia, però, è una scienza tale per cui può accadere che due diverse edizioni critiche di un testo siano considerate ugualmente scientifiche perché il procedimento ammette la possibilità di “scelte” che dipendono dal soggetto. Anche un ricercatore che non seguisse rigorosamente le regole del metodo storico potrebbe, con i suoi lavori, portare alla luce informazioni dotate di valore, ma i suoi libri o i suoi articoli rimarrebbero privi della qualifica di lavori scientifici. Più improbabilmente, ciò potrebbe verificarsi anche nell’ambito delle cosiddette “scienze della natura”, dove credo che non esistano, di regola, margini di scelta soggettiva nei procedimenti. In medicina, in particolare, mi pare che appartenga all’esperienza comune di tutti i medici che pratiche e rimedi empirici possono talvolta risultare efficaci anche se non rispondono ai canoni scientifici specifici della disciplina. Quindi, in sintesi elementare, ciò che esiste sono semplicemente dei modi di procedere, che definiamo “scientifici” in quanto sono dotati di una propria razionalità aderente alla natura della realtà che intendono conoscere (e sono in grado perciò di spiegare perché procedono in un determinato modo) e che, avendo dimostrato di funzionare meglio degli altri, sono stati adottati ufficialmente dalla comunità di coloro che lavorano professionalmente in quel campo specifico. Punto, non c’è altro. Per il resto, sutor, ne ultra crepidam!
Mi sono dunque fatto un regalino, per il nuovo anno: un rasoio. D’ora in avanti, ogni volta che sentirò dire da qualcuno: «la Scienza …» deciderò immediatamente che è un coglione e smetterò all’istante di ascoltarlo. Ammetto che è una lama che rischia di tagliare troppo corto perché un lapsus può capitare a tutti e c’è quindi la possibilità di mozzare anche qualche testa intelligente; ma fa risparmiare tempo, ed io, essendo vecchio, di tempo ne ho poco.